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domenica 30 marzo 2014

Abolizione Senato: a chi conviene?



Approfittiamo della recente polemica tra le prime due cariche dello Stato, Matteo Renzi e Pietro Grasso, per parlare di abolizione del Senato. 

La nostra posizione in proposito è assolutamente contraria, e questo per almeno due ragioni

Innanzitutto è chiaro che abolire il Senato vorrebbe dire mettere seriamente a rischio qualsiasi speranza di vivere ancora in un Paese democratico. Amputare il Parlamento di uno dei suoi rami infatti ridurrebbe drasticamente il controllo democratico sugli atti del governo e renderebbe impossibile la nascita di un dibattito pubblico su questioni controverse e di particolare importanza. Non dimentichiamo che è proprio grazie al bicameralismo perfetto se ci siamo salvati più di una volta da leggi incostituzionali e dal sapore vagamente autoritario.

L'abolizione del Senato quindi si inquadra perfettamente nella tendenza degli ultimi anni a svuotare sempre più di significato e poteri il Parlamento, che in una democrazia parlamentare come quella italiana dovrebbe essere l'organo che rappresenta la volontà popolare. Ormai in Parlamento si vota in questo modo e non si fanno nemmeno più le leggi, dato che da Monti in poi il governo si è incostituzionalmente appropriato del potere  legislativo, sfornando decreti legge su decreti legge (come ci racconta questo articolo).  E come se non bastasse, per chiarire ulteriormente che la democrazia è un concetto ormai anacronistico, prima ci è stato impedito di andare alle elezioni in seguito alle dimissioni di Letta e poi, con l'Italicum, ci siamo visti negare per il futuro anche il voto di preferenza, e quindi la possibilità di scegliere il nostro candidato all'interno delle varie liste elettorali. 

Allora se Renzi riuscirà effettivamente ad abolire anche il Senato (che sopravviveva dai tempi dell'antica Roma) quale sarà il tasso di democrazia in Italia? Considerata la situazione attuale, descritta poc'anzi, una riforma volta a ridurre il controllo democratico del Parlamento sull'operato del governo è l'ultima cosa di cui avremmo bisogno.

La seconda ragione per cui siamo contrari all'abolizione del Senato è che, molto più semplicemente, essa è inutile. Da un punto di vista economico, il risparmio, se anche vi fosse, sarebbe irrisorio. E se invece l'obiettivo di Renzi è quello, come dice, di ridare credibilità alla politica imponendo sacrifici anche ai politici, allora la scelta di abolire il Senato non è certo la migliore. La casta politica infatti, sebbene numericamente ridotta, continuerà ad esistere, con i soliti stipendi faraonici e privilegi di cui ha sempre goduto. L'unico segnale di cambiamento possibile, e che non intaccherebbe la democrazia del nostro Paese, sarebbe quello di tagliare gli stipendi, i rimborsi e abolire i privilegi di tutti i politici. Solo così si potrebbe sperare di redimere una casta di cui ormai non possiamo sentire neppure l'odore.

E anche la tesi secondo la quale il Senato ingolferebbe la macchina statale è del tutto infondata. La verità è che quando c'è la volontà politica di fare una legge, questa viene fatta in pochissimi giorni. Quando la volontà politica invece è assente, ovviamente la legge non viene approvata. Ma in questo non c'è nulla di male, anzi, il Parlamento serve proprio a questo: a discutere su quale sia la legge migliore e approvarla, bocciando le alternative. Che poi ultimamente siano passate delle vere e proprie porcate è innegabile, ma questo accade proprio per via di una mancanza di democrazia e non per un suo eccesso. Se pensiamo che nonostante il bicameralismo perfetto sono passati decreti come il famoso Imu-Bankitalia, ci si accappona la pelle al solo pensiero di quello che potrebbero agevolmente imporci dopo l'abolizione del Senato. 

Abolire il bicameralismo non darà alcun beneficio al popolo italiano, che a quanto pare di capire dalle priorità che si è posto il governo Renzi può tranquillamente continuare a sprofondare nella miseria e nella disperazione più profonda. Eh già, perchè il buon Renzi non ha posto la questione di fiducia su misure volte a ristabilire un minimo di giustizia e solidarietà sociale in questo Paese, ma l'ha posta sull'abolizione del Senato. 

Andando oltre tutti i bei discorsi e gli slogan vuoti, quindi, sembra evidente che dare il colpo di grazia ad una democrazia ormai morente è l'unico obiettivo che persegue il nostro governo di nominati, in modo che i diktat europei possano essere finalmente recepiti con meno discussioni e, soprattutto, con un importante ostacolo in meno: il Senato.

Ancora una volta, mentre i cittadini sono disperati, la Merkel e i mercati finanziari possono dormire sogni sereni.

sabato 29 marzo 2014

Ecco perché Renzi è più pericoloso di Berlusconi




La retorica è la disciplina che si occupa di studiare ed analizzare un'ampia gamma di tipologie di discorsi pubblici, da quello etico a quello giurdico a quello politico. Tuttavia, è proprio a quest'ultimo ambito che essa rivolge maggiore attenzione, considerata la profondità dell'impatto che le scelte politiche hanno sulle vite di un vastissimo numero di individui.

In particolare, secondo Aristotele, il discorso politico deve sottostare ad una precisa etica della comunicazione, secondo la quale il logos (la componente più razionale del discorso, ovvero quella che attiene ai problemi concreti da affrontare e propone le soluzioni per farvi fronte) deve avere un'importanza preponderante rispetto all'ethos (che basa il consenso sulla personalità, l'attendibilità, la simpatia, ecc... di chi pronuncia il discorso) e al pathos (che tenta di attrarre consenso suscitando emozioni nell'uditorio). Tali regole non valgono invece, per esempio, nel discorso pubblicitario, dove è ritenuto accettabile che la razionalità sia sacrificata alle emozioni e al culto del marchio. 

Per fare un esempio, se una pubblicità afferma che un determinato yogurt è il più buono del mondo, senza però portare ragionamenti razionali a sostegno di tale tesi, nessuno dovrebbe scandalizzarsi perchè sappiamo bene che il solo fine di uno spot pubblicitario è quello di vendere il prodotto sponsorizzato. Se invece un politico si proponesse come risolutore di una crisi o salvatore della patria, ma senza portare ragionamenti razionali a supporto della sua tesi, l'uditorio dovrebbe pretendere che questi gli siano forniti, per poter essere nelle condizioni di decidere consapevolmente.

Andiamo quindi a vedere come Berlusconi e Renzi, i due grandi maghi della comunicazione politica in Italia, si approcciano al discorso politico.

Partendo da Berlusconi, fin dalla famosa scesa in campo nel '94, egli si è sempre opposto al politichese che aveva contraddistinto i discorsi politici della Prima Repubblica. La sua comunicazione si serve di parole comprensibili a tutti, non colte o volte ad impressionare gli ascoltatori. I suoi discorsi sono destinati all'individuo comune, a cui il messaggio appare immediatamente comprensibile. In questo modo Berlusconi riesce a trasmettere un senso di naturalezza e spontaneità, che però nasconde una vera e propria batteria di tecniche retoriche che adopera intenzionalmente per far presa sull'uditorio (tra queste le più frequenti sono senza dubbio l'anafora, il poliptoto e la metabole, ma qui preferiamo non dilungarci spingendoci in un'analisi troppo tecnicistica). 

Senza dubbio l'utilizzo di un vocabolario semplice e comprensibile da tutti è un fattore positivo per una politica che dovrebbe coinvolgere il cittadino. Tuttavia il discorso politico di Berlusconi si caratterizza anche per un altro aspetto: la mancata argomentazione dei temi affrontati. Si tratta di una retorica assertiva, non argomentativa. Berlusconi non tratta i pro e i contro delle questioni, ma presenta le sue tesi come le uniche valide, evitando di entrare nella problematicità delle cose. Si pensi per esempio all'identificazione dell'avversario politico come minaccia da scongiurare (il comunismo sta arrivando!) e all'invocazione del sè come guida politica degna di fiducia in quanto imprenditore economico di successo (come se le abilità negli affari fossero mezzo di prova e garanzia della capacità di assolvere un compito squisitamente politico). Questi sono elementi che Berlusconi proclama come verità scontate, da prendere in quanto tali.

Per quanto riguarda Renzi, come Berlusconi si oppone apertamente al politichese e utilizza termini più semplici e comprensibili possibili rivolgendosi direttamente al cosiddetto italiano medio. Anche Renzi inoltre riesce a trasmettere un senso di naturalezza e sponteneità che, come si è detto poco più su, nasconde l'utilizzo di precise tecniche retoriche volte a far presa sul pubblico. 

Ciò che invece distingue la retorica renziana da quella berlusconiana, e con tutta probabilità ne rappresenta un'evoluzione, è che essa non si ferma a non argomentare le tematiche proposte. Nei discorsi di Renzi infatti si fatica addirittura ad individuare quali siano le sue tesi, in quanto queste mancano di qualsiasi concretezza, trasformandosi in concetti astratti come l'ottimismo, la fiducia, la passione e la speranza. Sono questi gli unici punti fermi del discorso politico di Renzi, mentre ogni altro tema, come la necessità per un governo legittimo di passare dalle elezioni o la rottamazione mai avvenuta (vedi D'Alema), viene progressivamente abbandonato, finchè il pubblico finisce per dimenticarsene, estasiato dalla promessa dell'ultima ora. Come detto per Berlusconi quindi, anche per Renzi non si tratta di una retorica argomentativa. La grande differenza però è che nel caso di Renzi non solo non si trattano i pro e i contro delle questioni, ma perfino le questioni stesse passano in secondo piano e non vengono trattate.

