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sabato 28 giugno 2014

Il Consiglio Europeo smaschera le bugie di Matteo Renzi

Finalmente abbiamo tra le mani il documento che descrive la nuova agenda politica dell'Unione Europea per i prossimi 5 anni. In seguito alla schiacciante vittoria di Renzi alle ultime europee, e in considerazione delle sue promesse di cambiamento radicale "anche" a Bruxelles, ci si aspetterebbe un documento rivoluzionario. Andiamo quindi a vedere quali sono stati i risultati ottenuti dal nostro governo, di cui Renzi si dice già estremamente soddisfatto.

Ovviamente, data la recessione sempre più marcata e le grandi proteste contro l'austerità europea, era sulle questioni economiche che si concentravano le speranze di rinnovamento dei più. Leggendo il primo punto della sezione "Crescita, competitività e lavoro" però, dobbiamo subito ridimensionare le nostre aspettative. Il Consiglio europeo esordisce affermando: "I segnali recenti di ripresa economica sono incoraggianti e dimostrano che gli sforzi comuni degli Stati membri e delle istituzioni dell'UE stanno dando frutti." Insomma, chi si aspettava un dietro-front da parte dei vertici UE in seguito al boom degli euroscettici alle ultime europee è meglio che si metta l'anima in pace, perchè secondo il Consiglio europeo l'austerità sta dando "frutti"  e bisogna incrementare gli sforzi in questo senso. Poco importa se perfino la Banca d'Inghilterra è arrivata a denunciare la dannosità, oltre che l'inutilità, delle politiche di austerity, come vi avevamo raccontato in questo articolo. 

Proseguendo nella lettura del documento, il Consiglio europeo ci dà nuovamente conferma della volontà di proseguire imperterrito per la sua strada: "Occorre prestare particolare attenzione a riforme strutturali che potenzino la crescita e migliorino la sostenibilità di bilancio [..] sfruttando al meglio, nel contempo, la flessibilità insita nelle norme esistenti del patto di stabilità e crescita." Quindi non solo in cambio delle "riforme strutturali" non vi è alcuna concessione dal punto di vista della flessibilità, che resta quella prevista dalle norme vigenti (il solito limite massimo del 3% del deficit pubblico sul PIL), ma all'espressione "pieno uso della flessibilità" utilizzata nelle prime bozze del documento, si è sostituito il "buon uso della flessibilità" nelle bozze seguenti, per giungere infine al "miglior uso della flessibilità" che viene raccomandato in questa versione definitiva dell'agenda UE. Una grande sconfitta per il governo Renzi, che aveva basato tutta la sua campagna elettorale pre-europee (80 euro a parte) sulla necessità di maggiore flessibilità da parte di Bruxelles.

Ma non è finita qui. Di seguito si legge: "Il Consiglio europeo ha approvato, in linea generale, le raccomandazioni specifiche per paese." Vi ricordate le raccomandazioni inviate dalla Commissione Europea all'Italia lo scorso 2 giugno? Vi consigliamo caldamente di leggere questo articolo in cui ne avevamo descritti i punti fondamentali, perchè ora è ufficialmente il nostro futuro. Lo avete letto? Bene, allora possiamo passare direttamente a descrivere l'unica variazione apportata dal Consiglio al testo elaborato dalla Commissione. Quest'ultima aveva chiesto all'Italia: "Nel 2015 [bisogna, ndr] rafforzare in modo significativo la strategia di bilancio per garantire le esigenze di riduzione del debito". Il testo approvato dal Consiglio invece recita ora: "Nel 2015 [...] il Consiglio raccomanda all'Italia di garantire le esigenze di riduzione del debito e così raggiungere l'obiettivo di medio termine (il pareggio di bilancio strutturale, ndr)". Non solo. Si chiede anche di "assicurare il progresso" verso il pareggio di bilancio già nel 2014 (trovate le raccomandazioni approvate dal Consiglio qui). In pratica, mentre la Commissione aveva concesso all'Italia la possibilità di raggiungere il pareggio di bilancio nel 2016, il Consiglio ha provveduto a negare anche questa "concessione", prevedendo inoltre che già nel 2014 si inizi a tendere verso questo obiettivo. Altro che "pieno uso della flessibilità". Secondo Repubblica questo scherzetto ci costerà circa 25 miliardi nella Legge di Stabilità di ottobre. Una cifra molto vicina a quei 30 miliardi che dovevamo racimolare con le manovre "lacrime e sangue" di Mario Monti, quelle dell'Imu, dell'aumento di due punti dell'Iva, dell'aumento generalizzato dell'età pensionabile e così via.

Infine, per completezza, dobbiamo riportare che anche nella nuova agenda elaborata dal Consiglio si parla del TTIP come un obiettivo da raggiungere entro il 2015. Molti di voi sapranno già di cosa si tratta, ma per chi non lo sapesse il TTIP è un accordo di libero scambio tra USA e UE estremamente pericoloso per i popoli europei, dato che determinerà uno strapotere delle multinazionali sugli Stati e un serio rischio per la salute e la sicurezza di tutti. Ancora una volta vi consigliamo la lettura di questo articolo per capire meglio di cosa si tratta.

Alla luce di quanto detto finora viene dunque difficile comprendere i motivi per cui il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio per gli Affari europei Sandro Gozi (PD) abbia rilasciato a Reuters la seguente dichiarazione: "Siamo molto contenti sulla parte economica. Per noi si tratta di un documento molto buono." Evidentemente i nostri governanti ci hanno abbandonati già da un pezzo, come ipotizzavamo in questo articolo, e il fatto che perfino il Presidente del Consiglio abbia avallato un documento tanto deleterio per l'Italia è tutto dire. 11 milioni di italiani avevano votato per avere più forza in Europa, ma si sono ritrovati di nuovo dietro alla lavagna. Si era deciso per una strada diversa a quella dell'austerità, ma abbiamo ottenuto solo nuovi vincoli. Insomma, "tutto cambia affinchè nulla cambi", come scriveva Giuseppe Tomasi di Lampedusa. 

E' arrivato il momento di aprire gli occhi, di rendersi conto che chi decide il nostro destino ha le idee molto chiare in proposito, e che solitamente queste sono diametralmente opposte rispetto a quelle che vanno invece a professare nei salotti televisivi. Concentriamoci più sui fatti e i dati concreti e meno sugli slogan e i facili annunci, dobbiamo tornare a ragionare con la nostra testa.

venerdì 27 giugno 2014

Il nuovo regalo del governo alle banche

A partire dal 30 giugno, come riporta questo articolo del Fatto Quotidiano, entrerà in vigore la norma che prevede che si potrà utilizzare ovunque la moneta elettronica, ovvero la carta di debito (più comunemente conosciuta come carta Bancomat). Che sia dal fiorista, dal macellaio, o per pagare la fattura dell'elettricista, il cliente potrà pretendere di pagare con la carta, per qualsiasi importo purchè sia superiore a 30 euro

Seppure può sembrare una norma del tutto innocua, non è affatto così. Innanzi tutto, bisogna considerare i costi rilevanti che milioni di imprese, artigiani e studi professionali dovranno sostenere. I costi deriveranno in primo luogo dall'installazione del Pos (il dispositivo elettronico che consente di accettare pagamenti tramite moneta elettronica) e, nel caso in cui le attività si svolgano fuori sede, dalla necessità che avrà ogni addetto e collaboratore di dotarsi di un personale Pos per permettere ai clienti di pagare nella modalità richiesta. Ma oltre ai costi fissi, la componente più preoccupante che inciderà sul bilancio di piccoli e medi  imprenditori, artigiani e liberi professionisti saranno senza dubbio i costi di commissione, molto rilevanti su importi non elevati, che andranno ad esclusivo vantaggio dei circuiti finanziari.

Il mancato rispetto della norma non comporterà sanzioni, ma, come spiega Mauro Pagani, responsabile delle Politiche industriali della Cna, la norma "scarica sul rapporto cliente privato-impresa o professionista il conflitto d’interesse per innescare un processo virtuoso: mi conviene avere il Pos pena la perdita del cliente”. Quindi, pur non essendo direttamente vincolante, spingerà alla solita guerra tra poveri perché il cliente, specie in tempo di crisi, quando i contanti scarseggiano e tocca ricorrere direttamente ai risparmi depositati in banca, percepisce l'uso della carta Bancomat come una comodità, e farà quindi pressione sul fornitore per il rispetto della norma stessa. In presenza di un'ampia offerta, infatti, dinnanzi ad un operatore non dotato di Pos, al cliente potrebbe sembrare più proficuo rivolgersi altrove, ad uno che rispetti la norma. 

Per questo, indirettamente, dietro alla solita maschera della lotta all'evasione (che non tocca mai le grandi aziende, come nel noto caso delle multinazionali del gioco d'azzardo) a fare le spese di questo provvedimento saranno sempre gli stessi, i piccoli imprenditori, gli artigiani, i liberi professionisti che non arrivano alla fine del mese, e per i quali evidentemente non bastava vedersi sguinzagliare alle calcagna Equitalia. A quanto pare non era sufficiente. Ma nemmeno i clienti potranno stare tranquilli, perchè per riuscire a guadagnare dal proprio lavoro, il popolo delle partite IVA non potrà fare altro che scaricare su di loro, almeno in parte, i costi derivanti dalle commissioni da pagare al circuito bancario. 

