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giovedì 28 agosto 2014

Modello consumistico: come sfruttarlo a nostro favore!

La vera dittatura oggi, prima ancora che politica, è senza dubbio economica. Mentre infatti in tempi di elezioni ancora ci ricordiamo che la scelta sta a noi, e che quindi un potere effettivo è nelle nostre mani, lo stesso accade sempre più raramente quando c'è da mettere mano al portafogli.

Una volta era la domanda a generare l'offerta. Quindi, se un'ampia fetta di popolazione si rendeva conto di nutrire un bisogno ancora insoddisfatto, prima o poi sarebbe saltato fuori qualcuno ad offrir loro proprio quel bene o servizio in grado di soddisfare quello stesso bisogno. Oggi invece, con la nascita del modello consumistico (su cui vi invitiamo a leggere questo nostro precedente articolo), la situazione  si è ribaltata. Grazie a tecniche persuasive sempre più affinate e ad un bombardamento pubblicitario ormai incessante sono gli stessi produttori di beni e servizi ad inculcare nelle nostre menti nuovi bisogni, di cui noi non avvertivamo l'esigenza. Certo, anche in politica il marketing è un elemento sempre più importante, ma questa è una naturale conseguenza di quanto detto finora. Se vogliamo risolvere il problema è necessario agire alla radice.

Noi cittadini e consumatori dobbiamo innanzi tutto ricordarci che ogni giorno esercitiamo un enorme potere sull'indirizzamento della società. Non ci credete? Allora ve lo dimostriamo. Come saprete oggi tutto il sistema è mosso da un unico incentivo: il profitto. E indovinate chi è che permette a queste enormi corporations, che spendono patrimoni in campagne pubblicitarie mastodontiche, di ottenere profitti da far impallidire intere nazioni? Esatto, proprio noi, con le nostre scelte di consumo.

Ma come possiamo fare ad esercitare consapevolmente questo potere? Una buona strategia per non cadere nel tranello propagandistico quando ci rechiamo a fare compere, secondo noi, potrebbe essere quella di vedere ogni singola banconota che teniamo nel portafogli come un voto da esercitare, un voto che in una società di mercato come quella in cui viviamo vale anche più di una scheda elettorale. Una volta presa coscienza di questo sarà automatico divenire più propensi ad informarsi sull'etica, sui processi produttivi e sulla storia di quelle aziende a cui si è ormai abituati a dare soldi quasi inconsapevolmente, guidati da un ragionamento tipo: "Ah, sì, questo marchio l'ho visto in TV, deve essere buono!". Tra l'altro sappiate che di solito è proprio il contrario. E poi indovinate chi è che paga le campagne pubblicitarie milionarie e i testimonials di lusso di queste società? Esatto, proprio noi, con i nostri acquisti. Insomma, oltre al danno anche la beffa.

Oggi, con internet, recuperare informazioni è sempre più alla portata di chiunque, e fare qualche ricerca perlomeno su quei marchi che ci rendiamo conto di acquistare più spesso, per rendere la nostra spesa e il nostro shopping più consapevoli, sarebbe già un ottimo inizio. Potremmo accorgerci che fino a ieri abbiamo finanziato lo sfruttamento minorile, la distruzione dell'ambiente, o addirittura abbiamo acquistato prodotti dannosi per la nostra salute o destinati a deperirsi in tempi brevissimi per il fenomeno dell'obsolescenza programmata. Ma anche solo avere un occhio di riguardo per il made in Italy, quello vero, fatto con passione e autenticità, di questi tempi non sarebbe una cattiva idea. Insomma, ognuno può scegliere i propri criteri, ma l'importante è averne!

Va da sè che naturale conseguenza derivante da una tale presa di coscienza da parte dei consumatori sarebbe quella di rilanciare finalmente il concetto di "meritocrazia". Venute meno le armi della persuasione e della propaganda infatti ogni produttore sarebbe obbligato ad ottenere la nostra approvazione e la nostra fiducia, generando benefici per l'intera società. 

