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giovedì 31 luglio 2014

Chi ha ucciso L'Unità?

Da domani, come saprete, le pubblicazioni del quotidiano L'Unità saranno sospese a tempo indeterminato a causa della bancarotta che ha investito la sua casa editrice Nuova Iniziativa Editoriale S.P.A.

Qui sotto riportiamo la prima pagina dell'edizione di ieri, la penultima:


"Hanno ucciso L'Unità" titolava a caratteri cubitali. E a corredo troviamo anche una nostalgica citazione del suo storico fondatore Antonio Gramsci: "“Dovrà essere un giornale di sinistra. Io propongo come titolo l’Unità puro e semplice che sarà un significato per gli operai e avrà un significato più generale”. 

Certo, una prima pagina ad effetto, ma adesso ci rivolgiamo a voi giornalisti dell'Unità: ci fate davvero così deficienti? 

"Hanno ucciso L'Unità"? E il soggetto? Chi sarebbe lo spietato killer che ha visto in voi un nemico tanto pericoloso e scomodo da non permettervi di continuare a stampare il vostro giornale? Ci dispiace costringervi a guardare in faccia la realtà, ma questa volta siete voi i "complottisti". La verità è che in Italia nessuno sentirà la mancanza del vostro giornale, anzi, su Facebook e Twitter si festeggia. Ma eccovi un po' di numeri: nel 2003 L'Unità vendeva 68.554 copie al giorno; oggi non arriva nemmeno a 21.000 copie. E nello stesso periodo avete incassato finanziamenti pubblici per ben 58.453.122,86 di euro, che comunque non sono bastati a salvare il quotidiano dalla bancarotta. Serve altro a capire che i veri assassini del giornale fondato da Gramsci siete voi

Fa rabbia poi sentire il Consiglio di Redazione parlare di "giorno di lutto per la democrazia". Come fate a parlare ancora di democrazia? Proprio voi! Voi che il 13 novembre 2011 titolaste così il vostro giornale:


Il giorno in cui un governo democraticamente eletto dai cittadini italiani fu illegittimamente destituito e sostituito da un vero e proprio regime spacciaste quel colpo di stato per "La liberazione". E da allora fino ad oggi avete sempre cotinuato ad acclamare come salvatori della patria tutti i vari burattini che di volta in volta i poteri finanziari hanno deciso di imporci, ovviamente senza il benchè minimo consenso democratico. Quando un giornale come il vostro sparisce, per la democrazia è una vittoria.

E vogliamo parlare della prima pagina del vostro quotidiano in occasione dell'approvazione del decreto Imu-Bankitalia con tanto di ghigliottina? Bene, eccola qua:


Cioè, il governo regala di fatto 7,5 miliardi di euro a banche e assicurazioni private zittendo le opposizioni e voi titolate: "Respinto l'assalto di Grillo"?  E poi ancora: "Contro l'ostruzionismo sull'Imu usata per la prima volta la norma "taglia-dibattito". Quindi: le legittime proteste contro una clamorosa truffa ai danni del popolo italiano diventano "l'ostruzionismo sull'Imu" mentre l'anti-democratica ghigliottina diventa "la norma taglia-dibattito". E ancora vi chiedete perchè la gente vi odi tanto?

Gramsci sognava un "giornale di sinistra", il giornale del popolo e per il popolo. Ecco perchè siete voi gli assassini dell'Unità, perchè avete tradito la memoria del suo fondatore e l'intero popolo italiano. Vi siete trasformati in un giornaletto di propaganda qualunque, l'esatto contrario di ciò che aveva in mente Gramsci quando la lotta contro il regime fascista gli costò 20 anni di carcere. Con il vostro servilismo vi siete resi complici dell' economicidio che in pochi anni ha causato migliaia di suicidi, milioni di disoccupati, l'annichilimento del nostro settore produttivo, la fuga all'estero di intere generazioni e un degrado sociale e culturale senza precedenti.

Se aveste avuto un minimo di dignità, perlomeno sareste spariti in silenzio. 

mercoledì 30 luglio 2014

Un nuovo allarmante record sbugiarda Renzi: ecco cosa ci aspetta

Dopo il 40,8% ottenuto alle scorse elezioni europee il governo Renzi mette a segno un nuovo record. Questa volta però c'è poco da andarne fieri dato che rigurda la pressione fiscale effettiva italiana, divenuta ormai la più elevata al mondo. Ad affermarlo è la Confcommercio nel suo ultimo rapporto dal titolo "Fiscalità e crescita economica". 

Dalla lettura del documento scopriamo che in Italia, dal 2000 al 2013, a fronte di un aumento della pressione fiscale del 5%, il Prodotto inerno lordo (PIL) pro capite è sceso del 7%. Caro Prodi, ma con l'euro non dovevamo "lavorare un giorno in meno guadagnando come se lavorassimo un giorno in più"? Dai dati sembrerebbe che le cose stiano andando in senso diametralmente opposto, e questo terribile trend non accenna a rallentare.

Neppure il governo Renzi sembra fare eccezzione: da quando si è insediato a Palazzo Chigi, in appena 4 mesi, abbiamo assistito all'aumento del bollo auto, dell'Imu sulle seconde case, della Tasi, delle tasse sul risparmio, dei costi per il rilascio del passaporto, delle accise sulla benzina, del prezzo delle sigarette e delle tasse sull'acquisto di dispositivi dotati di memoria digitale. Ma del resto, mentre TV e giornali continuavano a benedire i famosi 80 euro promessi da Renzi come fossero manna dal cielo, il governo, all'interno del Documento Economico e Finanziario (Def) di aprile, aveva già annuncianto che nel 2014 la pressione fiscale sarebbe aumentata dello 0,2%. Non c'è che dire, il nostro nuovo record sembra essere in buonissime mani.