Risultato? Una tassa in più da pagare, meno visibile e quindi meno additabile di altre, ma pur sempre una tassa, che per di più non genererà alcuna ricchezza reale, ma andrà ad esclusivo vantaggio delle banche, che per contro ne godranno senza dover sostenere alcun costo. Un pò quello che accade dal 2011, da quando, da Monti in poi, l'austerità voluta dalla Germania ci obbliga a versare alle banche francesi, tedesche e angolosassoni fior fior di miliardi di interessi annui sul debito pubblico, prelevandoli direttamente dalle nostre tasche a colpi di Imu, Iva e così via. 

Ma c'è di più. Con il nuovo provvedimento del governo nessuno potrà più nemmeno provare a ribellarsi a questa tassazione ingiusta, che serve esclusivamente ad arricchire le banche, perchè ogni transazione monetaria sarà accuratamente tracciata e monitorata. La rete si chiude ogni giorno di più sopra di noi, e le maglie stanno diventando sempre più strette.

giovedì 26 giugno 2014

L'Europa con Renzi cambierà verso? Tutta una farsa!

Come saprete, tra qualche giorno, più precisamente il prossimo 1° luglio, inizierà il semestre europeo a guida italiana. Questo significa che per 6 mesi, da luglio fino a dicembre, la Presidenza del Consiglio dell'Unione Europea sarà assunta dal governo italiano. Al di là di quanto si potrebbe immaginare però, ciò non vuol dire che in questo periodo l'Italia avrà un più forte potere in seno alle istituzioni europee e non significa, quindi, che l'Italia sarà in una posizione migliore per far valere le proprie volontà. Lo Stato cui spetta la Presidenza, infatti, si limita semplicemente a farsi carico dell'agenda del Consiglio e ne presiede tutte le riunioni per 6 mesi.

Per questo motivo quanto comunicato e discusso in Parlamento il 24 giugno da Matteo Renzi e parlamentari circa gli obiettivi dell'Italia per il semestre europeo è ai limiti della farsa. Ed è probabilmente per questo motivo che una volta finito il proprio discorso al Senato il nostro Presidente del Consiglio ha preferito scappare a vedere Italia-Uruguay, piuttosto che restare in aula ad ascoltare la discussione generale dei senatori sul semestre europeo. Ciò che dispiace è che questi meccanismi tutt'ora vengano nascosti all'opinione pubblica, e soprattutto che perfino un senatore come Malan sembri cadere dalle nuvole. Di seguito potete ascoltare proprio il suo breve intervento al Senato, in cui denuncia la mancanza di rispetto e di interesse per il Paese e per le istituzioni dimostrata da Renzi con la sua scelta di andare a vedere la partita piuttosto che restare ad ascoltare la discussione in aula:


Insomma, nel calcio, perlomeno sulla carta, la vittoria dell'Italia era possibile. Per quanto riguarda l'Unione Europea invece, le cose sono ben diverse. Lì non serve a nulla tifare per i nostri parlamentari europei, che come saprete non hanno neppure il potere di legiferare, e non serve a nulla sperare nel governo in vista del semestre europeo a guida italiana, dato che l'agenda resta quella dettata dal signor Van Rompuy. Del resto l'ultimo semestre europeo, quello a guida greca, si è contraddistinto per essersi incentrato sulla questione del brevetto comunitario. Poco importa se secondo l'Unicef già nel 2011 in Grecia il 30% dei bambini era sotto la soglia di povertà e a rischio di "esclusione sociale", o che 8 condomini su 10 nel 2013 sono tornati a scaldarsi con la legna perchè non possono più permettersi di acquistare il gasolio e almeno 300.000 famiglie sono senza elettricità (qui la fonte). La priorità era il brevetto comunitario.

Ovviamente qui non vogliamo incentivare a seguire il calcio per affogare nel tifo da ultrà il ricordo di un Paese che ormai non esiste più. Questo lo lasciamo al nostro Presidente del Consiglio. Quello che vogliamo è fare chiarezza sul reale futuro dell'Italia, al netto di sterili promesse ed inutili chiacchiere. E per farlo, evidentemente, servono a poco gli annunci di Renzi, mentre molto più rilevante sarà quanto riportato nero su bianco nella nuova agenda politica per l'UE che in questi giorni sta stilando il Presidente del Consiglio europeo Van Rompuy. Negli ultimi giorni i mezzi di informazione hanno riportato inizialmente notizie entusiastiche sulle prime bozze della nuova agenda, ma l'ottimismo si va via via ridimensionando. A un "pieno uso della flessibilità" che sarebbe concesso agli Stati membri si è sostituito un "buon uso della flessibilità". E comunque il tutto resta ancorato alla realizzazione delle riforme, che consistono essenzialmente nell'abolizione dei diritti dei lavoratori e nella riduzione della spesa pubblica e dell'indebitamento. Ovviamente parliamo del Job Act e del rispetto del Fiscal Compact, argomenti che vi invitiamo ad approfondire cliccando quiqui.

Comunque, come detto sopra, si tratta solo di bozze, e tutto lascia pensare che in realtà le cosiddette concessioni potrebbero addirittura subire ulteriori limitazioni e ridimensionamenti. Il 40% ottenuto da Renzi alle scorse europee conta molto poco fuori dal contesto nazionale. Ancora una volta siamo nelle mani dei burocrati di Bruxelles, e il caso-Grecia certo non lascia ben sperare. Tuttavia, solo nella serata di domani, quando sarà ufficializzata la versione definitiva della nuova agenda politica dell'Unione Europea, conosceremo davvero il nostro destino. Noi, come sempre, vi terremo aggiornati. Stay tuned.

mercoledì 25 giugno 2014

Italicum vs Democratellum: ecco la soluzione migliore

L'incontro tanto atteso è finalmente avvenuto, e a sorpresa anche Matteo Renzi ha fatto parte della delegazione PD per discutere di legge elettorale con Di Maio, Toninelli e i capogruppo 5 stelle di Camera e Senato. Il primo firmatario della proposta dei 5 stelle, Danilo Toninelli, ha esposto il disegno di legge votato in rete da più di 150mila persone, che è contraddistinto, in particolare, da un sistema proporzionale corretto e dalle preferenze, anche negative.


Il Presidente del Consiglio fin dall'inizio si è esclusivamente concentrato sul problema governabilità, sostenendo che il cosiddetto Democratellum (che Renzi ha chiamato più volte Toninello o Toninellum nel corso del colloquio) non la garantirebbe. Il sistema proporzionale proposto dal Movimento 5 stelle è corretto dallo sbarramento al 5% a livello locale, ma nel probabile caso in cui la prima forza politica non riuscisse a raggiungere almeno il 50% dei voti, questa dovrebbe proporre alle altre forze politiche, per poter ottenere la fiducia alla Camera e al Senato, un'alleanza su un programma di punti fondamentali da realizzare, alla quale dovrebbero decidere di aderire uno o più degli altri partiti. Se però nessun'altra forza politica decidesse di appoggiare il programma proposto, si dovrebbe per forza di cose tornare al voto.

L'Italicum di Renzi e Berlusconi prevede invece che le forze politiche debbano allearsi prima delle elezioni, formando coalizioni più o meno variegate, e se una coalizione riuscisse a raggiungere al primo turno il 37% dei voti, otterrebbe direttamente il 53% dei seggi. Ciò comporterebbe però che il partito più importante all'interno di una coalizione potrebbe ottenere il 53% dei seggi anche con risultati molto inferiori al 37% dei voti. Per esempio, supponiamo il caso che una coalizione composta dai partiti A, B, C e D riesca a raggiungere al primo turno il 37% dei voti. Con l'Italicum, se A prende il 6%, B il 7% e C il 5%, al partito D basterà il 19% dei voti per ottenere il 53% dei seggi in Parlamento, che tra l'altro sarebbero assegnati esclusivamente al partito D, in quanto la soglia di sbarramento nella proposta di legge di Renzi e Berlusconi è fissata all'8%. In questo caso quindi il premio di maggioranza assegnato al partito D ammonterebbe addirittura al 34%, e il nostro esempio non è affatto un caso limite. Va da sé che tale previsione è senza ombra di dubbio incostituzionale, dato che la Corte di Cassazione ha bocciato il Porcellum proprio a causa di un premio di maggioranza spropositato (oltre che all'assenza delle preferenze), che era comunque inferiore a quello che potrebbe essere assegnato con l'Italicum.