A questo punto appare chiaro come sia Renzi che Berlusconi non si attengano all'etica della comunicazione prescritta da Aristotele. Ciò che però ci fa dire che con Renzi vi è stata un'ulteriore degenerazione del discorso politico, che è ormai assimilabile a quello pubblicitario, è che con Berlusconi ancora resiste la possibilità di affrontare un dibattito sui temi avanzati (se non sei d'accordo che tutti i magistrati siano comunisti, o che un buon imprenditore debba per forza di cose essere un buon politico, puoi opporti e dimostrare razionalmente che tali tesi sono infondate). Con Renzi questa possibilità invece sparisce definitivamente, perchè concetti astratti come l'ottimismo e la speranza non possono essere contraddetti o messi in discussione. Nessun ragionamento razionale può dimostrare o invalidare concetti che, per definizione, non sono razionali. E' questa la nuova e grande forza persuasiva di Renzi.

Inutile dire che un approccio alla politica come quello di Berlusconi e Renzi è incredibilmente pericoloso in un periodo di crisi ed emergenza come quello che viviamo. Oggi come non mai, infatti, sarebbe necessario affrontare i problemi reali che affliggono il nostro Paese e tentare di offrire soluzioni concrete. Deviare il discorso politico da tali questioni per spostarsi nel campo dell'ideologia e dei luoghi comuni è un vero e proprio crimine.

L'unico modo che abbiamo per costringere la politica ad occuparsi degli enormi problemi dell'Italia, e a farlo nell'interesse dei cittadini, è quello di andare oltre i bei discorsi e le belle parole. Quando sentiamo parlare i nostri politici, domandiamoci prima di tutto quali sono le tesi e le argomentazioni concrete che ci vengono proposte, abbondonando la superficialità che ha permesso e continua a permettere a personaggi di questo genere di dominare la scena politica italiana. Basta!

Dobbiamo ripristinare un controllo diretto ed effettivo sulle scelte e le azioni della politica. Solo quando le azioni sostituiranno le parole vuote e la comunicazione lascerà il posto all'informazione potremo finalmente iniziare a costruire un'Italia finalmente al servizio dei cittadini e della giustizia.

lunedì 24 marzo 2014

Che Italia lasceremo ai nostri figli?

Come saprete (se non lo sapete leggete questo articolo in cui ne parliamo), il Fiscal Compact ci obbligherà, a partire dal prossimo anno, a racimolare 50 miliardi di euro all'anno, per 20 anni. Questo anche grazie al neo-premier Renzi, che, senza alcuna legittimazione democratica, si è recentemente assunto a nome di tutti gli italiani l'impegno di rispettare il Trattato in questione.

Ma cosa comporterà, concretamente, il rispetto di simili accordi per noi e per il nostro Paese?

Per farci un'idea di ciò che ci aspetta, torniamo un po' indietro nel tempo, ma non troppo, per ricordare insieme le famigerate "lacrime e sangue" di Mario Monti, che ha impersonificato l'Europa del rigore e dell'austerity e ci ha regalato, solo per citare alcuni esempi: un aumento generalizzato dell'età pensionabile, il gravissimo problema degli esodati, un sostanzioso aumento delle tasse (in primis l'aumento dell'IVA di due punti percentuali), l'entrata in vigore dell'IMU, tagli ai posti letto negli ospedali, eccetera, eccetera...

Ma vediamo insieme la manovra in cifre. Come potete verificare a questo link, l'ammontare complessivo delle misure varate dal governo Monti era stimato a 30 miliardi: 20 miliardi da dedicare alla correzione di bilancio, "così da assicurare l'obiettivo del pareggio di bilancio nel 2013", e 10 miliardi da destinare alla crescita e allo sviluppo. I tagli alla spesa erano stimati intorno ai 12-13 miliardi, e i rimanenti 17 miliardi costituivano l'ammontare da nuove tasse.

Non serve dilungarsi a commentare la manovra firmata Mario Monti, perchè crediamo che il lettore abbia già potuto verificare da sè gli effetti che questa ha avuto sul nostro sistema economico e sul nostro benessere, tanto che non solo grazie a queste misure non si sono raggiunti nè la benchè minima crescita nè il pareggio di bilancio, ma addirittura il rapporto debito pubblico/ PIL è aumentato, in particolare a causa del calo della domanda interna provocato dalla stessa austerity montiana.

Abbiamo voluto ricordare la famigerata manovra Monti per ragionare insieme sul fatto che questa aveva portato, tra tagli alla spesa e nuove tasse, "solamente" a 30 miliardi in più nelle casse dello Stato. E vi ricordate quando, durante il governo Letta, non si riuscivano a trovare nemmeno 4 miliardi per abolire l'Imu? In fondo erano "solo" 4 miliardi!

Ora poi è il momento dell'ennesimo Presidente del Consiglio non eletto, che per fare campagna elettorale in vista delle europee vuole trovare una decina di miliardi da distribuire a una decina di milioni di operai (essere vaghi, quando si parla dei progetti di Renzi, purtroppo è una necessità, dal momento che non è dato sapere nulla di preciso). Abbiamo già trattato in questo articolo la discussa spending review di Cottarelli, nella quale si individuano le possibili coperture per far fronte a questa manovra, e di certo non c'è da stare allegri.

Allora non possiamo che chiederci, dopo gli incredibili sacrifici che ci sono stati imposti per racimolare risorse relativamente modeste prima da parte di Monti, poi di Letta, e ora di Renzi, cosa rimarrebbe del nostro Paese dopo 20 anni di Fiscal Compact.

Forse non è ancora ben chiaro a tutti che, dal prossimo anno, dovremo trovare 50 miliardi annui da destinare esclusivamente allo scopo di ridurre il debito, ai quali chiaramente si aggiungeranno, ogni anno, le spese per interessi sul debito, che continueremo a pagare. Questo senza nulla togliere a tutti i tagli già effettuati, che, nel rispetto del pareggio di bilancio, una volta fatti verranno dati per scontati l'anno successivo, quando di conseguenza bisognerà trovare ULTERIORI 50 miliardi netti da tagliare. E così via per 20 anni.

I 30 miliardi di Monti hanno portato ai tagli e all'aumento di tasse di cui abbiamo parlato, e i 10 miliardi di Renzi aggraveranno la situazione, andando a minare ulteriormente pensioni, assegni di invalidità, sanità, dipendenti pubblici. Allora di nuovo ci chiediamo: cosa taglieranno per racimolare un totale di 1000 miliardi di euro in 20 anni? Il percorso è già ben delineato: sempre più tagli e sempre più tasse, finchè non avranno spolpato lo Stato e noi cittadini fino all'osso.

Saremo costretti a vedere completamente smantellato il nostro sistema di welfare, svendute le nostre aziende pubbliche strategiche e privatizzati servizi e beni pubblici essenziali, e tutto ciò mentre le tasse sempre più alte che pagheremo serviranno unicamente a ridurre il debito pubblico e a ripagare gli interessi.

L'unica soluzione possibile per evitare la catastrofe e preservare i diritti sociali rimasti è recedere immediatamente da questo suicidio collettivo chiamato Fiscal Compact, non c'è davvero tempo da perdere. Non siamo entrati nell'Europa e nell'euro per fare gli interessi della finanza internazionale e vedere il nostro Paese sprofondare nella miseria, è ora di cambiare rotta.

domenica 23 marzo 2014

Renzi vs Moretti: sicuri di stare dalla parte giusta?

Negli ultimi giorni si è polemizzato molto sulle controverse affermazioni dell'amministratore delegato del gruppo Ferrovie dello Stato Mauro Moretti, il quale, in seguito all'annuncio di Matteo Renzi sui nuovi tagli agli stipendi dei dirigenti pubblici, ha risposto che se tale decisione venisse effettivamente presa, lui e molti altri dirigenti deciderebbero di trasferirsi all'estero o nel settore privato.

In particolare ad alzare la voce in risposta a queste affermazioni sono stati il Presidente del Consiglio, che si è detto deciso a procedere comunque ai tagli, e Diego Della Valle, noto renziano che si è addirittura lasciato andare a queste dichiarazioni contro Moretti, arrivando ad incitare gli italiani ad "accompagnarlo a casa". 

Ma siamo sicuri che questi signori parlino per amore del popolo italiano? Non è un segreto che Renzi stia facendo di tutto pur di convincerci a svendere e privatizzare quel poco che ancora abbiamo di pubblico in Italia (per esempio leggi questo e questo). Ma non è neppure un segreto che Della Valle, insieme a Luca Cordero di Montezemolo, sia proprietario di Italo, la nuova compagnia ferroviaria che da quasi due anni fa concorrenza a Trenitalia. 

Allora non è difficile ipotizzare un certo conflitto di interessi, e d'altronde la mossa di tagliare gli stipendi dei dirigenti pubblici ha poco a che fare con un revisionamento ed efficientamento della spesa pubblica. Prendendo in esame il caso di Moretti infatti, questi ha il merito di aver riportato Ferrovie dello Stato in utile di 450 milioni di euro dopo che il precedente amministratore aveva fatto registrare perdite per oltre due miliardi. E Moretti guadagna la metà di quell'amministratore, e circa quattro volte meno rispetto al suo omologo tedesco. 