E mentre le tasse aumentano, il PIL continua a diminuire. Del -0,1% nel primo trimestre di quest'anno (dati Istat di cui vi parlammo già in questo articolo), e non c'è alcun motivo di credere che le cose possano andar meglio d'ora in poi. All'interno del Def il governo aveva previsto una crescita del +0,8% per il 2014, ma tutti i massimi organismi nazionali e internazionali, dall'Istat all'Ocse passando per il Fondo Monetario Internazionale, negli ultimi mesi hanno già provveduto a tagliare al ribasso questa stima. E non è da meno la Confcommercio, che in questo suo ultimo rapporto prevede una crescita del Pil per il 2014 pari al +0,3%

Sapete cosa vogliono dire tutti questi numeri? In due parole: manovra correttiva. Una crescita prossima allo 0 infatti renderebbe impossibile per il governo chiudere il 2014 con un deficit che non superi il 2,6%, e se si tiene conto che il Consiglio Europeo ha recentemente raccomandato all'Italia di procedere verso l'obiettivo del pareggio di bilancio già nel 2014, per poi raggiungerlo nel 2015 (invece che nel 2016, come richiesto dal nostro governo), tale manovra appare davvero inevitabile. Il suo ammontare esatto è ancora difficile da prevedere, probabilmente si aggirerà sui 20 miliardi di euro, ma quel che è certo è che mentre il governo continua a negare, c'è una sonora stangata ad attenderci.

Prepariamoci ad un autunno "lacrime e sangue" e ad un 2015 ancora peggiore, alla faccia del "cambiamento" e di chi l'ha votato.

domenica 27 luglio 2014

L'Italia cambia verso: ADDIO DEMOCRAZIA

Questi sono giorni caldi, se non per la stagione estiva, sicuramente per il clima politico. I nostri parlamentari stanno discutendo sull'approvazione del DDL 1429 titolato "revisione della Parte II della Costituzione". Discutendo per modo di dire, visto che al Senato è già stata utilizzata la tagliola per "contingentare i tempi e scongiurare l'ostruzionismo delle opposizioni". Sono stati quindi previsti paletti temporali per gli interventi di ogni gruppo parlamentare, adducendo come motivazione una presunta e incalzante urgenza per l'approvazione della riforma della Costituzione. Poco importa se si tratta di una materia che, data la sua importanza, richiederebbe come minimo lucidità, dialogo, confronto e un'adeguata tempistica, specialmente considerando le perplessità di un'ampia fetta di opinione pubblica che comprende anche numerosi giuristi e intellettuali (ad esempio consigliamo questo articolo di Aldo Giannulli), che leggono come una evidente deriva autoritaria l'istituzione di un Senato non elettivo e la parallela approvazione di una legge elettorale che presenta gli stessi vizi di incostituzionalità del Porcellum (premio di maggioranza spropositato e assenza delle preferenze). Per cercare di comprendere le ragioni di tutta questa fretta del Governo, vi invitiamo innanzitutto a dare un'occhiata al testo ufficiale del disegno di legge, che potete trovare qui (per un confronto con la Costituzione ancora intatta, la potete trovare a questo link). Può essere molto utile per fare un po' di chiarezza, oltre gli slogan e sicuramente oltre i "colpi di sole". Vediamone insieme alcuni punti salienti. 

Partiamo da quello che consideriamo un chiaro segnale della direzione verso cui puntano le modifiche costituzionali. Il "vecchio" articolo 67 recita: "Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato." Se le riforme renziane verranno approvate, questo articolo verrà sostituito dal seguente: "I membri del Parlamento esercitano le loro funzioni senza vincolo di mandato". Insomma, i membri del Parlamento non rappresenteranno più la Nazione, ne saranno svincolati.

Ovviamente poi, per rendere non elettivo il Senato, il disegno di legge in questione abolisce l'articolo 58 della Costituzione, secondo cui "i senatori sono eletti a suffragio universale e diretto dagli elettori che hanno superato il venticinquesimo anno di età. Sono eleggibili a senatori gli elettori che hanno compiuto il quarantesimo anno".

Ma andiamo avanti. Sono emblematiche anche le modifiche agli articoli 78, 79 e 80. Solo la Camera dei deputati avrà il potere di deliberare lo stato di guerra e di attribuire al Governo i poteri necessari. Avrà inoltre il pieno potere di decidere amnistie e indulti, oltre che di autorizzare con legge la ratifica di trattati internazionali. Non serve dilungarsi sulle conseguenze di quest'ultima modifica, se avete sentito parlare di Fiscal Compact, ma soprattutto se avete sentito parlare di TTIP e di Fondo di Rendenzione Europeo, due dei trattati al momento in cantiere e che saranno sfornati molto presto dall'Unione Europea (potete trovare maggiori informazioni rispettivamente qui, qui e qui). Il passaggio dal Senato non sarà più un problema, e questi trattati potranno essere approvati in sordina dalla sola Camera dei deputati, dove lo spropositato premio di maggioranza voluto da Renzi e Berlusconi permetterà al Governo di procedere senza intoppi. Grazie all'Italicum infatti il partito che risulterà vincitore delle elezioni otterrà automaticamente il 53% dei seggi (e questo potrebbe accadere anche se prendesse meno del 20% dei voti, come abbiamo dimostrato in questo articolo). Insomma, sarà una passeggiata, e i tecnocrati di Bruxelles potranno davvero dormire sonni tranquilli.