Al problema di incostituzionalità se ne aggiunge anche un altro, intrinseco nel concetto stesso di coalizione. Questa infatti, oltre ad avvantaggiare sensibilmente il partito più grande che ne fa parte, nasce quasi esclusivamente con lo scopo di vincere le elezioni, e lo dimostra il fatto che troppo spesso, all'interno di una coalizione, i partiti non sono accomunati da alcun programma condiviso. Perciò in primo luogo bisogna sottolineare il grande inganno ai danni degli elettori dei partiti più piccoli, che di fatto votano la coalizione nell'illusione di appoggiare un programma, quello del loro partito, che non verrà mai perseguito. In secondo luogo poi, ci rimettono anche gli elettori del partito principale della coalizione, in quanto i suoi alleati, in qualsiasi momento, potranno tranquillamente voltargli le spalle tirandosi fuori dall'alleanza e sfiduciandolo, riuscendo in questo modo a far cadere anche i governi in apparenza più solidi, come spesso è successo in passato, alla faccia della governabilità. 

Il giusto compromesso tra il Democratellum e l'ossessione di Renzi per la governabilità a nostro avviso potrebbe essere quello di adottare il metodo proporzionale corretto al primo turno, e nel caso in cui la forza politica vincente non ottenesse almeno il 50% dei voti dovrebbe essere previsto un ballottaggio con la seconda forza politica risultante. Dove sta la novità? Nel fatto che le coalizioni, per tutte le ragioni indicate sopra, dovrebbero essere rigorosamente vietate. Come avevamo argomentato in questo articolo, secondo noi il metodo ideale sarebbe un metodo proporzionale puro, ma se l'obiettivo è la governabilità, attribuire un premio di maggioranza non spropositato alla singola forza politica che esca vincitrice dal ballottaggio ci sembra l'unico compromesso accettabile. Per il proporzionale puro, che presuppone esclusivamente onestà e completa dedizione all'interesse dei cittadini da parte dei parlamentari, purtroppo c'è ancora molta strada da fare.

Da questo punto di vista, un buon punto di partenza sarebbe certamente l'inserimento, oltre alle normali preferenze, delle preferenze negative, che consisterebbero nella possibilità di segnalare un candidato sgradito. Ciò permetterebbe agli elettori di penalizzare il partito che lo presenta alle elezioni, che si vedrebbe decurtare 1/10 di voto. Come ha spiegato Luigi di Maio a un Renzi molto poco ricettivo, quasi confuso su questo fronte, le preferenze negative costringerebbero di fatto i partiti a selezionare molto meglio i propri candidati, escludendo indagati e condannati per non essere penalizzati dagli elettori. Sarebbe sicuramente un immenso passo avanti nell'opera di miglioramento e pulizia delle istituzioni del nostro Paese, martoriato da corruzione e scandali quasi quotidiani. Renzi si è sostanzialmente limitato a catalogare questa proposta come complicata (ribattezzando la proposta di legge 5 stelle "Complicatellum"), e addirittura ha posticipato la discussione sulle normali preferenze sostenendo che prima di tutto si dovrà risolvere il problema della governabilità. Le preferenze, che per Costituzione devono essere garantite (Art. 48: "Il voto è personale ed eguale, libero e segreto"), secondo il nostro Presidente del Consiglio possono aspettare. 

Ad un certo punto del colloquio, Renzi ha esposto il concetto di democrazia del PD. Passando in rassegna i 3 rappresentanti del suo partito da cui si era fatto accompagnare al colloquio (Speranza, Moretti e Serracchiani), ha ipotizzato che Speranza avrebbe preferito un sistema proporzionale puro, la Moretti un maggioritario, la Serracchiani un maggioritario su base regionale, e lui stesso invece una legge elettorale sul modello utilizzato per i sindaci nelle elezioni amministrative, per eleggere il "sindaco d'Italia". Ovviamente l'Italicum, tra le proposte elencate, riprende casualmente proprio quella per cui Renzi propende. Strana concezione di democrazia, non trovate? Specie se paragonata al processo di formulazione del disegno di legge elettorale del M5S, che ha visto il coinvolgimento di oltre 150mila cittadini. Ma il punto fondamentale da capire al riguardo è un altro. Come ha giustamente fatto notare Toninelli alla fine del colloquio, i sindaci sono semplici amministratori. Per questo motivo non dovrebbero in alcun modo essere paragonati al Presidente del Consiglio, che invece ha un ruolo istituzionale del tutto diverso, dato che "concorre alla definizione dell'indirizzo politico dello Stato in posizione di indipendenza". L'elezione del Presidente del Consiglio dovrebbe quindi essere fatta con metodi molto più rigorosi e rappresentativi della volontà popolare, per via del potere di cui è dotato e delle funzioni che ricopre, che non sono affatto semplici funzioni amministrative, o per lo meno non dovrebbero. E' certamente vero, del resto, che da quando abbiamo rinunciato alla nostra sovranità monetaria, politica ed economica, il governo italiano è sempre più un mero esecutore delle scelte prese a Bruxelles, e di certo questo ben si concilia con l'idea di "sindaco d'Italia" tanto amata da Matteo Renzi.

Insomma, sembra proprio che ci troviamo di fronte ad un bivio. Da un lato abbiamo la possibilità di iniziare a posizionare i primi tasselli verso una nuova democrazia finalmente rappresentativa della volontà popolare e non più drogata da assurdi premi di maggioranza e coalizioni di convenienza. Dall'altro c'è l'Italicum di Renzi, che ufficializzerebbe la trasformazione del Presidente del Consiglio nel "sindaco d'Italia", un mero amministratore che si limita ad eseguire quanto deciso a Bruxelles.

domenica 22 giugno 2014

Quello che i media non ti racconteranno mai sull'Unione Europea

Ormai sono passati oltre 20 anni da quel 7 febbraio del 1992, quando venne firmato il Trattato di Maastricht e nacque così il mercato unico europeo. Da allora esiste l'Unione Europea come la conosciamo oggi, un'istituzione sovranazionale di matrice prettamente capitalista e liberista (se non sai cosa si intende per liberismo clicca qui). Il modello economico scelto dalla neonata Unione Europea era ed è tuttora, quindi, chiaramente ispirato a quello nord-americano e anglosassone, discostandosi invece da quello giapponese. Insomma, a un'economia sociale di mercato si è preferito adottare un approccio individualista tendente alla massimizzazione dei profitti a breve e ad una imponente finanziarizzazione dell'economia.

Non è un caso quindi che proprio negli anni '90 si sia avviato in Italia quel grande processo di privatizzazione che ancora oggi persegue l'intento di eliminare l'intervento pubblico nell'economia. Il primo vero e proprio programma politico in questo senso fu quello promosso dal governo Amato, che diede anche avvio alle privatizzazioni di IRI, ENEL, ENI e INA, trasformandole in società per azioni. Il tutto, ovviamente, giustificato dall'obiettivo di ridurre il debito pubblico (del resto la stessa scusa viene utilizzata oggi da Renzi per giustificare la svendita di un asset pubblico fondamentale come Rai Way, su cui abbiamo espresso qui tutte le nostre preoccupazioni). La definitiva legittimazione e una brusca accelerazione al programma di Amato fu data poi, con il decreto 389 del 27 settembre 1993, da quello che può essere definito il primo governo "tecnico" italiano: il governo Ciampi (governatore della Banca d'Italia dal 1979 al 1993).

Prodi, D'Alema, Veltroni, Visco e Ciampi in occasione dei festeggiamenti per l'ingresso nell'euro.

Ma, a distanza di oltre 20 anni, quali sono stati i risultati di queste manovre economiche indicate da Bruxelles e prontamente eseguite dai vari governi, sia "tecnici" che politici, che si sono susseguiti in tutti questi anni?

Innanzi tutto andiamo a verificare se perlomeno l'obiettivo di ridurre il debito pubblico è stato effettivamente conseguito grazie alle politiche economiche europee. Andando a recuperare i dati ci accorgiamo che però, da questo punto di vista, i risultati ottenuti non sono proprio quelli che ci si aspetterebbe. Da un debito pubblico di 849,92 miliardi di euro nel 1992, siamo passati infatti ai 2.120 miliardi di euro di debito pubblico che pesano attualmente sulle nostre spalle. Insomma, il debito si è quasi triplicato (circa +250%). Appare evidente quindi come la svendita di enti pubblici e le politiche di austerity di stampo tedesco siano del tutto inutili sul piano del miglioramento delle casse statali. Probabilmente già questa considerazione basterebbe a svuotare completamente di significato ogni politica economica e fiscale europea degli ultimi 20 anni, ma proseguiamo imperterriti nel tentativo di trovare un punto a favore di tali manovre.

Andiamo allora a vedere se le ricette di Bruxelles hanno avuto effetti positivi sulla nostra economia in termini di PIL. Secondo gli ultimi dati ISTAT, il valore del PIL italiano nel 2013 è stato pari a 1.560 miliardi di euro, mentre nel 1992 questo si attestava sugli 806 miliardi. Bene! Il PIL è quasi raddoppiato facendo registrare una variazione positiva del +193%. Niente male, non trovate? Si? Beh, allora ci tocca rivalutare incredibilmente tutta quella classe politica "sprecona e corrotta" che ha guidato il nostro Paese nel ventennio precedente, nei "terribili" anni '70 e '80, e dalle grinfie della quale l'Unione Europea ci avrebbe provvidenzialmente salvati. Si dà il caso infatti che nel periodo che va dal '71 al '92 il PIL italiano è passato da 38 miliardi di euro a 806 miliardi di euro, registrando un aumento del +2121%. Circa 10 volte superiore all'aumento registrato tra il 1992 e il 2013.