Se l'intenzione è quella di rendere più competitiva un'azienda che già produce utili, e che quindi non costa nulla alla collettività, ma anzi le garantisce una rendita, la soluzione è quella di fare nuovi investimenti, non certo quella di tagliare fondi e stipendi fino a metterla in ginocchio.

Evidentemente allora l'obiettivo è esattamente l'opposto: indebolire i nostri enti pubblici strategici e direzionare i manager migliori verso il settore privato, in modo da poter dire a posteriori che la cosa pubblica è male amministrata e che quindi va privatizzata.

Qui non vogliamo dire che sia giusto che un amministratore delegato guadagni 850.000 euro l'anno mentre la stragrande maggioranza dei cittadini fatica ad arrivare a fine mese. Noi siamo per la giustizia sociale, ma pensiamo che questa debba valere in senso assoluto: sia per il pubblico che per il privato. Rendere i manager pubblici dei manager di serie B non produrrà alcun altro effetto se non quello di rendere anche le aziende pubbliche delle aziende di serie B. Riceveremo servizi sempre peggiori, dal trasporto ferroviario all'istruzione e alla sanità, finchè non saremo costretti a ricorrere al settore privato per soddisfare quei bisogni essenziali. 

Quindi se davvero si volesse fare qualcosa nel senso di garantire una più ampia solidarietà e giustizia sociale, il modo per farlo non sarebbe certo quello di tagliare gli stipendi dei manager pubblici migliori, invitandoli a cercare compensi più alti nel settore privato. L'unica soluzione possibile sarebbe quella di fissare per legge un tetto agli stipendi dei dirigenti, sia pubblici che privati, in modo che non possano essere superiori per esempio di 12 volte rispetto allo stipendio minimo pagato dalla società di appartenenza ai suoi dipendenti. Ma evidentemente, nonostante le apparenze, non era il desiderio di giustizia a guidare il nostro Presidente del Consiglio e Della Valle nelle loro dichiarazioni.

D'altronde anche solo il modo in cui questa storia è stata ingigantita e strumentalizzata dai media per giorni, nonostante stessero succedendo cose ben più importanti nel mondo, è quantomeno emblematico. Noi, come opinione pubblica, siamo costantemente strumentalizzati e manipolati grazie alla ormai comprovata logica del "mal comune mezzo gaudio". Ci costringono ad odiare un amministratore delegato che dopo essersi tagliato lo stipendio del 50% ha anche portato l'ente affidatogli in gestione da una situazione di gravi perdite ad una situazione positiva, mentre la vera casta, il vero potere e i veri problemi restano taciuti. 

Ormai ci hanno convinti che il nemico sia lo Stato, e continuano a fare di tutto pur di distruggerlo, ma ancora una volta vi ricordiamo che lo Stato siamo noi cittadini. Siamo stati noi a dargli vita nei secoli, a renderlo democratico, trovando in questa organizzazione l'unica istituzione preposta a tutelare e garantire i diritti fondamentali di tutti noi.

E' ora di smetterla di pensare che l'entità astratta "Stato" sia direttamente responsabile delle proprie inefficienze. Dietro ogni spreco e ogni tangente c'è sempre qualcuno che ne trae un profitto. E udite udite, questo qualcuno non è mai lo Stato in quanto tale, ma piuttosto un individuo, un privato (vedi caso Expo, tanto per non dover andare troppo indietro nel tempo).  Allora sarebbe stupido eliminare lo Stato solo perchè qualche soggetto privato lo sfrutta in modo illecito per i propri interessi economici, e ancora più stupido sarebbe pensare, alla luce di tutto ciò, che la panacea di tutti i mali siano le privatizzazioni. Sarebbe come curare un'emicrania tagliandosi la testa.

giovedì 20 marzo 2014

Quello che devi sapere prima di farti comprare con 80 euro

Doveva essere il governo del fare quello di Matteo Renzi, ma finora gli unici documenti prodotti dal nuovo esecutivo sono solamente delle slides, carine e fantasiose certo, ma pur sempre slides. Non un decreto legge, non un disegno di legge.

Tra gli svariati annunci e spot elettorali che si sono susseguiti nelle ultime settimane, il più sbandierato e rilevante è senz'altro quello che riguarda i famosi 80 euro in più nella busta paga di 10 milioni di lavoratori italiani a partire dal 27 di maggio (due giorni dopo le europpe, ma guarda un po').

A chi chiedeva lumi sulle coperture di tale manovra, Renzi rispondeva che sarebbe bastato aspettare qualche giorno e il piano di Cottarelli sulla Spending Review avrebbe fugato ogni dubbio. Ebbene, ecco qui il famoso piano Cottarelli, anche lui evidentemente contagiato dalla slides-mania che da qualche settimana dilaga dalle parti di Palazzo Chigi.

Questa volta però niente pesciolini rossi, ma solo numeri e grafici. In particolare il commissario alla Spending Review individua risparmi totali per 7 miliardi nel 2014, 18,1 miliardi nel 2015 e 33,9 miliardi nel 2016. Ma da dove saltano fuori queste cifre? 

Parlamentari e senatori possono stare tranquilli, i loro stipendi e privilegi ne escono illesi anche questa volta. Chi invece fa bene a preoccuparsi sono i dipendenti pubblici, dato che gli esuberi previsti ammonteranno ad almeno 85.000 unità. 

Altri tagli importanti riguardano poi quelli che Cottarelli definisce affettuosamente i "trasferimenti inefficienti", ovvero i trasferimenti alle imprese (specie trasporti e istruzione), le indennità di accompagnamento a ciechi, sordomuti e invalidi civili e le pensioni di invalidità. In totale, dai "trasfermienti inefficienti", si potranno risparmiare due miliardi quest'anno, 4,4 nel 2015 e 7,1 nel 2016. 

Altro cospicuo risparmio deriverebbe poi da tagli e risparmi su difesa, sanità e pensioni: 2,2 miliardi quest'anno, 5 l'anno prossimo e 7,9 tra due anni. In particolare a venir preso maggiormente di mira è il settore delle previdenza, ma chi percepisce pensioni d'oro non si spaventi, può continuare a far sogni sereni. I tagli riguarderanno infatti le vedove e gli orfani di guerra, di cui sarà dimezzato il peso in bilancio, e le pensioni di reversibilità (la quota di pensione che la vedova continua a percepire dopo la morte del marito). Inoltre ci sarà il blocco dell'indicizzazione all'inflazione delle pensioni, e le donne, come gli uomini, dovranno versare contributi per 42 anni, e non più per 41, prima di aver diritto alla pensione di anzianità. Della serie: volevate la parità? Pedalate.

Come al solito conviene prendersela con i più deboli, con i dipendenti pubblici, i pensionati, gli invalidi, le vedove e gli orfani. Ancora una volta il nemico è il welfare, l'istruzione, la sanità, la previdenza e l'assistenza sociale. Per l'ennesima volta l'Italia più numerosa e bisognosa è chiamata a piangere lacrime di sangue mentre la casta politica, i maxi evasori del gioco d'azzardo e chi ogni mese riscuote pensioni da 90.000€ continuano tranquillamente a bearsi dei propri privilegi. 
 
A questo punto ci chiediamo: ma Renzi crede davvero che noi italiani siamo tanto meschini e superficiali da farci comprare con 80 euro, per giunta macchiati della disperazione e dei sacrifici di anziani, invalidi e orfani, senza contare tutti i tagli allo stato sociale e ai servizi pubblici?

Noi confidiamo in un'Italia informata, che conosce i veri problemi ed è stufa di farsi prendere in giro da politici venditori e mutaforma. Noi confidiamo in un'Italia che non si lascia abbindolare dall'elemosina concessa da una casta piena di privilegi, specie se si tratta di uno spot elettorale per le prossime europee. Noi confidiamo in un'Italia unita, che pretende sovranità, giustizia e dignità. Per tutti.

martedì 18 marzo 2014

L'ultima beffa di incoeRenzi: l'incontro con la Merkel

Come saprete, Matteo Renzi è stato il nostro sesto Presidente del Consiglio consecutivo ad incontrare la cancelliera tedesca Angela Merkel dal 2005.

A questo link trovate il video della conferenza stampa tenuta appena dopo l'incontro, ma prima di entrare nel merito riteniamo utile rispolverare alcune dichiarazioni dello stesso Renzi, in primis quella del 2 gennaio 2014, quando l'allora segretario del PD sosteneva spavaldamente: "Il tetto del rapporto deficit/Pil al 3% è evidente che si può sforare: si tratta di un vincolo anacronistico che risale a 20 anni fa”.

Non più tardi del 17 marzo mattina poi, quando lo separavano solo poche ore dal fatidico incontro con la Merkel, Renzi sembrava assolutamente deciso a battere i pugni sul tavolo, tanto da dichiarare ai microfoni del TG5: "Siamo l'Italia e se l'Italia fa l'Italia non deve avere paura di nessuno"; e ancora: "E' chiaro quello che l'Italia deve fare e lo farà, e questo Paese ha il diritto di dire che questa Europa deve cambiare. Non siamo gli alunni somari da mettere dietro la lavagna".