Continuando a scorrere il nostro documento, leggiamo che verrà abolito il secondo comma dell'articolo 83, riguardante l'elezione del Presidente della Repubblica, che recita: "All'elezione partecipano tre delegati per ogni Regione eletti dal Consiglio regionale in modo che sia assicurata la rappresentanza delle minoranze. La Valle d'Aosta ha un solo delegato". Sembra quindi che la rappresentanza delle minoranze, che evidentemente i Costituenti avevano molto a cuore, non verrà più assicurata.

Inquietanti poi anche le modifiche all'articolo 94, che stabiliscono che il Governo dovrà avere la fiducia esclusivamente dalla Camera dei deputati. Le considerazioni fatte poco sopra riguardo al premio di maggioranza spropositato che deriverà dall'Italicum e che permetterà al partito di maggioranza di ottenere 354 seggi su 725 valgono evidentemente anche per questa modifica. Questi 354 seggi non andranno neppure spartiti con i cosiddetti "partitini" appartenenti alla coalizione vincitrice, data la nuova soglia di sbarramento per i partiti coalizzati, portata dal 2% al 4,5%. In questo caso quindi sarà il Governo in carica a poter dormire sonni tranquilli, dato che ottenere e mantenere la fiducia non rappresenterà più un problema, grazie al tremendo mix Italicum-Senato non elettivo.

Anche le modifiche che verranno apportate all'articolo 135 ci sembrano degne di nota. L'articolo modificato stabilisce che dei 15 giudici di cui è composta la Corte Costituzionale, 5 saranno nominati dal Presidente della Repubblica, 5 dalle supreme magistrature ordinaria ed amministrative, 3 dalla Camera dei deputati e 2 dal Senato delle Autonomie. Rispetto alla Costituzione attuale, il cambiamento riguarda esclusivamente l'ultima parte, in quanto l'originario articolo 135 stabilisce che 5 giudici sono nominati dal Parlamento in seduta comune. Quali sono quindi le implicazioni? Innanzitutto, bastano alcuni semplici calcoli per capire che il partito di maggioranza, grazie all'Italicum e alla riforma del Senato, potrà eleggere da solo il Presidente della Repubblica. Riportiamo un passaggio interessante dell'articolo di Aldo Giannulli sopra riportato per fare chiarezza sul punto: "Con la riduzione del Senato a 95 membri, il Parlamento in seduta comune passa da 1008 membri (più gli ex Presidenti) a 725, per cui la maggioranza assoluta dei votanti scende da 505 a 363 voti. Considerando che l’Italicum prevede un premio elettorale di 354 seggi per il vincitore, si ricava che bastino solo 9 senatori per assicurare al partito di governo il potere di eleggere da solo tanto il Presidente della Repubblica quanto i giudici costituzionali". Inquietante a dir poco, non trovate? Tornando al nostro articolo 135 modificato, possiamo comprendere come la maggioranza della Corte Costituzionale (8 giudici su 15) dopo la riforma di Renzi sarà formata da 5 giudici nominati dal Presidente della Repubblica (e quindi, per i motivi appena chiariti, dal partito di maggioranza) più altri 3 giudici nominati dalla Camera dei deputati, che in virtù del famoso premio di maggioranza sarà totalmente in balia del partito vincitore delle elezioni. Se poi si tiene conto che sia il Presidente della Repubblica e sia la Corte costituzionale dovrebbero essere organi neutrali e di garanzia per un equilibrato assetto democratico, la gravità di queste misure ci sembra inequivocabile.

E' chiaro che le modifiche che il Governo vuole apportare alla Costituzione non sono certo una questione di inutili privilegi da abolire o costi da tagliare, come vuole farci credere Matteo Renzi. Parlare di deriva autoritaria non è, evidentemente, frutto di una sterile polemica dei "gufi" e "rosiconi" di turno. E' la realtà dei fatti, per ora ancora sulla carta, ma se questo disegno di legge verrà approvato diventerà la nostra nuova gabbia, dalle maglie sempre più strette.

martedì 15 luglio 2014

Ecco chi guiderà l'Unione Europea per i prossimi 5 anni

Oggi il Parlamento Europeo ha ratificato, con 422 voti a favore e 250 contrari, quanto deciso nel corso dell'ultimo Consiglio europeo dello scorso 28 giugno: il nuovo presidente della Commissione Europea sarà Jean-Claude Juncker. Si tratta di una decisione di grande importanza e impatto sulle prossime politiche di Bruxelles, dato che la Commissione Europea è l'organo esecutivo dell'Unione Europea, oltre ad essere l'unica istituzione comunitaria cui spetta il potere di iniziativa legislativa.