Nelle nostre mani abbiamo un grandissimo potere, è ora di assumercene la responsabilità!

mercoledì 27 agosto 2014

Standard retributivo europeo: una soluzione definitiva alla crisi

Qui chiudiamo tutto il discorso legato alla crisi economica e finanziaria che da ormai 6 anni sta distruggendo il benessere e la fratellanza dei popoli in Europa. Le principali cause e dinamiche le avevamo analizzate nel dettaglio in questo articolo, che vi consigliamo vivamente di leggere prima di proseguire, quindi ora passeremo ad affrontare l'ultimo step, quello della soluzione.

Finalmente possiamo gioire nel darvi una buona notizia: la soluzione a questa crisi infinita esiste già, e non c'è bisogno di distruggere niente! Non occorre uscire dall'euro, e tanto meno occore interrompere il processo di integrazione europeo, anzi, è proprio il contrario. Si tratta semplicemente di far sì che questo processo torni ad essere coerente con quanto sognato dai suoi fondatori, che di certo non avrebbero mai immaginato che il loro sogno si sarebbe poi trasformato in un incubo per centinaia di milioni di persone.

Ma questo come si realizza? La risposta si chiama "standard retributivo europeo", ed è già stata illustrata da economisti del calibro di Emiliano Brancaccio e Eckhard Hein (che per la cronaca, è tedesco). Questo standard prevederebbe in primis che tutti i Paesi membri dell'Unione Europea si impegnassero a garantire una crescita dei salari reali almeno pari a quella della produttività del lavoro. Al di sopra di questa crescita minima, in secondo luogo, lo standard legherebbe la crescita delle retribuzioni reali agli andamenti delle bilance commerciali dei vari Paesi. Quindi i Paesi caratterizzati da un surplus commerciale sistematico con l'estero (per capirci: quelli che in maniera strutturale esportano più di quanto importano) dovrebbero accelerare la crescita delle retribuzioni rispetto alla crescita della produttività.

I benefici apportati da questa semplice regola all'economia dell'eurozona sarebbero immediati, dirompenti e soprattutto duraturi. Come primo risultato si otterrebbe quello di interrompere la caduta ormai trentennale della quota salari in Europa e la tendenza recessiva che ne è conseguita. I salari infatti hanno una propensione molto più alta al consumo rispetto ai profitti, quindi lo "standard retributivo europeo" si traddurrebbe, oltre che in una comunque necessaria redistribuzione sociale, anche in una fortissima spinta ai consumi e di conseguenza alla crescita. Inoltre, sempre grazie allo standard, gli squilibri commerciali esistenti tra i vari Paesi, a cui ora i vari governi sono costretti a porre rimedio attraverso la precarizzazione dei lavoratori, la distruzione dei salari e l'austerità, si riverserebbero sì interamente sui salari, ma lo farebbero al rialzo. Ovvero: la Germania è più competitiva, ha una maggiore produttività del lavoro e riesce ad esportare di più? Bene, i suoi lavoratori saranno ricompensati con una crescita dei salari reali più alta rispetto a quella di tutti gli altri Paesi. In Italia siamo pigri e improduttivi? Bene, i salari reali non si muoveranno di una virgola. Va da sè che nel giro di pochissimo i tedeschi inizierebbero a trovare sempre più convenienti i beni italiani e quindi ne aumenterebbero l'importazione, contribuendo al rilancio della nostra economia, mentre gli italiani sarebbero finalmente incentivati ad aumentare la loro produttività ed efficienza, sia per soddisfare questa nuova domanda, accresciuta anche da una maggiore domanda interna dato che i beni tedeschi diventerebbero via via più cari, sia per vedersi aumentare i propri salari reali. Finchè ad un certo punto la situazione si invertirebbe, e allora toccherebbe a noi monetizzare gli sforzi fatti e ai tedeschi inseguire. Insomma, si instaurerebbe un vero e proprio circolo virtuoso in cui non perderebbe nessuno. 