Prima di proseguire, fermiamoci un secondo a riflettere su quanto scoperto finora. Allora, in primo luogo abbiamo visto che tutte le politiche di contenimento della spesa pubblica e di privatizzazioni selvagge a cui siamo stati costretti negli ultimi 20 anni sono stati perfettamente inutili sul piano della riduzione del debito, che anzi è continuato ad aumentare. In secondo luogo abbiamo visto come queste stesse politiche hanno causato un rallentamento della crescita economica di 10 volte rispetto ai due decenni precedenti. Ma allora a chi conviene l'adozione di manovre tanto dannose?

Un piccolo indizio ce lo fornisce la Banca d'Italia. Il grafico che segue, tratto da questo suo report del 2012, mostra chiaramente come la diseguaglianza della ricchezza in Italia è andata diminuendo proprio fino all'inizio degli anni '90, quando ha cambiato direzione assumendo un trend crescente fino al 2008:


Per capirci, a conclusione di quel processo di concentrazione della ricchezza iniziato nei primi anni '90,  nel 2008 secondo Bankitalia il 10% delle famiglie deteva il 40% della ricchezza nazionale. Ma non è finita qui, perchè in tempi di crisi gli squilibri aumentano, specie se lo Stato non interviene in difesa dei ceti deboli. Ecco allora che sempre secondo un bollettino della Banca d'Italia (riportato in questo articolo del Fatto Quotidiano), nel 2012 il 10% delle famiglie deteneva il 46,6% dell'intera ricchezza nazionale, mentre il 50% delle famiglie deteneva appena il 10% della ricchezza nazionale. E, naturalmente, mentre scriviamo tali squilibri continuano ad accentuarsi.

Siete ancora convinti che il processo d'integrazione europeo sia ispirato a ideali di pace tra i popoli, crescita e sviluppo? Va bene, allora vi diamo qualche altro dato su cui riflettere. Avevamo già anticipato all'inizio dell'articolo come le politiche europee siano ispirate al modello capitalistico e liberista di matrice statunitense e anglosassone. Bene, questi Paesi si trovano decisamente più avanti di noi sul piano delle "riforme", quindi possiamo farci un'idea di quello chi ci aspetta semplicemente andando ad analizzare la loro situazione attuale. Secondo questo articolo dell'Huffingtonpost statunitense, oggi gli Stati Uniti sono il Paese con più squilibri tra le economie avanzate, dato che il 10% della popolazione detiene oltre il 75% della ricchezza nazionale totale. Nel Regno Unito invece il 10% della popolazione detiene il 53,3% della ricchezza mentre un inglese su 3 è sotto il livello di povertà e un milione di bambini soffrono la fame (qui la fonte). Ma il nostro faro non sono solo gli Stati Uniti e il mondo anglosassone. C'è anche il modello tedesco, sinonimo di produttività ed efficienza secondo i nostri media e i nostri politici. Non è invece dello stesso parere l'istituto Diw, che come riporta questo articolo della Stampa, definisce la Germania il Paese con le maggiori disuguaglianze nell'eurozona. Qui il 10% della popolazione detiene il 61,7% della ricchezza, e addirittura il 20% della popolazione non possiede alcun patrimonio. Non ve l'aspettavate, vero?

Purtroppo i media nazionali oggi sono di proprietà di quel 10% che in Italia detiene quasi il 50% della ricchezza nazionale e che grazie alle politiche economiche dell'Unione Europea continua ad arricchirsi sulle spalle del restante 90% della popolazione (qui potete vedere chi sono i proprietari delle principali testate giornalistiche italiane). Allora non dobbiamo stupirci se in TV e sui giornali il 99% delle informazioni che riguardano i modelli economici statunitense, anglosassone e tedesco sono di carattere elogiativo, ai limiti della celebrazione, mentre ogni alternativa di sviluppo viene rigettata con disprezzo. Ma internet è nostro amico, e i dati parlano chiaro. Se non ci decidiamo a prendere in mano il nostro destino, questa gente ce lo scriverà al posto nostro. Anzi, l'hanno già fatto. A voi sta bene così?

sabato 21 giugno 2014

Costituzione italiana: sapete cosa ne farà Renzi?

Sono passati più di 65 anni da quel lontano 1° gennaio 1948 in cui è entrata in vigore la Costituzione della Repubblica italiana, ma ora come allora la Costituzione costituisce la base e il fondamento della nostra Repubblica, ed essendo la legge fondamentale dello Stato italiano occupa il vertice nella gerarchia delle fonti di diritto. Questo significa che ovviamente deve essere rispettata e che qualsiasi legge deve conformarsi ad essa. Andiamo quindi a vedere insieme se oggi, nel 2014, la legge fondamentale del nostro Paese viene rispettata.


"La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un'attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società." Quello riportato è l'articolo 4 della nostra Costituzione. Appare immediatamente evidente come oggi sia completamente disatteso. In primo luogo, è sufficiente ricordare che in Italia ci sono 3,5 milioni di disoccupati (13,6% della popolazione), 212mila in più rispetto all'anno scorso. Per la fascia d'età che va dai 15 ai 24 anni, il tasso di disoccupazione registrato nel primo trimestre del 2014 è del 46%. In secondo luogo, non possiamo non citare la famosa riforma del lavoro di Renzi. Il Decreto Poletti, che ci è stato presentato come una misura per combattere la disoccupazione, in realtà si limita a legittimare il precariato a vita ed è destinato a distruggere le prospettive di intere generazioni, costringendoci ad accettare qualsiasi lavoro, a prescindere dalle nostre capacità e dalle nostre esigenze, pur di portare a casa un qualsiasi stipendio. Al termine dei primi tre anni infatti potremo essere licenziati senza giusta causa e senza che l'imprenditore debba pagare alcuna penale (avevamo approfondito l'argomento in questo articolo).

Riportiamo, per meglio comprendere quanto ci siamo discostati dal pensiero dei nostri Costituenti, anche l'articolo 36: "Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa. La durata massima della giornata lavorativa è stabilita dalla legge. Il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, e non può rinunziarvi". Come potete leggere qui, in Italia il 12% dei lavoratori non riesce a vivere con un solo stipendio (in Europa solo la Romania e la Grecia fanno peggio con il 17-18%). Qui potete inoltre verificare come, alla fine del 2012, il 35,8% delle famiglie riteneva che le proprie entrate fossero insufficienti ad arrivare alla fine del mese, e la metà delle famiglie viveva con meno di 2000 euro al mese.

Ma proseguiamo ora nell'analisi della nostra Costituzione. Leggiamo all'articolo 11 che "L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali". Non serve dilungarsi troppo per dimostrare che oggi, mentre siamo impegnati nelle varie "missioni di pace" in Iraq e Afghanistan, in molti sembrano essersi dimenticati di questo nobile articolo.

Tra gli altri numerosissimi articoli della nostra Costituzione che oggi sono stati calpestati, vogliamo ricordare in particolare l'articolo 53, che recita: "Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività". Ognuno di noi dovrebbe pagare le tasse conformemente al proprio reddito e ai propri guadagni. Quindi, per esempio, Equitalia non sarebbe in alcun modo legittimata a pignorare la prima casa di un imprenditore che non riesce a pagare le tasse. Senza contare che hanno dovuto pagare l'IMU anche disoccupati e cassintegrati. E' incostituzionale! Ma più in generale, vogliamo parlare della pressione fiscale in Italia? Negli ultimi 10 anni è cresciuta di quasi 4 punti, toccando il 44%. Siamo sopra la media Ue di quasi 5 punti, e peggio di noi, oltre a Francia e Belgio, si attestano solamente i Paesi Scandinavi (Danimarca, Svezia, Finlandia), i quali, però, hanno tradizionalmente un sistema di assistenza sociale nettamente superiore al nostro (per approfondimenti, rimandiamo a questo articolo). Per contro in Italia, a fronte di tagli a beni e servizi essenziali, a fronte di svendite e privatizzazioni, le tasse non accennano a diminuire, anzi. 

Sembra evidente che per il governo Renzi è molto più facile parlare di modifiche alla Costituzione (le famose riforme costituzionali), piuttosto che scomodarsi a rispettarla. Da mesi ormai il dibattito, 80 euro a parte (definiti dalla Corte dei Conti un surrogato e non una vera riforma), si concentra esclusivamente su due argomenti: trasformazione del Senato in organo non elettivo e riforma della legge elettorale. Per quanto riguarda la riforma del Senato, fatta passare come un taglio alle spese dello Stato, è ormai chiaro che invece il risparmio sarebbe minimo e, proprio come per le Province, l'unica vera modifica che verrebbe apportata sarebbe rendere non elettivo un istituto fondamentale per la nostra democrazia. Questa modifica, unita all'abuso della decretazione d'urgenza che ormai tristemente contraddistingue il governo Renzi (ancora di più, incredibile ma vero, del governo Letta prima di lui) e a un disegno di legge elettorale incostituzionale, minano in maniera profonda le basi della nostra democrazia, verso un sistema di stampo autoritario. 