Nel discorso pronunciato stamane ai parlamentari europei Juncker si è definito "il presidente del dialogo sociale" e ha presentato alcuni aspetti del suo programma per i prossimi 5 anni, tra cui il lancio di un programma di investimenti pubblici e privati da 300 miliardi di euro in 3 anni, la lotta contro il dumping sociale (la delocalizzazione delle imprese in aree in cui il costo del lavoro è inferiore o dove il diritto del lavoro è meno stringente) e il rafforzamento del mercato unico (soprattutto in campo digitale). Tuttavia anche il suo predecessore alla presidenza della Commissione, Josè Manuel Barroso, nel 2009 si era presentato al Parlamento Europeo concentrando l'attenzione sulla necessità di un mercato sociale in risposta alla crisi economica e impegnandosi "a combattere il dumping sociale". Addirittura, per quanto riguarda il bilancio UE, era arrivato a promettere di "portare avanti un approccio basato sulla solidarietà", ma è evidente che di tutte queste promesse si è concretizzato ben poco. A ciò si aggiunga che Juncker, oltre ad una loro puntuale elencazione, non ha dato alcun dettaglio sui suoi punti programmatici, rimandando anzi a febbraio 2015 l'elaborazione di un programma per la crescita e l'occupazione. Per tutte queste ragioni preferiamo concentrarci sulla figura di Juncker piuttosto che sulle sue parole, per testare la sua credibilità e capire se effettivamente possiamo fidarci.

Governatore della Banca mondiale dal 1989 al 1995, Jean-Claude Juncker assunse dal 1995 la responsabilità di Governatore del Fondo Monetario Internazionale e di Governatore della Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo (BERS). Inoltre, dal 1995 al 2013 è stato Primo Ministro del Lussemburgo, un paradiso fiscale, dove esercitava anche le funzioni di Ministro delle Finanze, Ministro del Lavoro e Ministro del Tesoro. Dal 2005 poi Juncker entrò in carica come primo presidente permanente dell'Eurogruppo, il centro di coordinamento che riunisce i ministri dell'Economia e delle finanze degli Stati che adottano l'euro, e mantenne tale incarico fino a gennaio del 2013. In tutti questi anni ha avuto quindi un ruolo centralissimo nella gestione della crisi e nella scelta delle politiche economiche e finanziarie dell'Unione Europea.

Insomma, si tratta di quanto di più vecchio potessimo aspettarci. Dopo elezioni europee in cui in Paesi come Francia e Inghilterra si è imposto il fronte euroscettico e in altri come l'Italia teoricamente ha vinto il "cambiamento", la risposta delle istituzioni comunitarie al crescente malcontento è Juncker, un vecchio insider, uno dei maggiori responsabili delle disgraziate decisioni che hanno portato l’Europa nella sua attuale empasse e un maestro del metodo Monnet. “Prendiamo una decisione, poi la mettiamo sul tavolo e aspettiamo di vedere cosa succede. Se non c’è nessuna protesta, perché la maggior parte delle persone non capisce cosa stiamo facendo, andiamo avanti passo dopo passo fino a quando siamo oltre il punto di non ritorno”, ha dichiarato tempo fa al “Der Spiegel”. Questo era il tasso di democrazia in Europa fino a ieri, e questo continuerà ad essere almeno per i prossimi 5 anni.

Ma oltre ad aver presieduto l'Eurogruppo Juncker, come detto, è stato anche governatore della Banca Mondiale, del FMI e della BERS, tre organismi finanziari internazionali che fanno della diffusione del neo-liberismo a livello globale il loro obiettivo principale. Privatizzazioni, riforme strutturali e apertura ai mercati in cambio di prestiti, questa è la loro ricetta. Vi ricorda qualcosa

Ma anche in patria il nuovo presidente della Commissione Juncker ha giocato un ruolo di prim'ordine per quasi un ventennio. Qui faceva parte del Partito Popolare Cristiano Sociale, un partito di stampo democristiano e fortemente europeista. E ci mancherebbe, se oggi il Lussemburgo è il secondo gestore al mondo di fondi di investimento, dopo gli USA, lo deve proprio agli accordi europei, che gli hanno permesso di estendere i propri clienti da poche centinaia di migliaia di residenti a 350 milioni di potenziali clienti europei. A fronte di poco più di 500.000 abitanti infatti, oggi il Lussemburgo conta ben 3841 fondi domiciliati nel suo territorio che alla fine del 2013 gestivano asset per 2,4 trilioni di euro. E lo stesso discorso vale per il suo sistema assicurativo, che pesa per 4 volte il suo PIL e di un sistema bancario che gestisce asset per circa 18 volte il suo PIL. Come si può pensare che un politico proveniente da una realtà come questa, totalmente dedita alla finanza e di cui solo il 14% del PIL è generato da industria e agricoltura, possa riavvicinare le istituzioni europee all'economia reale e proporre un' efficace regolamentazione finanziaria?

Ma non è finita, c'è un'altra curiosità che riguarda il nuovo presidente della Commissione europea. Nel 2013 infatti Juncker fu costretto a dimettersi da Primo Ministro del Lussemburgo perchè coinvolto in uno scandalo a dir poco inquietante: una Commissione parlamentare presentò un report che descriveva una vera e propria "struttura di polizia segreta", che aveva compiuto migliaia di intercettazioni illegali, organizzato missioni fuori dal suo mandato, spiato politici, acquistato automobili per uso privato con denaro pubblico e accettato soldi in cambio di favori. Insomma, è questa gente che dovrebbe salvarci dalla nostra classe politica corrotta e parassitaria? Siamo messi proprio bene. 