Insomma, per i più fiduciosi i presupposti erano buoni, e ci si aspettava un atteggiamento da parte del neo-premier che fosse per lo meno critico nei confronti della posizione di subalternità e sottomissione che ormai riveste il nostro Paese all'interno dell'Unione Europea, nonchè nei confronti di parametri arbitrariamente imposti, il cui rispetto ci costringe a sempre più drastici tagli del welfare, a privatizzazioni selvagge e alla svendita di importanti quote di aziende strategiche per il Paese, al solo scopo di "fare cassa".

Per non parlare poi dei nuovi vincoli derivanti dal Fiscal Compact (per i quali rimandiamo a questo articolo), trattato che ci costringerà, a partire dal prossimo anno, a racimolare ulteriori 50 miliardi di euro all'anno, per 20 anni. Come e dove non è dato saperlo, anche se il trend è chiaro: sempre più privatizzazioni, svendite e tagli alla spesa. Insomma, le famose riforme strutturali del "ce lo chiede l'Europa", che insieme alla progressiva precarizzazione del mercato del lavoro promessa da Renzi, hanno guadagnato l'approvazione della cancelliera, ci mancherebbe, che si è detta ovviamente soddisfatta dell'incontro con il premier italiano. 

Ai toni decisi e spavaldi del pre-partita infatti (per usare il gergo calcistico tanto caro all'ex sindaco di Firenze, che tra l'altro ha omaggiato la cancelliere tedesca con la maglietta di Mario Gomez) non si sono accompagnati i fatti, dato che Renzi si è preoccupato unicamente di rassicurare la Germania e l'Europa intera del rispetto dei parametri comunitari da parte del nostro Paese. 

Riportiamo di seguito un passaggio particolarmente significativo del discorso pronunciato da Renzi in conferenza stampa subito dopo l'incontro con la cancelliera tedesca: "Noi rispettiamo tutti i limiti che ci siamo dati, a partire dai limiti del Trattato di Maastricht. Quindi l'Italia NON chiede di sforare i limiti di Maastricht. L'Italia NON vuole cambiare le regole, dando il messaggio che le regole sono regole cattive, che vengono da qualcuno fuori da noi. Le regole ce le siamo date noi, insieme, e le regole sono importanti."

Non proprio quello che c'era da aspettarsi, non trovate? Ma d'altronde Renzi ci ha abituati alle sue incoeRenze, ormai non dovrebbero più stupirci. Come non dovrebbe stupirci il tanto propagandato futuro aumento di circa 80 euro in busta paga ai lavoratori dipendenti che percepiscono meno di 1500€ mensili, a partire, se va bene (perchè nessuno sa ancora esattamente da dove verranno presi i soldi), da maggio, proprio il mese delle Europee! Uno specchietto per le allodole, mentre sulle vere problematiche non si prospetta alcuna via d'uscita con il neo-premier. 

Sinceramente, vorreste farvi rappresentare in Europa da chi non prova nemmeno a rinegoziare quei parametri arbitrari che ci stanno strozzando? Da chi non vuole mettere in discussione il Fiscal Compact, con tutto quello che ne conseguirà per il nostro Paese già sull'orlo del baratro? Da chi ancora non ammette che l'euro è stato un terribile fallimento, un esperimento fatto a spese dei popoli mai consultati? Noi no.

Come ha efficacemente affermato l'economista Claudio Borghi, Renzi non è andato in Europa a sbattere i pugni sul tavolo, ma le ginocchia sul pavimento. L'Italia merita molto di meglio.

sabato 15 marzo 2014

Fermiamo il Trattato Transatlantico!

Sapete cos'è il TTIP, ovvero il Trattato Transatlantico? Probabilmente no, dato che i media italiani amano distrarci con il teatrino politico nazionale mentre decisioni fondamentali, che condizioneranno la vita di centinaia di milioni di persone, vengono prese sopra le nostre teste nel silenzio più totale. Solo recentemente, quando ormai l'argomento è talmente dibattuto che non si può più far finta di ignorarlo, sulle cosiddette fonti di informazione ufficiale è cominciato a sbucare qualche articolo come questo e questo.

Proviamo a fare il punto. Commissione Europea e Stati Uniti hanno iniziato le trattative a partire dall'estate 2013, e l'accordo dovrebbe essere raggiunto entro la fine del 2014. L'obiettivo è sempre lo stesso: creare un mercato unico, ampio e, soprattutto, libero. Il Trattato Transatlantico mira infatti ad abolire i dazi doganali e ad uniformare i regolamenti di Europa e Nord America, in modo da non avere più alcun ostacolo alla libera circolazione di merci, servizi e capitali tra i due continenti. 

Un accordo simile è stato raggiunto tra Messico, Stati Uniti e Canada, e nonostante questo abbia già causato la perdita di un milione di posti di lavoro e l'erosione costante dei salari, il Trattato Transatlantico viene presentato dai suoi sostenitori come una misura atta a promuovere l'occupazione europea e statunitense. Ma non è la perdita di posti di lavoro l'aspetto più preoccupante del TTIP, d'altronde le politiche liberiste che caratterizzano l'integrazione europea ormai da decenni ci hanno già abituati a risultati di questo tipo. 

Ciò che spaventa di più del TTIP è il modo in cui avverrà l'uniformazione delle regolamentazioni nazionali e sovranazionali, in quanto tale uniformazione, come sempre accade quando c'è di mezzo l'ideologia liberista, avverrà al ribasso. Quindi tra una norma che tutela maggiormente ambiente e cittadini, ed una che li tutela di meno, si sceglierà sempre la seconda. 

Considerando che negli Stati Uniti è possibile, per esempio, coltivare OGM e utilizzare ormoni nell'allevamento degli animali destinati all'alimentazione, non appena il Trattato Transatlantico verrà ratificato, nessuno Stato europeo potrà rifiutare che tali pratiche vengano svolte anche nel suo territorio. Stesso discorso vale per servizi essenziali come l'acqua, la sanità e l'istruzione, che in seguito a questi accordi saranno privatizzati e snaturati. E non è un segreto che le aziende statunitensi da tempo esercitino pressioni affinchè l'Europa abbassi i suoi standard sul lavoro e abbandoni il "principio di precauzione", che oggi ancora permette di reagire rapidamente di fronte a un possibile pericolo per la salute umana, animale o vegetale, e per la protezione dell'ambiente. Infatti, nel caso in cui i dati scientifici non consentano una valutazione completa del rischio, il ricorso a questo principio consente, ad esempio, di impedire la distribuzione dei prodotti che possano essere pericolosi o di ritirare tali prodotti dal mercato. Se il TTIP entrerà in vigore,  niente di tutto questo sarà più possibile.

Ma non c'è limite al peggio, quindi il TTIP prevede anche dei tribunali appositamente creati per arbitrare i litigi tra investitori e Stati, e dotati del potere di emettere sanzioni commerciali contro questi ultimi. In pratica, le multinazionali potranno denunciare a loro nome qualsiasi Paese firmatario la cui politica avrebbe un effetto restrittivo sui loro "futuri profitti sperati". In questo modo quindi le aziende potranno opporsi alle politiche sanitarie, di protezione dell’ambiente e di regolamentazione della finanza attivate in questo o quel Paese reclamando danni e interessi. 

In questo modo i tribunali nazionali, evidentemente troppo trasparenti, responsabili ed indipendenti, saranno sostituiti con un sistema corrotto, pieno di conflitti di interesse e poteri arbitrari, che opera a porte chiuse e non deve rendere conto a nessun elettorato. 

Se un simile accordo dovesse andare in porto, quel poco di democrazia che ci resta verrebbe immediatamente spazzato via. Ogni alternativa democratica verrebbe distrutta, in nome del libero mercato e dei massimi profitti. Qualsiasi politica non liberista sarebbe definitivamente messa fuori legge, e gli eletti in Parlamento non avrebbero più alcun margine di manovra. 

Ma siamo ancora in tempo per fermare questo annichilimento delle dignità e sovranità nazionali da parte della speculazione privata. Siamo ancora in tempo per difendere i nostri diritti fondamentali. Siamo ancora in tempo per dire no allo strapotere delle multinazionali. Informiamoci ed informiamo! Siamo ancora in tempo!

giovedì 13 marzo 2014

Liberismo o schiavismo?

Abbiamo parlato già molte volte di liberismo, dato che è la teoria economica, filosofica e politica a cui sono sempre più devoti l'Unione Europea e ovviamente i burattini che questa impone, uno dopo l'altro, al governo del nostro Paese (Monti e Letta prima, Renzi oggi).

In questo post però tralasceremo gli aspetti tecnici (che puoi leggere in questo articolo) e ci concentreremo su quelli ideologici. Il termine "liberismo" evoca chiaramente il concetto di libertà, un valore universale che mai nessuno si sognerebbe di criticare o mettere in discussione. Per questo non si può essere contro il liberismo, perchè altrimenti si viene additati come retrogradi e nemici della libertà.

Ma la libertà di chi? E soprattutto: da cosa? 

Rispondendo a queste due semplici domande potremo finalmente renderci conto della manipolazione semantica e ideologica a cui siamo costantemente sottoposti da qualsiasi mezzo di informazione e carica istituzionale da ormai qualche decennio a questa parte.