All'articolo 48 della Costituzione si stabilisce che "Il voto è personale ed eguale, libero e segreto". La Corte Costituzionale ha già riscontrato come cause di incostituzionalità, per quanto riguarda il Porcellum, il premio di maggioranza spropositato (che attribuisce un diverso peso al voto del partito vincitore rispetto agli altri) e l'assenza di preferenze (che inficiano invece la libertà del voto). L'Italicum, così come è stato definito, presenterà entrambe queste cause di incostituzionalità. Anche Ferdinando Imposimato, un eminentissimo magistrato italiano che si è a lungo occupato di lotta alla mafia, alla camorra e al terrorismo, si è pronunciato nettamente contro l'Italicum e le riforme costituzionali di Renzi in generale. In questo illuminante articolo, che vi consigliamo, Imposimato sostiene che l'Italicum, oltre a violare la Costituzione, porterà alla dittatura. Cosa impedisce quindi al governo Renzi di prendere in considerazione la proposta di legge elettorale del Movimento 5 stelle, contraddistinta dal metodo proporzionale e che prevede, oltre alle preferenze, addirittura la possibilità di penalizzare i candidati sgraditi? Secondo il ministro Boschi, è particolarmente importante il percorso che maggioranza e Forza Italia hanno compiuto finora, in tema di riforme costituzionali e legge elettorale. Insomma, la profonda sintonia con Berlusconi continua. 

Come possiamo accettare che in un momento di crisi tanto tragico per il nostro Paese, le priorità sbandierate sui media siano esclusivamente il senato non elettivo e una legge elettorale incostituzionale quanto la precedente? E' questa la risposta ai nostri problemi? Ricordiamoci della nostra Costituzione, ricordiamoci che questo governo, come i precedenti, la sta calpestando, non offrendo in alcun modo soluzioni vere e radicali, ma ingannandoci con false promesse e false priorità. Prendere tempo, farci credere che la fine della crisi è vicina, non ci salverà dal disastro. L'unico modo in cui il nostro Paese potrà riottenere i diritti sociali previsti dalla nostra Costituzione è riacquistare la sovranità monetaria, economica e politica, che ci svincolerebbe finalmente da vincoli, parametri e decisioni arbitrarie che vengono prese sulle nostre teste, ricadono sulle nostre spalle e di certo non perseguono i nostri interessi. E il punto di partenza è tornare ad essere consapevoli del nostro potere, come cittadini italiani, rispettando uno dei principi fondamentali della Costituzione, l'articolo 1: "La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione". Non possiamo continuare a dimenticare le leggi della nostra Costituzione e a permettere che vengano calpestate rassegnandoci all'apatia, non possiamo tollerare che coloro che sono morti per donarcele siano morti invano.

"Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. Dovunque è morto un Italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì, o giovani, col pensiero, perché lì è nata la nostra Costituzione". Piero Calamandrei, 26 gennaio 1955.

sabato 14 giugno 2014

Messaggi subliminali e teorie del complotto: fantasia o realtà?

In questo articolo vogliamo parlarvi di un fenomeno tanto popolare almeno quanto misterioso ed inquietante. Ci riferiamo ai messaggi subliminali: messaggi, trasmessi attraverso scritte, suoni o immagini, talmente rapidi o deboli da risultare al di sotto della soglia della consapevolezza. Tali messaggi sarebbero in grado di influenzare direttamente il nostro subconscio e, tramite esso, di influenzare anche i nostri comportamenti e i nostri pensieri. 

Il fenomeno dei messaggi subliminali scoppiò in America nel 1957, quando James Vicary, un esperto di pubblicità, secondo quanto riportato da quotidiani e riviste avrebbe segretamente fatto proiettare su uno schermo cinematografico, per una durata di un tremillesimo di secondo, le parole "mangiate popcorn" e "bevete Coca-Cola". Vicary sosteneva che per questo motivo le venidite di Coca Cola erano aumentate del 18,1% e quelle di popcorn del 57,7%. Potete immaginare la reazione della maggior parte delle persone, allo stesso tempo arrabbiate e spaventate da una tecnica tanto diabolica. Una vera e propria arma propagandistica, da cui sarebbe impossibile difendersi, a disposizione dei pubblicitari più meschini e spietati.

In seguito il fenomeno è stato ripreso da articoli di giornali i cui autori esprimevano proprio questi sentimenti di terrore, sempre più diffusi presso l'opinione pubblica, e tutti i media in generale fecero lo stesso. Perfino i governi nazionali, a partire da Australia e Gran Bretagna, decisero di intervenire vietando tale pratica, ma va da sè che nè l'attenzione dei media nè le norme delle amministrazioni riuscirono a porvi fine. Anzi, i messaggi subliminali si diffusero sempre di più anche nel settore dei prodotti per l'automiglioramento. Tuttora basta fare una ricerca su google per trovare una varietà infinita di cd e dvd subliminali progettati per il conseguimento di obiettivi lodevoli come il miglioramento dell'autostima, della memoria, della risposta sessuale o addirittura per dimagrire. Anche nei video musicali inoltre, sia di artisti italiani che stranieri, è sempre più frequente imbattersi in qualche mal celato messaggio subliminale (basti pensare al video di "Ring ring" di Fabri Fibra che potete vedere a questo link) che continua a destare preoccupazioni ed inquietudini in molti.


Ma se si considera l'attenzione dedicata ai messaggi subliminali dai media e perfino dai governi, quello che sorprende è l'insufficiente, o quasi nulla, attenzione che è stata dedicata da tutti noi a un tema di fondo: la persuasione subliminale funziona davvero?

Se è vero che esistono prove della percezione subliminale, ossia di un'elaborazione minimale dell'informazione al di sotto della soglia della coscienza, nessuno studio ha ancora dimostrato che i messaggi subliminali sono davvero in grado di influenzare i comportamenti e le motivazioni. La maggior parte degli studi infatti non riescono a indurre alcun effetto mediante la stimolazione a livello subliminale, mentre laddove si registra un qualche effetto si tratta di studi non riproducibili oppure viziati da un approccio metodologico sbagliato. Insomma, come afferma lo psicologo cognitivo Timothy Moore, oggi "non esiste una documentazione empirica di effetti subliminali sufficientemente forti da indurre comportamenti particolari o da modificare la motivazione. Inoltre, tale nozione è contraddetta da molte ricerchè ed è incompatibile con le concezioni dell'elaborazione dell'informazione, dell'apprendimento e della motivazione che sono state sviluppate sperimentalmente" (T. Moore, Subliminal Advertising: What you see is what you get, in "Journal of Marketing", 46, 1982).

Un esempio su tutti: nel 1958 in uno studio condotto dalla Canadian Broadcasting C., il messaggio "telefonate ora" venne proiettato subliminalmente 352 volte nel corso di una popolare trasmissione televisiva del sabato intitolata Close-Up ("Phone Now", Said CBC Subliminally - but nobody did, in "Advertising Age", 10 febbraio 1958). L'uso del telefono non crebbe in quel periodo e, alla richiesta di indovinare il messaggio, i telespettatori inviarono quasi 500 lettere, nessuna delle quali conteneva la risposta corretta. Quasi la metà di coloro che risposero affermò però di aver avuto fame o sete durante la trasmissione. Ciò non solo dimostra che le persone vogliono credere all'esistenza del fenomeno, ma documenta anche il potere delle aspettative create dallo studio di Vicary.

Infine, con l'accumularsi di prove negative, fu lo stesso James Vicary a dichiarare, nel 1962, di non aver mai condotto alcun esperimento, nessuna ricerca al di là di quello che era necessario per richiedere un brevetto. I dati in suo possesso erano troppo pochi per essere ritenuti significativi. E del resto questo spiega anche perchè, quando nel 1958 l'Advertising Research Foundation invitò Vicary a divulgare i suoi dati e i dettagli delle sue procedure, Vicary non rispose mai all'invito. In realtà lo studio fu solo una burla propagandistica, come afferma anche il docente di marketing Stuart Rogers, che si era occupato degli esperimenti di Vicary già dagli studi per la sua tesi in psicologia. L'affare Vicary secondo lui non è altro che un trucco pubblicitario per portare clienti alla società di ricerche di mercato cui Vicary apparteneva. 

Nonostante le affermazioni che appaiono su libri e riviste e sui contenitori dei cd di autoapprendimento, non è stata dimostrata quindi alcuna efficacia delle tattiche di persuasione subliminali. Ma allora perchè è pratica così diffusa credere al loro potere? Una ragione è certamente l'attenzione che i mass media hanno dato a tali tecniche, ma una seconda deriva certamente dalle nostre aspettative, speranze e paure. La persuasione subliminale infatti è presentata come una forza irrazionale che sfugge al nostro controllo, e come tale essa assume  un carattere soprannaturale del tipo "è il diavolo che me l'ha fatto fare" in grado di giustificare e spiegare il motivo per cui spesso veniamo persuasi a tenere dei comportamenti apparentemente irrazionali. Perchè ho comprato questo prodotto senza valore a un prezzo così alto? Stregoneria subliminale.