Chi ha votato il PD di Renzi alle ultime Europee sapeva che con questa scelta avrebbe avallato la nomina di un presidente della Commissione che rappresenta la personificazione del liberismo, degli interessi finanziari e di tutte le politiche di rigore e austerity imposte da Bruxelles negli ultimi anni? Sapeva che avrebbe votato per un candidato proposto dalla Merkel unicamente per mantenere lo status quo? Vogliamo sperare di no, ma soprattutto vogliamo sperare che se ne inizi a rendere conto prima di ripetere lo stesso errore. 

lunedì 14 luglio 2014

Italiani sempre più poveri: come uscirne?

Oggi l'Istat ha pubblicato un report dal titolo "La povertà in Italia" e il quadro che ne risulta è a dir poco drammatico. Con riferimento al 2013 le persone che si trovano in condizioni di povertà relativa sono ben 10 milioni, ovvero il 16,6% della popolazione, mentre quelle in povertà assoluta sono circa 6 milioni (il 9,9% della popolazione).

Quando si usa l'epressione "povertà assoluta" si intende "l'incapacità di acquisire i beni e i servizi necessari a raggiungere uno standard di vita minimo accettabile nel contesto di appartenenza". In sostanza è "assoluta" in quanto non considera gli standard di vita prevalenti all'interno della comunità di riferimento e si focalizza sulla disponibilità di beni e servizi essenziali. Quando invece si parla di "povertà relativa" non contano le condizioni materiali dei poveri, bensì la loro distanza dalle caratteristiche della maggior parte della popolazione. Ad esempio l'Istat considera relativamente povera una famiglia di due persone quando consuma meno della media dei consumi nazionali per persona. Una soglia di povertà così individuata, quindi, si muove nel tempo a seconda dei cambiamenti nelle condizioni di benessere generale.

Alla luce di quanto detto finora possiamo dire che oggi in Italia ci sono oltre 6 milioni di persone che non dispongono neppure di beni e servizi essenziali (alimentazione, vestiario, alloggio, salute, ecc...), mentre oltre 10 milioni di persone si trovano in una condizione di povertà relativa rispetto ai consumi medi nazionali. Ma confrontati con i livelli pre-crisi questi dati sono ancora più sconfortanti. Nel 2007 la povertà assoluta riguardava 2 milioni e 400 mila individui, mentre la povertà relativa coinvolgeva 7 milioni e 500 mila persone. Quindi in 6 anni la percentuale di popolazione assolutamente povera è aumentata del 150%, mentre la percentuale di popolazione relativamente povera è aumentata del 33%. E questo nonostante la spesa media mensile per persona (e quindi la soglia di povertà relativa) sia diminuita dai 986,35€ del 2007 ai 972,52€ del 2013.

Insomma, in questi 6 anni di crisi e austerity i consumi sono generalmente diminuiti, i poveri in senso assoluto sono quasi triplicati e ormai il 16,6% della popolazione italiana si trova ai margini della società. Come si può uscire da una situazione tanto drammatica? La risposta è semplice: capendo quali fattori hanno provocato un tale disastro economico e sociale e ponendovi rimedio. 

Sappiamo bene che dagli inizi degli anni '90 la deregolamentazione del mercato del lavoro ha determinato una stagnazione dei salari a vantaggio del grande capitale. Ma si trattava di un vantaggio a corto raggio, dato che poi la stagnazione dei salari ha determinato un calo dei consumi e quindi la crisi di moltissime aziende, che a sua volta ha generato disoccupazione e un ulteriore calo della domanda, in un circolo vizioso senza fine. Per questo si è resa necessaria in quegli anni una ancora più massiccia deregolamentazione, quella del settore finanziario. -Se la gente non può consumare, prestiamogli i soldi- si sono detti. Ma qui gli effetti collaterali sono stati ancora più evidenti: le banche hanno iniziato a concedere sempre più prestiti e ad assumersi sempre più rischi, ben consapevoli che in caso di difficoltá sarebbe intervenuto lo Stato a salvarle. Così, quando alla fine moltissime persone non sono riuscite a ripagare i propri debiti, la bolla è scoppiata e con essa anche la famosa crisi finanziaria con cui siamo alle prese dal 2008. 

Il problema ora è che, di punto in bianco, quando gli Stati sono intervenuti per salvare le proprie banche, accollandosene quindi i debiti, come per magia la crisi del debito privato si è trasformata nella crisi del debito sovrano. E' evidente che non si può pensare di azzeccare la terapia se si sbaglia la diagnosi. Per questo tutte le ricette fatte di tagli alla spesa pubblica, austeritá e rigore imposte dall'Unione Europea negli ultimi anni si sono rivelate dannose oltre che inutili. Quella con cui abbiamo a che fare è una crisi del debito privato e ormai ne conosciamo bene le origini e le dinamiche. Tutto ciò che bisognerebbe fare è promuovere un'effettiva redistribuzione del reddito, ad esempio ricollegando i salari alla produttivitá e potenziando il welfare, e una stringente regolamentazione del settore bancario e finanziario. Ovviamente, il presupposto per poter prendere questo tipo di decisioni è innanzitutto riacquisire la nostra sovranità.