Per rispondere alla prima domanda (il "Chi?") basti considerare che la dottrina liberista si basa sulla deregolamentazione dei mercati e sull'azzeramento dell'intervento pubblico nell'economia (quindi privatizzazioni, svendita patrimonio pubblico, pareggio di bilancio e, ovviamente, sempre meno welfare e diritti sociali). In sostanza si vuole dare ai privati tutto ciò che ora è pubblico. Ma dire che la libertà assicurata dalla teoria liberista sarebbe a vantaggio dei privati è riduttivo, per non dire semplicistico. In realtà sappiamo bene che poche persone potrebbero permettersi di acquistare società come ENI, Poste Italiane, Finmeccanica, o perfino il Colosseo e la Torre di Pisa, e una volta che queste saranno passate in mano ai privati non saranno più di tutti noi (proprietà pubblica vuol dire questo, a differenza di quello che propaganda il fanatismo liberista), ma bensì di quei signori che avevano capitali a sufficienza da poterle acquistare. Quindi la libertà liberista avvantaggierà si i privati, ma solo alcuni. E chi più precisamente? Restando in Italia, da questi dati del 2008, apprendiamo che il 50% delle famiglie detiene solamente il 10% del patrimonio nazionale complessivo, mentre il 10% delle famiglie detiene praticamente la metà della ricchezza totale. E la forbice continua ad allargarsi, come ci racconta questo articolo della Stampa. A questo punto possiamo quindi concludere che la libertà dei liberisti è di chi detiene sufficienti capitali da potersene avvantaggiare, ovvero quel 10% della popolazione che attualmente detiene la metà della ricchezza nazionale e che in questo modo riuscirebbe ad incrementare a dismisura e senza ostacoli il proprio patrimonio.

Una volta capito che la libertà a cui si fa riferimento è quindi quella dei grandi capitalisti, non resta che chiedersi: libertà si, ma da chi? Ma è chiaro: dallo Stato, dal pubblico! Il fatto che, nei secoli, proprio tramite lo Stato e le sue regole (economiche, civili e sociali), il 90% degli italiani siano riusciti ad organizzarsi in modo da evitare che pochi avidi e assetati di potere potessero schiavizzare e sfruttare la stragrande maggioranza della popolazione, comincia ad essere una situazione opprimente e inaccettabile per il grande capitalismo. Rispondere alla seconda domanda quindi è ancor più facile che rispondere alla prima: vogliono liberarsi dallo Stato. Vogliono liberarsi da noi e soprattutto dai nostri diritti.

Come diceva Malcolm X: "Se non state attenti, i media vi faranno odiare le persone che vengono oppresse e amare quelle che opprimono." E' così che una guerra diventa accettabile se la chiamano missione di pace ed è così che una nuova forma di schiavitù dei popoli diventa libertà se la chiamano liberismo. Questo è il grande potere delle parole e dei mezzi di informazione di massa.

Dobbiamo stare attenti, e andare oltre la superficie delle parole. Solo così potremo finalmente riappropriarci delle nostre vite e iniziare a costruire, tutti insieme, un mondo che sia davvero libero.

martedì 11 marzo 2014

Renzi: rottamatore sì, ma dell'Italia

Da questa recentissima intervista a "Che tempo che fa" del nuovo Presidente del Consiglio nominato, Matteo Renzi, emergono alcuni aspetti preoccupanti che consolidano ulteriormente (come se ce ne fosse ancora bisogno) la pessima opinione che ci siamo fatti di lui e delle sue politiche.

In particolare, in questo post, vogliamo approfondire un tema a noi caro, e che dovrebbe stare a cuore a tutti gli italiani orgogliosi della propria storia e della propria cultura.

Circa al minuto 28 dell'intervista, parlando del nostro sterminato patrimonio artistico e culturale, Renzi si chiede "ma è mai possibile che si debba aver paura di privati che vogliono investire per rimetterlo a posto e di strutture che vogliono gestirlo in modo più serio?" Secondo il nostro nuovo Presidente del Consiglio "è pubblico il fatto che un bambino di 8 anni possa visitare Pompei senza il rischio di cascare sotto un muretto. Il servizio pubblico non deriva dal fatto che i soldi li metta il pubblico. Servizio pubblico deriva dal fatto che un bambino di fronte ad un capolavoro artistico, culturale e archeologico si renda conto di essere parte di quella grande bellezza."

In pratica Renzi cerca di spiegarci come privatizzare un patrimonio artistico, storico e cultuarale unico come quello italiano non significa svenderlo. Significa permetterci di poterne usufruire pienamente, senza per questo dover rischiare la vita. E aggiunge, quasi seccato, che non ha nessuna rilevanza il fatto che non sarà più di proprietà del popolo italiano, perchè continuerà ad essere nostro finchè continueremo a sentirlo parte di noi.

Ma ci rendiamo conto? E' come se decidessimo di svendere casa nostra perchè siamo dei gran pigri e non abbiamo mai voglia di pulirla. Sicuramente il nuovo acquirente la farà risplendere! E poi dai, magari trattando ci farà un buon prezzo così di tanto in tanto potremo visitarla e vedere quanto la tiene in ordine... Che importa se saremo costretti a dormire sotto a un ponte?!? Finchè continueremo a sentirla casa nostra nel cuore, continuerà ad essere tale!

Ecco, non sappiamo come la pensiate voi, ma noi non ragioniamo così. Prima di rinunciare ad avere un tetto sopra la testa proveremmo almeno a metterci un po' più d'impegno, e se proprio non fossimo in grado, proveremmo almeno ad assumere una donna delle pulizie!

Evidentemente al nostro nuovo governo non interessa far funzionare meglio la macchina statale, ma soltanto demolirla. Gli aspetti di inefficienza vengono evidenziati e denuciati, ma non per correggerli, solamente per propagandare le solite politiche neoliberiste di privatizzazione e svendita di tutto ciò che è pubblico (come d'altronde dimostra quest'altro recente provvedimento del governo Renzi).

Ci siamo stufati di questa retorica secondo la quale l'imprenditore investirà per il bene della collettività. La storia, che ormai conosciamo bene, è molto diversa, e ci racconta che l'unico motivo che spinge un individuo a investire dei capitali è quello di accumularne ancora di più.

E poi chi dovrebbe decidere quanto valgono il Colosseo, la Torre di Pisa, la Mole Antoneliana, le rovine di Pompei, ecc? Si tratta di un valore incommensurabile, che non si può esprimere in pezzi di carta. Ovviamente a molti imprenditori farebbe gola mettere le mani su opere d'arte uniche come quelle citate, dato che gli garantirebbero un prestigio e una rendita senza fine, ma dentro ognuna di quelle opere c'è la nostra storia, la nostra cultura, c'è un pezzo di noi. Nessuno può decidere di (s)vendere cose come queste, non fosse altro perchè non sono solamente nostre, ma anche delle future generazioni.

Se il problema è la pigrizia, lo Stato ha tutti i mezzi per intensificare i controlli e rendere più efficiente la gestione del patrimonio. Se il problema sono i soldi, la soluzione, che è comunque necessaria, è l'uscita dall'euro. Come abbiamo spiegato dettagliatamente in questo articolo infatti, tutte le politiche di austerity che l'Europa ci impone servono proprio a metterci in ginocchio per costringerci ad accettare le svendite e le privatizzazioni di cui l'attuale promotore telecomandato è Matteo Renzi.

L'Italia deve tornare ai suoi legittimi proprietari: i cittadini!

venerdì 7 marzo 2014

Too big to fail: solo i poveri falliscono

In seguito alla crisi economica globale scoppiata nel 2008 l'espressione "too big to fail" (troppo grande per fallire) è entrata sempre più nel linguaggio politico ed economico. Con tale espressione ci si riferisce in particolare a banche e istituti creditizi troppo grandi, all'interno delle rispettive economie nazionali, perchè possano essere lasciate fallire. 

Negli Stati Uniti ci sono le gigantesche JP Morgan Chase, Goldman Sachs, Bank of America, Wells Fargo, ecc. Per quanto riguarda l'Europa invece la stessa Commissione Europea ha recentemente individuato 30 banche cosiddette "too big to fail". Si tratta di 30 istituti che dispongono di un attivo di bilancio superiore a 30 miliardi di euro e di attività di negoziazione e passività oltre i 70 miliardi di euro. Le italiane sono tre: Unicredit, Intesa San Paolo e Monte dei Paschi di Siena.

Ognuno di queste banche ha un peso economico talmente elevato che, se dovesse fallire, l'intero sistema economico e finanziario rischierebbe il collasso. Per questo se una di queste banche viene a trovarsi in difficoltà deve intervenire lo Stato, con risorse pubbliche, a salvarla.

Questa situazione dà origine a infinite problematiche, ma concentriamoci sui comportamenti opportuistici che queste enormi banche non perdono occasione di tenere. E' chiaro che se sai di non poter fallire in alcun caso, perchè tanto quei fessi dei contribuenti ti salveranno, non esiterai a correre rischi. Specie se quei rischi possono permetterti di guadagnare di più, dato che ad un rischio più alto è associato un tasso di rendimento più elevato. Allora inizi a prestare sempre di più a persone, aziende e nazioni che probabilmente non riusciranno a ripagarti, perchè finchè ce la faranno ti pagheranno interessi più alti, e quando inevitabilmente non riusciranno più a onorare il debito contratto, potrai comunque contare su profumosi aiuti di Stato. Della serie: "Ti piace vincere facile?"