L'aspetto più triste, però, della fede nella persuasione subliminale è che questa svia le nostre attenzioni da questioni di maggiore sostanza. Esistono infatti moltissime tattiche di persuasione potenti ed appariscenti messe in atto da pubblicitari ed agenti di vendita che rischiamo di ignorare completamente. Pensate, ad esempio, al processo ai Judas Priest, chiamati in tribunale per via di una causa intentata loro dalle famiglie di due ragazzi che secondo l'accusa si sarebbero suicidati dopo aver ascoltato dei messaggi subliminali in un loro disco. Il verdetto del giudice fu favorevole ai Judas Priest: "Le ricerche scientifiche presentate non dimostrano che stimoli subliminali, anche se percepiti, possano produrre una condotta di quest'ordine di grandezza. Esistono altri fattori che spiegano la condotta dei deceduti indipendentemente dagli stimoli subliminali". Le vite di quei due ragazzi erano state molto difficili, tra tossicodipendenza, problemi con la legge, violenze familiari e disoccupazione cronica, ma su cosa decisero di concentrarsi i mass media? Non fu messa sotto i riflettori la necessità di centri antidroga, non furono soppesati i pro e i contro del sistema giudiziario minorile americano, non si indagò nelle scuole, non si studiò come prevenire la violenza familiare, non si discusse degli effetti della disoccupazione sulla famiglia. In poche parole: non si fece nulla. Ci si limitò a contare i demoni che possono ballare sulla puntina di un grammofono.

Allora non sarà forse il momento di appendere al chiodo il mito della stregoneria subliminale, e con essa tutte le presunte cospirazioni segrete e teorie del complotto, per rivolgere la nostra attenzione a cause meglio documentate dei nostri comportamenti e del nostro malessere? La nostra impressione è che tali miti vengano inventati ad arte per colmare il bisogno piscologico, avvertito da ciascuno di noi, di giustificare i propri comportamenti, specie in un'epoca come questa dominata dalla propaganda e dalle pubblicità. E' proprio questo bisogno a far sì che tali miti, mai verificati o verificabili, vengano accettati ciecamente da moltissime persone. Ma ad essere ancor più inquietanti sono i motivi per cui i mass media, secondo noi, non fanno nulla per sradicare tali finte credenze dalle nostre menti. Innanzi tutto, come dimostra il caso Judas Priest, bisogna tener presente che ciò permette di non affrontare i veri problemi. In secondo luogo la presunta invincibilità di fenomeni come quello dei messaggi subliminali, o di sette segrete che controllano il mondo, rendono impossibile qualsiasi soluzione ai nostri mali. Del resto a cosa servirebbero dei politici onesti e innamorati del proprio Paese? In fondo loro son solo dei burattini, non contano nulla, il vero potere è ben altro.

Eppure così si finisce per dimenticare che in realtà è una scelta della nostra classe politica quella di aver svenduto il Paese alle oligarchie finanziarie e industriali. E' stato deciso dai nostri rappresentanti al governo l'ingresso nell'euro, come anche la ratifica del Fiscal Compact e la privatizzazione di patrimoni pubblici come ENI, Enel, Poste e via dicendo. Basterebbe cambiare tali scelte per tirarci fuori da un progetto tanto criminoso quanto "alla luce del sole", e documentato da fior fior di economisti e premi Nobel. Allora perchè ancora moltissimi di noi sono ipnotizzati da veri e propri "pettegolezzi"?

Purtroppo la propaganda mediatica lascia a pochi la possibilità di percepire le problematiche e i paradossi della nostra società. Se una buona parte di questi poi perde il suo tempo nella ricerca di influssi subliminali e burattinai invisibili chi si occuperà di risolvere i problemi reali, che continuano allegramente a riprodursi e ingigantirsi? Rischiamo di commettere lo stesso errore delle mosche, che continuano a sbattere la testa contro la finestra fino a morire tramortite. Con l'aggravante che il nostro vetro non è solo trasparente, ma addirittura inconsistente, e si tiene in piedi solo grazie alle nostre paure.

giovedì 12 giugno 2014

La verità su chi muove i fili dell'informazione italiana

Ormai siamo in molti a dubitare di ciò che ci raccontano i mezzi di informazione cosiddetti ufficiali. Per chi si informa autonomamente, appare spesso fin troppo chiaro che le verità che vengono fatte passare sono, nella migliore delle ipotesi, monche, e nella peggiore sono addirittura evidenti stravolgimenti della realtà. Del resto la Freedom House nella sua annuale classifica sul livello di libertà di stampa raggiunto in ogni nazione del mondo, come dimostra l'immagine qui sopra, definisce l'Italia e la Turchia gli unici due Paesi dell'Europa occidentale in cui l'informazione è semi-libera.  Ma quello che troppo spesso trascuriamo è forse l'aspetto più importante, ovvero: chi ha interesse a generare questo tipo di informazione? E perché

Tendiamo di solito a liquidare la questione immaginando, ad esempio, che i giornali siano servi di determinate forze politiche, e che quindi, seguendo le loro direttive, tendano strumentalmente a mettere in luce ipotetiche conquiste o aspetti positivi delle forze di cui sarebbero al soldo e a "gettare fango" sulle opposizioni. Ma di solito il ragionamento si ferma qui. Ciò che invece ci proponiamo di mettere in luce in questo articolo, è che questa concezione risulta essere semplicistica. E questo essenzialmente perchè la realtà è ben più complessa. Nella realtà, i giornali non sono servi della politica, perchè giornali e politici di fatto sono servi dello stesso potere, quello economico dei grandi interessi industriali e bancari, in una parola: del capitalismo, il modo di produzione orientato esclusivamente al profitto e alla sovrapproduzione che governa il nostro mondo, accompagnandolo a braccetto verso il baratro. 

Come i politicanti di professione rispondono a lobbies e multinazionali (basti pensare, tra i tanti casi, all'acquisto di F35 in un momento di enorme crisi e al condono di 98 miliardi di euro alle multinazionali del gioco d'azzardo), i giornali non solo rispondono, ma sono addirittura di proprietà degli stessi poteri forti! Non ci credete? Vi riportiamo alcuni esempi interessanti.

Seguendo un ordine basato sulla tiratura delle maggiori testate giornalistiche italiane, iniziamo citando il Corriere della Sera. Questo fa parte del gruppo editoriale RCS MediaGroup, il cui primo azionista è Fiat S.p.A. con il 20,552%, seguito da Mediobanca S.p.A. con il 9,93% e da Diego Della Valle con l'8,995%. Figurano, tra gli altri, anche Pirelli & C S.p.A. con il 5,445% e IntesaSanpaolo con il 5,124%.

Passiamo ora a la Repubblica. Come forse è noto, questa, insieme all'Espresso, è di proprietà del Gruppo Editoriale L'Espresso, di cui la CIR di Carlo De Benedetti, imprenditore notoriamente controverso a causa degli scandali Olivetti e Sorgenia, è azionista di maggioranza.

Ma andiamo oltre, siamo solo all'inizio. Ora è il momento de Il Sole 24 ore, edito dal Gruppo 24 ORE, società quotata in borsa dal 2007 e di proprietà di Confindustria, il cui scopo è letteralmente la "Tutela degli interessi degli imprenditori".

Tocca ora a La Stampa, edita da Editrice La Stampa S.p.A., che è controllata al 100% da Fiat S.p.A. Dal 13 marzo 2008, il Presidente è John Elkann.

Il Messaggero è edito da Caltagirone Editore, che produce anche quotidiani come il Mattino, il Gazzettino e Leggo. L'azionista di maggioranza della Caltagirone Editore è Francesco Gaetano Caltagirone, un imprenditore italiano costruttore edile. Ma non uno qualunque, visto che nel 2011 è stato l'undicesimo italiano più ricco con 1,5 miliardi di dollari e 833° al mondo.

Per quanto riguarda Il Giornale, c'è ben poco da commentare, visto che dal 1979 è di proprietà della famiglia Berlusconi e in particolare, dal 1992, di Paolo Berlusconi.

Libero dal 2001 è di proprietà del gruppo Angelucci, attivo nel settore della sanità e dell'immobiliare. Proprio in questi giorni, sono sotto indagine Antonio Angelucci, i figli Gianpaolo, Alessandro ed Andrea, insieme a numerosi collaboratori, per omissione delle dichiarazioni sulle imposte, fatture per operazioni inesistenti e appropriazione indebita.

Chiudiamo la nostra lista con il Fatto Quotidiano, che per quanto abbiamo potuto verificare ha un azionariato diffuso, in cui nessun azionista supera il 17%, e oltre alla Casa editrice Chiarelettere, che sembra dedicarsi esclusivamente all'informazione e all'approfondimento, tra gli azionisti ci sono anche i giornalisti Antonio Padellaro (16,26%), Marco Travaglio (4,88%) e Peter Gomez (3,25%). 