Va da sè però che in gioco ci sono moltissimi interessi. Finchè continueremo a votare Presidenti del Consiglio scelti da Goldman Sachs e dai vari istituti finanziari internazionali, finchè i nostri ministri del Tesoro continueranno a provenire da quella stessa scuola e finchè lasceremo che siano i mercati a decidere le nostre politiche, questa crisi non avrá mai fine, anzi. Ciò che attualmente ci viene proposto dai nostre governanti è esattamente quello da cui dovremmo fuggire. Il pareggio di bilancio, inserito in Costituzione dal governo Monti e vincolante giá dal prossimo anno, e l'ulteriore deregolamentazione e precarizzazione del mercato del lavoro proposti da Renzi ne sono due esempi emblematici. Riusciremo a capirlo prima che sia troppo tardi?

giovedì 10 luglio 2014

I tre colpi d'accetta del PD alla democrazia

Alla vigilia delle elezioni europee ve lo avevamo anticipato che sarebbe stato un voto per scegliere tra democrazia e dittatura. Come sarebbe potuta andare se avesse vinto il M5S purtroppo non lo sapremo mai, ma quel che è certo è che dopo aver ottenuto il 40% dei voti il PD sta facendo di tutto per dare una svolta autoritaria a questo Paese.

Al "Democratellum", una proposta di legge elettorale tendenzialmente proporzionale e provvista di preferenze, Renzi continua a preferire l'"Italicum", una proposta di legge elettorale che prevede un premio di maggioranza spropositato e che non dà la possibilità ai cittadini di esprimere le proprie preferenze. Si noti tra l'altro che proprio per l'esagerato premio di maggioranza e per la mancanza delle preferenze la precedente legge elettorale, il famoso "Porcellum", era stata dichiarata incostituzionale dalla Consulta. Ci vuole davvero un gran corraggio a sostenere Renzi in questa battaglia. 

Ma non è finita. Perchè l'impatto dell'Italicum sulla nostra democrazia sarà ancor più violento qualora accompagnato dall'abolizione del senato elettivo. Sulla pericolosità di tale eventualità hanno già espresso le loro preoccupazioni, come ricorderete, i "professoroni" Roberto Zagrebelsky e Stefano Rodotà, ma il PD sembra non sentirci neppure da quell'orecchio (per approfondire leggi questo articolo). 

La via è ormai segnata e la ferma decisione del governo di sottrarre sempre più potere al popolo, minando alle fondamenta i più elementari principi di rappresentatività democratica, è confermata da tre recenti provvedimenti legislativi passati pericolosamente inosservati. Il primo riguarda la modifica dell'articolo 71 della Costituzione, e prevede che d'ora in poi saranno necessarie 250mila firme, e non più 50mila, per la presentazione di leggi di iniziativa popolare. Il secondo provvedimento, che invece nega all'opposizione di poter fare il proprio mestiere, è la modifica all'articolo 72 della Costituzione, che inserisce la cosiddetta "ghigliottina" addirittura in Costituzione. Dulcis in fundo, a rimarcare ulteriormente l'insofferenza di questo governo verso la partecipazione democratica dei cittadini nelle istituzioni, ecco che arriva anche un terzo provvedimento: per proporre un referendum abrogativo non saranno più sufficienti 500mila firme, ma ne serviranno ben 800mila.

Queste sono le famose "riforme strutturali" urgenti e necessarie che secondo il governo ci salveranno dal baratro economico e sociale. Non aiuti alle piccole e medie imprese in difficoltà, non un sostegno economico ai milioni di disoccupati, esodati e pensionati sotto la soglia di povertà, ma veri e propri colpi d'accetta alla democrazia italiana. Credete davvero che sia la democrazia la radice di tutti i mali? Eravamo ad un bivio, e il 40% di coloro che si sono degnati di fare una scelta hanno preso la strada sbagliata. Per quanto ci riguarda si tratta della cronaca di un delitto annunciato, e siamo solo all'inizio.

martedì 8 luglio 2014

Il fallimento europeo di Renzi

Oggi può dirsi ufficialmente aperto il semestre europeo a guida italiana, con Renzi impegnato al Digital Venice mentre il ministro dell'economia Padoan presiedeva il primo Ecofin della nuova legislatura.

Il Presidente del Consiglio si è dimostrato ancora una volta un abile oratore e, per la gioia dei giornalisti, un infaticabile dispensatore di slogan da prima pagina. "Le idee salveranno l'Europa" è il titolo che si legge in praticamente tutti gli articoli riguardanti il discorso tenuto stamane da Renzi a Venezia, ma ovviamente in nessuno di questi articoli si può leggere cosa si intenda concretamente per "idee" o come le si voglia tentare di implementare. Insomma, in un momento storico in cui tutta l'Europa è impantanata in una crisi economica ed occupazionale di cui non si vede la fine, parlare così vagamente di "idee" che salveranno l'Europa può servire a vendere qualche giornale, forse a tranquillizzare qualcuno, ma in nessun modo potrà risollevare la situazione.

La verità è che l'impatto di Renzi con le istituzioni comunitarie è stato del tutto fallimentare, e questo fin dal primo incontro con la Merkel dello scorso 17 marzo. Prima di diventare Presidente del Consiglio infatti, il 2 gennaio del 2014, Renzi dichiarava apertamente: "Il tetto del rapporto deficit/Pil al 3% è evidente che si può sforare: si tratta di un vincolo anacronistico che risale a 20 anni fa”. Diametralmente opposta è invece la dichiarazione rilasciata appena due mesi dopo dallo stesso Renzi in seguito al confronto con la cancelliera tedesca: "Noi rispettiamo tutti i limiti che ci siamo dati, a partire dai limiti del Trattato di Maastricht. Quindi l'Italia NON chiede di sforare i limiti di Maastricht. L'Italia NON vuole cambiare le regole, dando il messaggio che le regole sono regole cattive."