Questo articolo del Sole24Ore ci parla di 7700 miliardi di dollari, a carico degli ignari contribuenti, versati dal governo americano a favore di Wall Strett dal 2007 al 2009. Questo articolo del Fatto Quotidiano conta invece che sono stati oltre 4500 i miliardi di euro in aiuti di Stato concessi alle banche europee tra il 2008 e il 2011. Insomma, mentre se l'Italia prova a concedere aiuti di Stato per rilanciare piccole aziende o territori svantaggiati viene colpita da multe milionarie perchè la concorrenza è sacra e perchè lo Stato deve tagliare le spese, per quanto riguarda il settore bancario e finanziario tali aiuti non solo sono ammissibili, ma sono addirittura necessari. Se poi l'enorme ammontare degli aiuti stanziati farà schizzare il debito pubblico alle stelle, la colpa non sarà certo delle banche, ovviamente no. La colpa è dello Stato, che è spendaccione e improduttivo, e quindi giù a privatizzare, svendere e tagliare.

Ma se questi pochissimi istituti vantano un potere tanto grande nei confronti degli Stati, come possiamo pensare di vivere in democrazia? Una volta di più è dimostrato che la politica è ormai sottomessa dalla finanza, e finchè la situazione non cambierà questo sistema continuerà a ripetersi ciclicamente finchè non ci avranno spolpati del tutto.

Di banche tanto grandi da tenere in pugno l'economia di un Paese ne dovrebbe esistere solo una, e dovrebbe essere categoricamente nazionalizzata, in modo che torni a lavorare per il benessere della collettività e non per sfruttarla. E' nostro diritto e nostro dovere pretenderlo.

giovedì 6 marzo 2014

Da Benigni a Sorrentino: cosa è cambiato?

Tutti noi abbiamo riso e pianto, meravigliosamente stupefatti di fronte alla grande bellezza di un capolavoro indiscusso del cinema italiano e mondiale, che 15 anni fa portava il suo strabiliante regista ed attore protagonista alla vittoria di tre Oscar (miglior film straniero, migliore attore protagonista, miglior colonna sonora). "La vita è bella" di Roberto Benigni è rimasto e rimarrà nella storia come un meraviglioso inno alla vita, all'amore, ai sentimenti, alla spontaneità, alla bellezza, alla positività. 

E se ci pensate, è l'impresa più difficile in assoluto, fare in modo che un film ambientato in buona parte in un campo di concentramento nazista venga classificato così. Pur nel pieno dell'orrore, nel culmine della cattiveria umana, nell'apoteosi dell'ingiustizia, riusciamo a sorridere grazie alla straordinaria umanità di un padre e al suo immenso amore per il figlio, grazie alla sua inventiva, alla sua tenacia, alla sua costante positività.

Dopo 15 anni è stato premiato con l'Oscar al miglior film straniero "La grande bellezza" di Paolo Sorrentino. Mai titolo è stato più ingannevole, perchè spinge in qualche modo a pensare che i due ultimi film italiani vincitori dell'Oscar possano avere qualcosa in comune. Invece scorre tra i due un abisso incolmabile, perchè se "La vita è bella" è un inno alla gioia, anche nelle difficoltà e nell'orrore, "La grande bellezza" è l'apoteosi della malinconia, della nostalgia, del vuoto esistenziale di un uomo, e dell'intera società che lo circonda, pur se immersi nella meravigliosa e ineguagliabile atmosfera di una Roma davvero magica. E' la storia della decadenza e dell'abbruttimento interiore di una società fondata su valori totalmente sballati, fondata sul denaro, sul vizio, sull'ipocrisia, sul nulla. Fatta di persone che "non vanno da nessuna parte". Le loro vite sono vuote e inutili, affogate ogni giorno nel fasto spumeggiante di una festa diversa.

Nel corso del film il protagonista attraversa momenti di crescente consapevolezza dell'insensatezza di una simile esistenza, e disperatamente ne ricerca un significato più alto. Le sue riflessioni conclusive sono illuminanti per capire il messaggio del film:  "Finisce sempre così, con la morte, prima però c’è stata la vita, nascosta sotto i bla bla bla bla. È tutto sedimentato sotto il chiacchiericcio e il rumore: il silenzio e il sentimento, l’emozione e la paura, gli sparuti incostanti sprazzi di bellezza e poi lo squallore disgraziato e l’uomo miserabile. Tutto sepolto nella coperta dell’imbarazzo dello stare al mondo, bla bla bla bla. Altrove c’è l’altrove, io non mi occupo dell’altrove, dunque che questo romanzo abbia inizio. In fondo è solo un trucco, sì è solo un trucco."

Il senso della vita per Jep Gambardella è ricordare l'unico momento in cui si è sentito sopraffare dall'emozione, l'unico attimo in cui si è sentito davvero vivo, che da solo rende la sua vita degna di essere vissuta, per rivivere quel momento e raccontarlo, oltre che a se stesso, agli altri, tramite un romanzo. Ma è solo un trucco, perchè quel momento non tornerà più, e il ricordarlo dà un'emozione illusoria, che momentaneamente allontana dallo "squallore disgraziato" dell' "uomo miserabile". La natura umana è destinata, nella migliore delle ipotesi, alla sofferenza, quando riesce a sfuggire alla mediocrità. Per i più fortunati, ci sarà qualche sparuto attimo di bellezza e di felicità nel corso di tutta una vita, che la renderanno degna di essere vissuta. 

Crediamo che il confronto tra questi due capolavori metta in luce una visione della vita diametralmente opposta. Da un lato il nulla nel tutto, dall'altro il tutto nel nulla. Pessimismo e malinconia contro positività e gioia, due modi di essere che fanno entrambi parte di noi, della nostra natura umana così variegata e multiforme. Non è un caso che in un periodo così difficile e tetro per il nostro Paese emerga un sentimento di negatività diffuso, una disillusa consapevolezza di decadenza e di disfatta che lascia un sapore amaro in bocca, ma non possiamo permettere che questo uccida la speranza.

E' proprio nei momenti di difficoltà che dobbiamo trovare il coraggio e la forza di lottare, senza abbandonarci alla facile disperazione, alla rassegnazione e all'apatia. "La grande bellezza" mostra un'Italia che ha ormai toccato il fondo, ma è "La vita è bella" che ci indica la strada verso la salvezza. Prendiamo quindi esempio da Guido-Benigni, che ci insegna come, persino se sopraffatti dalla paura e dalla disperazione, abbiamo dentro di noi una forza straordinaria, sta a noi e soltanto a noi tirarla fuori. 

Non smettiamo mai di lottare per ciò che amiamo, perchè la vita è bella.


mercoledì 5 marzo 2014

L'Italia con l'euro: un Paese del terzo mondo

Nel 2011 il premio Nobel per l'economia Paul Krugman ha dichiarato che l'Italia, entrando nell'euro, si è trasformata da potenza economica e industriale a Paese del terzo mondo. In questo articolo cercheremo di capire il come e il perchè di questa affermazione.

Innanzitutto andiamo a vedere com'è la situazione, per l'appunto, nei Paesi del terzo mondo. I prestiti che questi hanno contratto dall'inizio degli anni '70 con i Paesi ricchi sono espressi in valuta estera, in genere in dollari, e ciò ha comportato grossi problemi, soprattutto in seguito alla crisi del petrolio del 1978 e alla pesante rivalutazione del dollaro sui mercati finanziari mondiali avvenuta nel 1980. In seguito a questi due eventi, infatti, i tassi di interesse sono schizzati alle stelle e il debito, che come si è detto era denominato in dollari, è divenuto improvvisamente enorme. A sua volta la palese insostenibilità del debito ha causato poi negli investitori una diffusa sfiducia verso i Paesi indebitati, e ciò si è inevitabilmente riflesso in ulteriori aumenti dei tassi di interesse e continue svalutazioni della moneta locale. Il risultato di tutto questo è che nel 1998 per ogni dollaro ricevuto in prestito, i Paesi poveri ne dovevano ripagare 13. A questo punto però i Paesi ricchi, tramite il Fondo Monetario Internazionale, hanno suggerito una soluzione "indolore" ai debitori: concedere nuove scadenze e nuovi prestiti, chiedendo in cambio "solamente" di mettere in pratica determinate politiche, le cosiddette politiche di aggiustamento strutturale. In pratica si è imposto di distruggere lo stato sociale, di abbassare i salari, di svendere le aziende migliori alle multinazionali, insomma di rendere il Paese appetibile per il capitale occidentale. Il debito al contrario non è certamente scomparso e non scomparirà mai, anzi continua ad aumentare.

Ecco,  con l'euro l'Italia è diventata ufficialmente un Paese del terzo mondo, in quanto il suo debito è valutato in una moneta estera (l'euro). Non abbiamo più alcun potere sul debito, così come non ce l'avevano quei Paesi poveri che cominciarono ad indebitarsi in dollari. Ci siamo ridotti a dover prendere in prestito la moneta di qualcun’altro, con tutte le perdite di flessibilità che tale operazione comporta. In particolare, siccome i Paesi dell’area euro non possono stampare moneta neanche in casi di emergenza, siamo obbligati a finanziarci andando a bussare ai mercati e siamo quindi soggetti a interruzioni di finanziamenti, a differenza dei Paesi che invece hanno mantenuto la propria moneta. Inoltre la perdita di sovranità monetaria ha determinato un elevato rischio di default che ha reso i tassi di interesse sul nostro debito ancora più alti, aggravando ulteriormente la situazione. E ora che siamo sull'orlo del baratro indovinate un po'? Anche noi, come i Paesi africani, potremo godere di tassi agevolati e nuovi finanziamenti, ma solo a patto di portare a termine le indispensabili riforme strutturali, i famosi "compiti a casa".