In conclusione, a parte rarissime eccezioni, possiamo quindi constatare un chiaro connubio tra informazione e potere economico, dato che il secondo controlla la prima. Nessun complotto, nessuna cospirazione segreta, è tutto alla luce del sole e facilmente verificabile online. Appurato questo, non ci resta che tenerlo sempre bene a mente quando veniamo bombardati da notizie strumentali e spesso ai limiti della menzogna, perchè gli interessi che si nascondono dietro al mondo dell'informazione sono gli stessi che si nascondono dietro al mondo della politica, e sono quelli che governano il sistema marcio in cui siamo intrappolati. Per questo continueremo ancora, anche nei prossimi anni, a sentir parlare di una fantomatica "luce in fondo al tunnel" sempre più vicina, ma di cui continueremo a non vedere la fine. Ed è per lo stesso motivo che ogni giorno continueremo ad essere persuasi della necessità e dell'urgenza di non meglio precisate "riforme" in nome delle quali ogni diritto e principio democratico è sacrificabile. Infine, ovviamente, è sempre per questo che non sentiremo mai parlare di Trattati Europei come il MES, il Fiscal Compact, il TTIP o l'ERF. Dell'Unione Europea e dell'euro, veri e propri strumenti di dominio per mezzo dei quali stiamo assistendo sempre più ad una concentrazione della ricchezza nelle mani di pochissime persone, non si può certo parlar male. Chi manovra i fili ha tutto l'interesse che le cose restino così. Del resto sono gli stessi che questa situazione l'hanno causata, oltre che gli unici a trarne beneficio.

venerdì 6 giugno 2014

L'Italia sarà la nuova Cina: CE LO CHIEDE L'EUROPA

Il 2 giugno 2014, mentre Renzi e Napolitano erano "impegnati" nella tradizionale parata per la festa della Repubblica, i tecnocrati della Commissione Europea hanno pubblicato le loro dettagliate raccomandazioni per l'Italia riguardo al 2014 e al 2015 (trovate il documento originale a questo link). 


L'Europa ci chiede in primo luogo di ridurre il debito, riducendo la spesa pubblica e portando a compimento quello che viene definito un "ambizioso piano di privatizzazioni". Ai tagli alla spesa, cioè ai beni e servizi pubblici essenziali a cui avremmo diritto in quanto cittadini italiani, dovranno quindi affiancarsi svendite di asset pubblici, al semplice scopo di fare cassa. Del resto lo dimostra il clamoroso e attualissimo caso Rai Way, che abbiamo analizzato in questo articolo, davvero emblematico in questo senso.

Ma preparatevi, perchè questo era solo l'inizio. Poco più avanti nella lettura ci viene raccomandato di "trasferire ulteriormente il carico fiscale dai fattori produttivi ai consumi, ai beni immobili e all'ambiente". L'Europa ci chiede quindi, traducendo, di aumentare, tra le altre tasse, IMU e IVA. Ciò al fine di poter detassare il lavoro, manovra che andrà a vantaggio soprattutto delle grandi aziende che si vedranno diminuire il costo della manodopera. Misure come questa ci vengono presentate come necessarie per acquisire una maggiore competitività, e vanno a braccetto con la recente legittimazione del precariato a vita messo in opera proprio dal Governo Renzi (ne avevamo parlato in questo articolo). Peccato però che non siamo certo noi comuni mortali i beneficiari della tanto decantata competitività al ribasso, anzi. Ma andiamo con ordine. Per capire meglio questo punto, basta proseguire oltre nella lettura. 

Prima però, apriamo una breve parentesi su altre gentili richieste dell'Europa al nostro Paese. Non aumenteranno infatti soltanto IMU e IVA, l'Europa ci chiede anche di "riesaminare la portata delle agevolazioni fiscali dirette e allargare la base imponibile, soprattutto sui consumi" oltre che di "vagliare l'adeguamento delle accise sul diesel a quelle sulla benzina". In altre parole, meno agevolazioni, maggiori imposte, accise sul diesel da aumentare ai livelli di quelle sulla benzina. Ma non è tutto: l'Europa ci chiede anche di "sviluppare ulteriormente il rispetto degli obblighi tributari", altro che abolire Equitalia! Del resto, ci aveva già pensato il Governo Renzi, lo scorso 27 maggio, a bocciare la proposta di abolizione di Equitalia presentata dal Movimento 5 Stelle. Su questo punto, nulla di nuovo, una semplice conferma. 

Ma torniamo al problema lavoro e competitività. Continuando nella lettura, troviamo un altro punto interessante. L'Europa ci chiede di valutare entro la fine dell'anno gli effetti delle riforme del mercato del lavoro (vedi Decreto Poletti, il vecchio Job Act a cui abbiamo rimandato poco sopra), valutando in particolare, tra le altre cose, la capacità che queste avranno avuto nel facilitare le procedure di licenziamento e nel miglioramento della competitività del costo del lavoro, addirittura "valutando la necessità di ulteriori interventi". L'Europa poi ci chiede, genericamente e astrattamente, di adoperarci "per una piena tutela sociale dei disoccupati", ma ricordandoci subito dopo, molto più concretamente, che questo va fatto "limitando tuttavia l'uso della cassa integrazione guadagni per facilitare la riallocazione dei lavoratori". Paradossale, non trovate? Ma non è finita qui! L'Europa ci chiede anche di "intervenire concretamente per aumentare il tasso di occupazione femminile, adottando entro marzo 2015 misure che riducano i disincentivi fiscali al lavoro delle persone che costituiscono la seconda fonte di reddito familiare". Letta così potrebbe addirittura sembrare un qualcosa di positivo, ma in realtà significa semplicemente che il governo dovrà abolire le detrazioni fiscali per il coniuge a carico, che per i tecnici di Bruxelles sono meri disincentivi fiscali al lavoro.

Cerchiamo di fare un attimo il punto. Il Decreto Poletti consente al datore di lavoro di licenziare il dipendente senza penali e senza necessità di giusta causa nell'arco di ben tre anni dall'inizio del rapporto di lavoro. Nella stragrande maggioranza dei casi quindi, un lavoratore verrà lasciato a casa appena prima dello scadere dei tre anni, e sarà costretto a ricominciare a cercarsi un nuovo lavoro, accettando anche incarichi che non rispecchino la sua formazione e le sue esigenze, pur di portare a casa il pane per altri tre anni. Tutto questo mentre ai cassintegrati verrà ridotto l'uso della cassa integrazione per "facilitare la riallocazione dei lavoratori", per cui di fatto si troveranno anch'essi a competere per un posto, un qualsiasi posto, insieme a tutte quelle donne per cui verranno aboliti gli assegni per coniuge a carico. Peccato che in un momento come questo, in cui la disoccupazione ha raggiunto i livelli più alti dal 1977 (13,6%, 46% tra i giovani), di tutto ci sarebbe bisogno, tranne che di "incentivare" a lavorare ancora più persone togliendo loro sussidi alternativi. Queste persone infatti andranno immancabilmente a ingrossare le fila dell'esercito di disoccupati che lotta per un posto di lavoro qualsiasi pur di rimanere a galla, accettando salari sempre più bassi, senza prospettive di futuro a lungo termine. 

Saremo sempre più poveri e abbandonati, dato che per ridurre la spesa pubblica di fatto ci verranno negati, come appena spiegato, sussidi e servizi essenziali. E nello stesso senso, verso una progressivo impoverimento della popolazione, andranno anche gli aumenti sulla tassazione di beni immobili e consumi. Tutto ciò mentre gli unici beneficiari di simili manovre saranno le grandi multinazionali, che potranno sfruttare un costo del lavoro reso molto più basso dalla detassazione, dalla guerra tra poveri per assicurarsi un posto di lavoro a qualsiasi retribuzione e dalla progressiva distruzione dei diritti dei lavoratori. A questo punto quindi l'intento dell'Unione Europea appare chiaro: con le manovre che ci vengono imposte, il destino del nostro Paese è quello di diventare una sterminata fucina di manodopera a basso costo a disposizione della multinazionale di turno, che poi esporterà i beni a buon mercato così prodotti nei Paesi ricchi. Tra i quali, evidentemente, non rientreremo più. Ci trasformeranno in un Paese del terzo mondo. Come in Cina, un operaio non potrà più permettersi di acquistare neppure ciò che lui stesso, con il suo lavoro, avrà contribuito a produrre.

E per concludere, se nonostante tutto vi sentite ancora rassicurati dall'atteggiamento decisamente ambiguo del Premier Renzi, che non perde occasione per ripetere che lui l'Europa la vuole cambiare, vi invitiamo a dare un'occhiata a questo articolo, in cui abbiamo descritto le enormi differenze tra le dichiarazioni di Renzi precedenti al suo primo incontro con la Merkel, e ciò che invece le ha detto di persona, rassicurandola sul diligente rispetto di tutte le regole e i vincoli europei da parte del nostro Paese. Non è un segreto, del resto, che nel DEF di aprile il governo Renzi si sia impegnato a raggiungere il pareggio di bilancio entro il 2016, nè tantomeno è un segreto che Renzi abbia più volte dichiarato di voler rispettare il Fiscal Compact. Ma se ancora non vi basta, riportiamo il tweet del ministro dell'economia Padoan in risposta alle raccomandazioni della Commissione di cui abbiamo parlato in questo articolo. Ecco il testo: ''La Commissione Ue apprezza riforme italiane. Debito alto, lo sapevamo: acceleriamo riforme e privatizzazioni per ridurlo in modo sostenibile''.