Dopo questo primo e palese fallimento il governo ha iniziato a giocarsi la carta della "flessibilità". Del resto le importantissime europee di maggio erano alle porte e sempre più cittadini stavano dimostrando palese insofferenza verso i diktat dei tecnocrati di Bruxelles. Così il PD di Renzi si è presentato alle elezioni autoproclamandosi guida del cambiamento in Europa, verso il superamento dell'austerità. Ma nemmeno il tempo di esultare per lo straordinario 40% ottenuto alle cabine elettorali che subito è arrivata la seconda stangata da Bruxelles. Il 2 giugno infatti la Commissione Europea ha pubblicato le raccomandazioni specifiche per l'Italia, dove ci veniva intimato in primo luogo di ridurre il debito e tagliare la spesa pubblica, e in secondo luogo di aumentare il carico fiscale sui consumi e sui beni immobili (quindi più accise, IVA, Imu, Tasi, ecc...). Bel cambiamento.

Ma neppure la Commissione è riuscita a spegnere l'ottimismo del nostro Renzi, che subito ha spostato l'attenzione sull'inizio del semestre europeo a guida italiana. Lì l'Italia avrebbe finalmente potuto far sentire la propria voce e dettare le priorità per l'Unione Europea, affermavano i principali esponenti del PD. E infatti la nuova agenda politica dell'Unione Europea per i prossimi 5 anni, stilata dal Consiglio europeo a fine giugno e firmata anche da Matteo Renzi, esordisce ribadendo che l'austerità sta dando frutti e che bisogna incrementare gli sforzi in tal senso. Meno male.

Ma eccoci finalmente ad oggi, con Renzi che parla delle "idee che salveranno l'Europa" a Venezia e Padoan che illustra il programma economico del semestre europeo all'Ecofin. Per quanto riguarda il discorso di Renzi c'è poco da dire o estrapolare, dato che concetti astratti come "le idee salveranno l'Europa" o "derby ideologico tra austerity e flessibility" poco si prestano ad un'analisi razionale e concreta. Dopo le 3 stangate ricevute da Bruxelles da marzo ad oggi, sembra proprio che il nostro premier inizi a vacillare e a faticare sempre di più nel nascondere i propri fallimenti europei agli occhi dell'opinione pubblica italiana. Del resto anche la strada della flessibilità sembra oggi definitivamente archiviata, con il nostro Padoan che entrando all'Ecofin ha dichiarato: "non c’è nessun disaccordo né tra Renzi e la Merkel, né tra me e Schäuble, anzi noi due abbiamo una ottima relazione visto che abbiamo scritto anche un articolo insieme”. Sulla rigidità della Merkel non ci sembra necessario aggiungere nulla, mentre per quanto riguarda Schäuble si tratta del ministro delle Finanze tedesco, uno dei principali e più agguerriti sostenitori del rigore e dell'austerity. 

Sentir parlare oggi Padoan di piena sintonia con il governo tedesco non può che riportarci alla mente la profonda sintonia di Renzi con Berlusconi. Evidentemente il nostro premier ha ormai fatto sua la massima "se non puoi sconfiggere il nemico, fattelo amico". Dopo aver parlato di superare i vincoli europei, poi di sfruttarli al meglio, poi ancora di flessibilità e di cambiare verso all'Europa, alla fine cosa ci resta? Coloro che avrebbero dovuto salvarci dalla morsa dell'austerity e dal declino economico e sociale ora sono passati dall'altra parte, con la Germania dei rigoristi e delle "riforme strutturali". Insomma, sembra proprio che possiamo metterci l'anima in pace. Anche per i prossimi anni non sentiremo che parlare di non meglio precisate riforme urgenti e necessarie, e di nuove e maggiori tasse e sacrifici. Con buona pace di quel 40% che aveva votato il "cambiamento".

lunedì 7 luglio 2014

L'ennesima presa in giro del PD

Sarebbe dovuto avvenire oggi alle 15:00 l'incontro sulla legge elettorale tra Partito Democratico e Movimento 5 Stelle. Ovviamente usiamo il condizionale perchè all'ultimo momento il PD ha deciso di annullare il confronto in questione, ma facciamo un piccolo excursus.

Come ricorderete, dopo il precedente incontro dello scorso 25 giugno, Renzi aveva individuato 10 punti di criticità nella proposta del M5S e li aveva formalizzati in questo documento. Certo, c'è da dire che alcuni di questi punti sono, diciamo così, strampalati. Uno su tutti il punto 4, che recita: "Siete disponibili a far verificare preventivamente la legge elettorale dalla Corte Costituzionale, così da evitare lo stucchevole dibattito 'è incostituzionale, è costituzionale'? Noi sì." C'è ancora bisogno di ricordare che i dubbi di incostituzionalità sono ricaduti proprio sull'Italicum fin dalla sua presentazione, per l'assenza di preferenze e per il premio di maggioranza spropositato? Si tratta di una vera e propria presa in giro, spudorata nella sua sfacciataggine. Ma districandoci tra gli altri punti, alcuni del tutto estranei al tema della legge elettorale (per esempio: "Siete disponibili ad abolire il CNEL? Noi sì."), l'unica cosa che si evince chiaramente dal documento è che il tema di gran lunga più caro al PD è certamente quello della governabilità.