Giusto per dare un'idea di dove vogliono portarci con queste riforme: la cifra che il Nicaragua stanzia per la sanita' e' un quarto di quella che spende per ripagare il debito; il Mali rimborsa agli investitori piu' della propria spesa sanitaria e un bambino su quattro muore prima dei cinque anni; nello Zambia la somma pagata per il debito supera la spesa per sanità e istruzione, e si potrebbe continuare a lungo.

Ma ormai questi numeri non sono fantascienza nemmeno per noi. Pensate che negli ultimi 30 anni, ovvero dal divorzio tra Stato e Bankitalia (l'inizio della fine per noi), abbiamo sborsato 3100 miliardi di euro di interessi (il 198% del nostro PIL) ed il rapporto debito pubblico/PIL nel frattempo è più che raddoppiato (dal 60% al 130%). Ma la cosa più "divertente" è che dal 1993 al 2012 abbiamo accumulato un Saldo primario (entrate - spese, al netto degli interessi) positivo di ben 740 miliardi di euro (qui ci sono tutti i dati). In pratica, nonostante tutte le riduzioni di spesa pubblica che abbiamo dovuto sopportare negli ultimi 20 anni e tutti i sacrifici che ne sono derivati, e nonostante ciò abbia permesso di accumulare un surplus di 740 miliardi di euro, il debito non solo non si è ridotto, ma è addirittura più che raddoppiato per via degli interessi. Capito? Ci dicono che bisogna tagliare ogni spesa, fatta eccezione per quella per interessi ovviamente. E' per questo che ormai le nostre tasse finanziano sempre più il debito ed il pagamento degli interessi, e sempre meno servizi reali e tangibili di cui necessitiamo e da cui dipendono le nostre vite.

Il debito pubblico serve proprio a questo, a piegare e dominare le nazioni. Se con il divorzio tra Stato e Bankitalia si era creato il "fantasma" debito pubblico, con i vincoli stabiliti dal trattato di Maastricht esso è divenuto un problema reale e concreto (come abbiamo spiegato in questo articolo) e con l'euro è stato svincolato da ogni controllo da parte dello Stato. Ora infatti siamo completamente in balia dello spread, in quanto non c'è più una Banca Centrale che funge da prestatrice di ultima istanza e i tassi di interesse sono stabiliti unicamente dai mercati finanziari. Ma il bello arriva solo ora, perchè con la scusa di un debito pubblico ormai enorme e tassi di interesse usurai ci stanno costringendo a svendere il patrimonio pubblico, a privatizzare servizi fondamentali come la sanità e ad accettare un suicidio collettivo chiamato Fiscal Compact (se ancora non sai che cos'è corri a leggere questo post). E se pensiamo che tutto ciò servirà a migliorare le nostre condizioni, allora non abbiamo capito ancora niente di come gira il mondo.

Ci resta solo una scelta: recuperare le sovranità monetaria ed economica. Il resto sono chiacchiere che servono a riempire la pancia ai banchieri.

lunedì 3 marzo 2014

Tu da che parte stai?

Ormai da millenni l'uomo è impegnato in un percorso di crescita e civilizzazione in cui impara sempre meglio a conoscere se stesso e a vivere in armonia con i propri simili. Per questo nel corso della storia siamo passati da forme di governo autoritarie e dittatoriali a forme di governo democratiche e di diritto. Abbiamo sentito l'esigenza di darci delle regole, di coordinare i nostri interessi e indirizzarli verso il bene comune. 

Questo percorso ha raggiunto il proprio culmine nei moderni stati democratici, dove finalmente, dopo grandi lotte e conquiste, tutti i cittadini (uomini e donne) vantano dei diritti fondamentali come la possibilità di scegliere i propri rappresentanti nelle sedi istituzionali e una serie di diritti come quelli alla salute, all'istruzione e ad una vita dignitosa. 

Fino ad ora quindi si può dire che la parte sana è riuscita ad erodere e a sottomettere progressivamente quegli interessi egoistici e opportunistici  che impedivano il raggiungimento di un benessere collettivo. Nel tempo sono sorti valori e principi ritenuti essenziali ancora oggi, e tutto ciò ad opera dell'intelletto umano, che tramite l'ideazione di regole civili, economiche e sociali si è concentrato sulla costruzione di una società che fosse migliore per tutti. 

Ma allora oggi cosa sta succedendo? Perchè le parole "liberalizzazione" e "deregolamentazione" dei mercati si sentono sempre più spesso, in contrapposizione ad una presunta inefficienza e dannosità dello Stato e delle sue regole? 

Per rispondere a questo quesito, innanzitutto è necessario capire che il modello neoliberista (che abbiamo approfondito in questo articolo) non rappresenta una volontà popolare che si è improvvisamente resa conto della necessità di abolire lo stato e le sue regole (che democraticamente il popolo stesso si è dato) al fine di poter valorizzare e massimizzare le proprie abilità commerciali e finanziarie. Al contrario, il modello neoliberista e tutti i sacrifici che esso inevitabilmente comporta sono stati, e continuano ad esserlo, imposti alla collettività dall'alto, evidentemente da quei pochi che rivogliono indietro vecchi privilegi e poteri. 

Si tratta del colpo di coda di quella parte marcia dell'umanità che negli ultimi 60 anni si è vista sottomettere dalla collettività ed ora cerca di imporci nuovamente forme di governo dittatoriali in cui i diritti dell'uomo sono eliminati e calpestati. 

D'altronde se chi ci viene a raccontare che lo Stato è inefficiente, e che quindi dobbiamo al più presto privatizzare e liberalizzare i mercati, siede al governo senza alcuna legittimazione popolare, così come i precedenti due capi di governo che avevano iniziato questa opera di distruzione degli interessi della collettività, questo non può essere un caso. 

Il popolo non ha più voce in capitolo; il giorno dell'insediamento del nuovo Presidente del Consiglio nominato ci sono militari e polizia ad ogni angolo di strada, ed in piazza a Montecitorio non ci si può neppure entrare. Stiamo tornando in dittatura, una nuova dittatura che fa leva sul debito pubblico e sullo spread. Sono questi valori economici che ci impongono tagli del welfare, tasse sempre più alte e un continuo annichilimento dei nostri diritti fondamentali, come ad esempio quello basilare di poter eleggere i propri rappresentanti in Parlamento e al governo. 

In questa nuova dittatura (ne abbiamo parlato anche qui) vediamo tanti burattini che si alternano e fanno finta di combattersi dandoci l'impressione di un cambiamento e riaccendendo periodicamente in noi l'illusione di una speranza. Nel nuovo sistema chi governa sul serio non si espone più in prima persona, ma si nasconde dietro questi burattini e quegli indici economici tramite i quali controlla ogni dinamica politica ed economica di un Paese. 

E' ora di abbandonare la dicotomia destra-sinistra, perchè semplicemente non esiste. Oggi l'unico confronto che può essere fatto, e siamo chiamati a fare, è tra chi difende questo sistema, e quindi i burattini che ci vengono imposti dall'alto per completare opere di liberalizzazione e privatizzazione di settori nevralgici dell'economia, e chi invece tenta di opporsi a questo sistema, ovvero coloro che tantano di restituire al popolo la propria sovranità e i propri diritti fondamentali. 

Ormai è il tempo delle scelte, e conviene sbrigarsi a schierarsi dalla parte giusta. Un giorno potremmo non avere più nemmeno questa scelta.

domenica 2 marzo 2014

Salva-Roma o Svendi-Roma?

La vicenda romana degli ultimi giorni ci ricorda come, nell'attuale sistema economico e politico, anche una capitale di importanza storica e culturale unica al mondo come Roma possa fallire da un giorno all'altro, senza preavviso. Evidentemente la Grecia non è poi così lontana, e non solo geograficamente.

E' chiaro che se l'unico parametro preso a riferimento per valutare la gestione di un comune (o di un Paese) riguarda il pareggio di bilancio, essere dotati di uno sterminato patrimonio storico, artistico e culturale diventa un fardello troppo pesante da sopportare. Il personale necessario alla manutenzione e sorveglianza di queste opere e alla gestione della mobilità di milioni e milioni di turisti diventa troppo oneroso per un singolo comune, seppur grande come Roma. 

E poi anche le oltre 500 manifestazioni che ogni anno hanno luogo, come è ovvio che sia, nella capitale, comportano spese per il mantenimento dell'ordine pubblico non trascurabili. Quindi dovremmo smettere di protestare (così da far risparmiare risorse preziose al governo)? Oppure forse c'è qualcosa che non va in questo sistema (e quindi protestare ancora di più)?