Insomma, ci aspettano tempi bui, questo ve lo avevamo già anticipato in altri articoli. E temiamo che finchè l'Italia sarà costretta a sottostare alle cosiddette "raccomandazioni" delle istituzioni europee, che non hanno evidentemente a cuore gli interessi di noi cittadini, ma solo di grandi gruppi industriali, lobbies e banche, non potrà che andare peggio. E' necessario capire e denunciare il più possibile l'assurdità di questo sistema e combattere perchè il nostro Paese possa finalmente riottenere la sovranità monetaria, economica e politica. Non ci sono alternative, o meglio, l'alternativa è solo una: diventare la nuova Cina. Sinceramente, noi preferiremmo la prima opzione. E voi?

mercoledì 4 giugno 2014

La grande menzogna dietro ai falsi tagli in Rai

In questi giorni le maggiori testate giornalistiche nazionali sono tutte unite contro quello che sembra ormai diventato il nemico pubblico numero 1: la RAI. Ovviamente, come sempre accade in questi casi, l'opinione pubblica segue a ruota. Lo stesso Matteo Renzi, riferendosi allo sciopero annunciato ai dipendenti Rai per il prossimo 19 giugno, è arrivato addirittura ad affermare: "Mi spiace solo che se l'avessero annunciato durante le elezioni prendevo il 42,8 per cento", e probabilmente ha anche ragione. Il problema però è che l'informazione che ci viene propinata è sempre incompleta e faziosa, quindi è passato il messaggio che il governo vuole finalmente ridurre sprechi e privilegi della RAI, e che chiunque in questi giorni stia tentando di opporsi alla manovra è solo un parassita che tenta di difendere il proprio posto al sole.

Prima di illustrare i motivi per cui questa rappresentazione della realtà è totalmente distorta, tenete presente che chi scrive è assolutamente convinto della necessità di una profonda riforma della televisione pubblica. E' assolutamente inaccettabile, infatti, che un servizio televisivo pubblico arrivi a censurare dei contenuti, come nel clamoroso caso dell'intervista all'eurodeputata tedesca Ska Keller (approfondisci qui), o a mandare in onda spot palesemente propagandistici in piena campagna elettorale pre-europee (lo denunciammo in questo articolo). Onestamente riteniamo siano queste le politiche RAI che più dovrebbero inquietarci, perchè ne va della democrazia, altro che sprechi.

Detto questo andiamo ora a vedere perchè la "lotta agli sprechi" annunciata da Renzi, e poi osannata da tutta la stampa, è solo facile populismo che nasconde ben altri interessi. E' immediato, infatti, rendersi conto che i 150 milioni che il governo pretende dalla RAI per finanziare "i famosi 80 euro" non perverranno affatto da una revisione delle spesa, bensì dalla svendita di patrimonio pubblico. E' proprio lo stesso articolo 21 del DL irpef, così come emendato al Senato, a non lasciare spazio a dubbi, prevedendo esplicitamente che i 150 milioni potranno essere recuperati dalla vendita di quote di Rai Way. E se ancora non dovesse bastare, è lo stesso Presidente del Consiglio, in occasione del Festival dell'Economia di Trento, a ribadire il concetto: "Mi fanno la polemica per i 150 milioni quando sono lì: basta fare l’operazione Ray Way. Il governo non ha imposto un’operazione di tagli difficili e complicati, ma ha legittimamente disposto la vendita di un asset". Capito? Il governo non ha imposto un'operazione di tagli, ma di vendita di un asset. Più chiaro di così... 

Una volta appurato che l'intera campagna mediatica in favore del governo è fondata, in realtà, su una colossale menzogna, dentro di noi dovrebbe scattare in automatico una domandina: perchè? Beh, evidentemente perchè la vendita di Rai Way è qualcosa che è meglio far passare sotto silenzio. Ma la domanda che ci sorge spontanea a questo punto è sempre la stessa: perchè? Questa volta, prima di rispondere, dobbiamo andare a vedere cos'è effettivamente Rai Way e di cosa si occupa.

Ray Way è la società, appartenente al gruppo RAI, che possiede e cura la manutenzione delle torri di trasmissione del segnale radiotelevisivo RAI. Ma non basta. Siccome la convenzione con lo Stato obbliga la RAI a garantire la trasmissione del segnale con un ripetitore ogni 300.000 abitanti, oggi la rete di torri Rai Way è talmente capillare che nessun altro operatore, televisivo o telefonico, può raggiungere in modo così incisivo tutto il Paese. Tra l'altro, proprio grazie alla loro capillare distribuzione sul territorio, le torri Rai Way potrebbero essere utilizzate per coprire con il wifi tutto il territorio nazionale. Il progetto, come racconta questo articolo del Fatto Quotidiano, è pronto già dal 2006 e la sua realizzazione comporterebbe costi minimi. Inutile precisare che, stante la natura pubblica del progetto, tale servizio potrebbe essere erogato gratuitamente dallo Stato. Lo stesso discorso vale inoltre per l'alta velocità per telefonini, il famoso 4G, che potrebbe essere sostenuto tranquillamente dalle torri Rai Way. Ma c'è di più: le torri Rai Way sono nevralgiche anche per la sicurezza nazionale. Su quei tralicci infatti ci sono impianti delle Forze dell'Ordine, dei Servizi Segreti, dell'Esercito, della Protezione Civile, della Banca d'Italia, del 118, dei Vigili del fuoco, della Presidenza della Repubblica e della Capitaneria di porto. Durante momenti particolari (ad esempio quando ci fu l’attacco Nato nei paesi dell’ex Jugoslavia), tutti gli impianti principali di Rai Way, per motivi di sicurezza, furono addirittura presidiati dall’esercito, proprio perché utilizzati anche per comunicazioni strategiche. 

Stiamo parlando, insomma, di un patrimonio nazionale di incredibile valore strategico e tecnologico. Ma anche da un punto di vista economico la vendita di Rai Way sarebbe una vera e propria follia. Si tratta di una società che ha sempre prodotto utili e che nel 2013 ha fatto registrare un profitto di oltre 11 milioni di euro. Inoltre gli impianti sono stati recentemente modernizzati (digitalizzazione e cablatura in fibra) per un investimento totale di circa 700 milioni di euro, sborsati integralmente dalla RAI senza alcun aiuto da parte dello Stato. Non dimentichiamo poi che, anche dal punto del consumatore, vendere Rai Way ad un soggetto privato sarebbe decisamente controproducente, visto che risulta particolarmente difficile credere che questo, una volta completati gli interventi rimasti per coprire con il wifi tutto il territorio nazionale, sarebbe disposto ad offrire gratis il servizio. Ma oltre al danno, anche la beffa: se la Rai si privasse delle proprie torri il nuovo proprietario sarebbe libero di fissare un prezzo a proprio piacimento per l'uso delle frequenze, che evidentemente si rifletterebbe sul canone.

Capito perchè il nostro Presidente del Consiglio, con complici i media, ha deciso di nascondere tutta la manovra sotto il menzognero slogan "lotta agli sprechi"? Se avesse dichiarato di voler dare un patrimonio nazionale come Rai Way, oltretutto redditizio, in mano a dei privati, solo per poter finanziare la propria campagna elettorale pre-europee (gli 80 euro sono questo), secondo voi avrebbe avuto lo stesso impatto positivo sull'opinione pubblica? Ovviamente no. 

Ma manca ancora un pezzo a questo puzzle: perchè proprio Rai Way? Se volesse svendere solo per far cassa e tener fede alle proprie promesse elettorali, Renzi avrebbe potuto tranquillamente scegliere una tra le tante società in perdita della RAI, o perlomeno ne avrebbe potuta scegliere una non altrettanto importante per la collettività. Perchè scegliere proprio Rai Way? Una scelta tanto scriteriata ha tutta l'aria di essere un "favore" a qualcuno, per esempio a Silvio Berlusconi, proprietario di Mediaset e interessatissimo ad entrare nel mercato del 4G. Del resto è proprio con lui che Renzi ha siglato quel riservatissimo accordo passato alla storia come "il patto del Nazareno". E poi è stato lo stesso Fedele Confalonieri, in occasione dell'assemblea degli azionisti Mediaset dello scorso 29 aprile, a parlare dell'interesse ad acquisire altre torri. Tutte coincidenze? L'unica certezza è che una rete di trasmissione tanto capillare come quella di Rai Way, in grado di diffondere in prospettiva anche i segnali wifi e 4G su tutto il territorio italiano ad oneri contenutissimi, fa gola a molti. E raramente, in queste situazioni, prevale l'interesse pubblico.