Dal canto suo, il Movimento 5 stelle aveva dimostrato massima apertura alla discussione, arrivando a modificare sostanzialmente la propria proposta, votata in rete da oltre 100mila cittadini, per andare incontro ai famosi 10 punti di criticità riscontrati da Renzi. Nella loro nuova proposta modificata i 5 stelle hanno previsto sia premio di maggioranza che doppio turno, per garantire al partito vincitore la governabilità. In questo modo si risolverebbe quindi la problematica delle alleanze postume al voto, che sarebbero invece necessarie con un sistema proporzionale, quando il primo partito non riesca a raggiungere da solo il 51% dei voti. 

Una novità molto interessante poi, che tra l'altro avevamo fortemente auspicato in questo articolo, è il divieto di formare coalizioni. Nella nuova proposta 5 stelle infatti viene prevista esclusivamente la possibilità di formare liste civiche. Queste, a differenza delle coalizioni, hanno la caratteristica di essere autonome dai partiti tradizionali e devono essere caratterizzate da un programma comune. Non sarebbe più consentita la formazione di alleanze strategiche solo ed esclusivamente a fini elettorali, senza un programma condiviso nè obiettivi comuni. Con l'Italicum, invece, un partito in coalizione potrebbe di fatto ottenere il 53% dei seggi anche con il 19% dei voti, e grazie ad una soglia di sbarramento all'8%, potrebbe vedersi assegnata addirittura la totalità dei seggi, senza quindi doverli condividere con i piccoli partiti della sua coalizione che non hanno raggiunto la soglia, pur avendo di fatto "donato" molti voti alla coalizione.

La nuova proposta di legge dei 5 stelle prevede inoltre che il primo turno sia senza soglia di sbarramento, per permettere a tutti gli elettori di essere rappresentati in Parlamento, a prescindere dalle percentuali finali ottenute dal partito votato.

A nostro parere questa proposta è valida, anche se per venire incontro a Renzi sono state accantonate le preferenze negative, che erano state definite dal premier "troppo complicate". E' stato però introdotto l'esplicito divieto di candidatura dei condannati. I cosiddetti impresentabili (i Genovese di turno, per intenderci), con questa legge sarebbero finalmente fuori dalle istituzioni. Sarà questo a fare così paura a Matteo Renzi e al suo sempre più caro amico Silvio? E le preferenze, su cui il PD si ostina a rimandare la discussione, perchè non gradite all'alleato in profonda sintonia, sono forse un problema? Pensiamo che a qualsiasi persona dotata di buon senso e spirito critico, sia venuto ben più di un dubbio riguardo ai motivi dell'ostinazione del PD a voler proseguire il percorso di riforma della legge elettorale con Forza Italia. Tra l'altro, nemmeno la tempistica è più una scusa, visto che i 5 stelle si sono detti disposti e determinati a concludere la legge elettorale al massimo in 100 giorni, se il PD vorrà. L'Italicum invece, dopo l'iniziale spavalderia renziana (indimenticabile il perentorio "febbraio: legge elettorale"), ora sembra avere davanti a sè addirittura 1000 giorni circa, a detta dello stesso Renzi (salvo ulteriori proroghe).

Non serve quindi discutere oltre. Ci aspettiamo però che il PD per lo meno smetta di arrampicarsi sugli specchi e dica chiaro e tondo le sue motivazioni. Non è accettabile cancellare un incontro, che doveva essere fatto per il bene dei cittadini, con la scusa che, riportando le parole di Speranza: "Il Pd considera questo confronto molto serio ed importante per il dibattito democratico nel nostro Paese e per dare più forma al percorso delle riforme. Proprio per questo riteniamo imprescindibile che tale confronto possa svolgersi solo dopo che saranno pervenute formali risposte alle questioni indicate nei giorni scorsi dal Partito democratico". Tralasciando il fatto che, come al solito, il PD si pone in modo molto presuntuoso, dando per scontato che sia normale richiedere un puntuale adeguamento della controparte sui propri temi (peraltro avvenuto), ma senza concedere nemmeno la possibilità di dibattito sui punti cari alla controparte stessa (oltre che, in questo caso, alla democrazia, vedi preferenze), aspettiamo tutti con ansia un resoconto scritto dei passi avanti con Berlusconi sull'Italicum. Possibilmente, visto che Renzi fin dall'inizio ha dichiarato di aver dovuto rinunciare alle preferenze per andare incontro all'alleato, sarebbe auspicabile vedere un elenco di punti con lo stesso grado di saccenza e presunzione anche rivolto a Forza Italia, per capire in che modo questi due partiti si stiano mettendo d'accordo e su cosa si basa il loro patto. Per non parlare dello streaming, chiesto a gran voce dallo stesso Renzi per l'incontro con i 5 stelle. Dove è possibile reperire un video dell'incontro con Berlusconi, Verdini e compagnia bella?

Sinceramente, crediamo che ci sarebbero ben altri problemi su cui discutere, e perdere ulteriore tempo sulla legge elettorale dimostra esclusivamente che i veri problemi il governo non li vuole risolvere. Finchè la maggioranza di noi cittadini non sarà in grado di ragionare autonomamente, finchè non sentiremo tutti l'esigenza, la necessità, di capire come stanno le cose, di indagare, di informarci, potranno continuare a distrarci, a perdere anni per approvare una legge elettorale decente, mentre il Paese se ne va a rotoli. E invece che lottare per fermare questo scempio, invece che pretendere a gran voce che vengano affrontati e risolti i veri problemi che ci attanagliano, per molti di noi, troppi, è più interessante sapere di che colore è l'ultimo vestito della Boschi.