Ovviamente, manco a dirlo, il governo è per la prima soluzione: il pareggio di bilancio prima di tutto! Con le nuove norme Salva-Roma si decide infatti di trasferire a Roma 570 milioni di euro, tra l'altro derivanti dai tributi versati dai cittadini romani stessi, per ripianare i debiti della capitale. Ma ovviamente dare a Roma soldi che le spettavano già di diritto non era l'obiettivo perseguito dal governo. Come ormai siamo abituati a dover constatare, anche questa non era che una scusa, un modo carino per dire a Roma che le cose dovevano cambiare. Infatti in cambio della "concessione" fatta, la squadra di Renzi ha dettato alcune condizioni tra cui la riduzione della spesa pubblica, la progressiva privatizzazione e liberalizzazione dei servizi, e anche la svendita del patrimonio pubblico. Tutte condizioni necessarie per la riduzione dell'indebitamento, verso l'equilibrio di bilancio. Insomma, le solite fissazioni dei neolibersti che, ahinoi, ci provano sempre.

In realtà il fantasma del debito pubblico e il dogma del pareggio di bilancio sono stati propagandati a partire dagli anni '70 dagli stessi neoliberisti, e non hanno alcun fondamento scientifico (ne abbiamo parlato in questo articolo). Non esiste, in economia, un limite oltre il quale il debito pubblico vada considerato eccessivo o dannoso. Anzi, la stessa dottrina economica dimostra come la spesa a deficit dello Stato abbia effetti positivi sull'economia e sul benessere di un popolo. Al contario invece, le cure che ci vengono proposte dai neoliberisti per far fronte al mostro del debito pubblico (da loro stessi creato) non hanno mai dato alcun beneficio ai cittadini su cui sono state imposte. L'unico risultato che questi hanno ottenuto infatti è quello di pagare tasse più alte (per la riduzione del debito), ricevere sempre meno servizi e di peggior qualità e, per i dipendenti pubblici, perdere il posto di lavoro o ricevere uno stipendio più basso. Evidentemente in questo sistema c'è qualcosa che non va.

Noi non possiamo accettare un sistema in cui i diritti sociali e civili di un popolo devono essere quotidianamente sacrificati, in cui il dovere di conservare un patrimonio storico e artistico unico al mondo come quello di Roma viene anch'esso in secondo piano, e il tutto per via del rispetto di infondati ed arbitrari parametri economici.

L'unico modo per uscire da questo ricatto finanziario è quello di far capire a chi continua a presentarci ricette mortali come fossero cure miracolose e salvifiche che non ci caschiamo più, che quello che vogliamo è riprenderci le nostre sovranità, da quella monetaria a quella politica, e che non accettiamo alcun tipo di compromesso.

E' il momento di cambiare, ma sul serio questa volta.


sabato 1 marzo 2014

Basta guerre tra poveri!

Oggi vi chiediamo qualche minuto del vostro tempo per un piccolo esercizio di immedesimazione. 

Immaginate di tornare al giorno della vostra nascita, e immaginate che il luogo sia diverso. Non tra le candide lenzuola di un ospedale occidentale, ma in un'altra zona del mondo, non in quella piccola porzione in cui la ricchezza è data per scontato, in cui sappiamo di meritarci condizioni di vita dignitose, diritti sociali, felicità. Crescete, e nel corso della vostra nuova vita di lotta quotidiana contro la miseria, la denutrizione, la malattia, la guerra, gli abusi, la morte, conoscete le parole giustizia, libertà, orgoglio, felicità come se fossero utopie, chimere irraggiungibili, che non potrete mai avere. Dovete fare 10 chilometri ogni giorno per raggiungere un pozzo da cui attingere quel minimo d'acqua che serve a voi e ai vostri figli per rimanere in vita, li vedete crescere deboli e denutriti, senza speranza, proprio come voi, e senza la possibilità di un futuro diverso dal vostro, condannati ai destini più ingrati, ad essere bambini soldato o a cucire scarpe per i bambini ricchi, e, una volta cresciuti, a preoccuparsi unicamente per la propria sopravvivenza e per quella della propria famiglia, tra gli stenti, esattamente come voi, fino alla fine. 

Ma sapete che in altre zone del mondo la vita non è così, avete visto cartelloni pubblicitari di bambini grassottelli e sorridenti, dai denti bianchi e gli occhi felici, di famiglie gioiose attorno a una tavola imbandita, e avete iniziato a sognare di poter avere anche voi, un giorno, una vita che sia pure lontanamente simile a quella. 

Nel frattempo nel vostro Paese è iniziata un'altra guerra, la lotta per la vita è ancora più difficile, per poter proteggere i vostri bambini siete costretti ad abbandonare i vostri due stracci e a tentare un viaggio infernale attraverso il deserto, per poi affidarvi alla cieca a chi promette di farvi raggiungere l'occidente, di farvi attraversare quella striscia di mare che separa voi e la vostra famiglia dalla tanto agognata pace, dalla tanto agognata felicità. 

Il barcone è sovraccarico, non avete più acqua, il viaggio sembra durare un'eternità, metà dei passeggeri muoiono, tra cui i vostri figli, con la gola secca come carta vetrata, il volto spellato dal sole, gli occhi spalancati su di voi, ultima immagine della loro breve vita. 

Il dolore quasi vi uccide, ma riuscite finalmente a raggiungere la terra promessa, vi accolgono, vi danno un po' d'acqua e di cibo e vi spediscono in un "centro di identificazione e di espulsione", in cui di fatto dovrete stare rinchiusi finchè qualcuno non deciderà cosa fare di voi, se vi meritate di rimanere, o se, dopo tutte le fatiche e i sacrifici, sarete rimandati a casa. Ma passano i mesi e la vostra condizione è ancora quella di sospesi nel limbo, nessuno si cura di voi, nessuno vi dà delle risposte, avete qualcosa da mangiare, ma intorno a voi solo sbarre e porte chiuse, siete come cani rinchiusi in un canile. Perchè a nessuno importa nulla di voi? 

Nel tentativo di dare voce alle vostre condizioni decidete così di fare un gesto disperato, nella speranza che servirà a smuovere la coscienza di qualche persona onesta. Vi cucite le labbra con ago e filo, in segno di protesta, rifiutate di mangiare e di bere, perchè non siete cani, è tutta la vita che vivete come animali che lottano per sopravvivere, ma avete diritto anche voi a un futuro, a un briciolo di felicità. Ogni essere umano ne ha diritto.

Allora abbiamo ancora il coraggio di dire che gli immigrati non devono permettersi di scappare dalle loro terre maledette dalla fame e dalla guerra perchè qui noi già abbiamo i nostri problemi e le nostre battaglie quotidiane da combattere? E poi siamo sicuri di poter dare a loro la colpa per le immani ingiustizie che devono sopportare nei loro Paesi?

D'altro canto è comprensibile come, con il progressivo impoverimento che sta colpendo anche noi italiani, sempre più persone diventino intolleranti nei confronti degli stranieri, che sono spesso visti come antagonisti che vengono a rubare posti di lavoro e case popolari e rendono meno sicure le nostre strade. Ma non è con odio e generalizzazioni che risolveremo i problemi. Tra l'altro, quanti di noi nelle loro condizioni sarebbero disposti ad accettare passivamente di vendere rose alle coppiette per la strada, sentendosi perennemente degradati e insultati? Quanti di noi camminerebbero senza protestare, sulla sabbia rovente, con un carico di collanine e braccialettini sulle spalle, per chilometri e chilometri di spiaggia? Quanti di noi trascorrerebbero i propri anni migliori in un Paese straniero e ostile, soli e lontani dalla famiglia, accettando qualsiasi genere di lavoro per poter mandare a casa qualche spicciolo?

Non stiamo cercando semplicemente di giustificare le ondate migratorie verso i cosiddetti Paesi ricchi, ma vogliamo spingervi a riflettere sulle cause. In un mondo giusto tutti dovrebbero avere di che vivere dignitosamente nelle rispettive nazioni, nessuno dovrebbe essere obbligato a fuggire dalla propria casa. Non è colpa dei popoli, dei deboli, degli oppressi, se nei loro Paesi di origine ci sono guerre e carestie, queste persone sono schiave dello stesso sistema malato che ci ha imprigionato nell'insoddisfazione e sta rendendo anche noi sempre più poveri e vulnerabili. L'errore più grande che possiamo fare è di incrementare divisioni e intolleranze, di scagliarci l'uno contro l'altro, di non metterci nei panni del nostro prossimo, perchè in questo modo facciamo solo gli interessi di coloro che traggono vantaggi dalla miseria e dalla sottomissione di intere  e sempre più numerose popolazioni.

Ecco, solo questo. Ripartiamo dal rispetto per gli altri, tutti gli altri, e abbandoniamo l'idea terribile che esistano esseri umani di serie A e di serie B. Forse partendo dal rispetto reciproco riusciremo a lottare per una felicità che sia di tutta l'umanità, perchè uniti si vince, il nemico è lo stesso per tutti, il nemico è l'avarizia, il capitalismo sfrenato, l'opportunismo, l'inestinguibile sete di ricchezza a spese altrui. Possiamo e dobbiamo combattere questa visione distorta della vita e del mondo, ma non dobbiamo farlo solamente per noi, per salvare il nostro orticello a spese di tutti coloro che ne rimangono fuori, altrimenti non potrà mai cambiare nulla davvero, perchè è proprio questa la mentalità che ci sta distruggendo. 

Dobbiamo combattere tutti insieme per i nostri diritti e per quelli altrui, per il bene del nostro mondo e dell'intera umanità.