Allora vi chiediamo: non sarebbe questa l'Europa che tutti vogliamo? Un'Europa in cui i Paesi membri non competono più al ribasso sui salari e sui diritti dei lavoratori, ma al rialzo sulla qualità della vita al loro interno? Dove le aziende sono costrette a competere non più al ribasso sui prezzi, bensì al rialzo sulla qualità dei prodotti e dei servizi? Non sarebbe questa l'Europa dei popoli, della pace, della civiltà e della prosperità che i padri del progetto europeo sognavano?

Finalmente guardando in fondo al tunnel iniziamo a scorgere una luce, ma per raggiungerla dobbiamo essere in tanti a vederla!

martedì 26 agosto 2014

Di nuovo Insieme!

In questo nostro viaggio di ricerca della verità è stato inevitabile imbatterci in un mondo molto spesso menzognero e spietato, più oscuro di quanto avremmo mai potuto immaginare. Senza neppure accorgercene, da un giorno all'altro, abbiamo stravolto il nostro modo di vivere e relazionarci con gli altri, abbiamo iniziato a pensare che tutto intorno a noi fosse terribile e sbagliato, che una via d'uscita a tutto questo sconforto non esistesse, che saremmo rimasti impantanati per sempre.

Insomma, uscire indenni da questa nuova realtà, in cui abbiamo deciso di immergerci completamente, è molto dura. Tuttavia sono bastate un paio di settimane lontani dai social e dal caos mediatico per ricordarci che questa doveva essere solo una tappa del percorso, uno scendere giù negli abissi dell'incoscienza umana fino a toccare il fondo, ma solo per poi risalire verso la luce con ancora più slancio.

Ecco perchè adesso, facendo comunque tesoro di questa nuova consepevolezza, abbiamo deciso di tornare a concentrarci su di noi, sulle nostre vite, il nostro benessere e i nostri obiettivi. Ci siamo ricordati che originariamente il motto del progetto "Insieme" era: "Il mondo è un nostro riflesso, e insieme possiamo cambiarlo". Beh, è ancora così! Studiare i problemi che affliggono la nostra società e denunciarli è certamente importante, ma se ci fermassimo lì, senza offrire alcuna speranza, non faremmo altro che rendere il mondo un posto ancora più sinistro e cupo dove vivere. D'ora in poi terremo un approccio propositivo e costruttivo, e smetteremo di trascurare le tantissime cose meravigliose, piccole e grandi, che ci stanno intorno e che troppo spesso ci siamo abituati a dare per scontato. Non ci porremo più limiti o vincoli, scriveremo di tutto ciò che ci viene dall'anima e lo faremo senza pensarci due volte.

In fondo spetta a noi decidere come vogliamo vivere la nostra vita, a quali cose vogliamo dare la priorità e il potere di influire sul nostro stato d'animo, e siamo noi a decidere come vogliamo porci nei confronti degli altri. Noi oggi abbiamo fatto la nostra scelta: vogliamo passare dalla negatività alla positività, dalla distruzione alla costruzione, convinti che il mondo ci sorriderà di riflesso. Facciamolo insieme!


sabato 9 agosto 2014

La verità sul TTIP e gli OGM

Il governo Renzi, tra i vari obiettivi del semestre europeo a guida italiana, ha annunciato quello di voler accelerare le negoziazioni per giungere alla stipulazione del Trattato Transatlantico (TTIP).

Come avevamo già scritto in questo articolo si tratta di un accordo di libero scambio tra Unione Europea e Stati Uniti. In pratica, se oggi abbiamo un mercato unico europeo, dopo la ratifica di questo Trattato avremo un mercato unico euro-americano. Vi avevamo già fatto presente, nell'articolo linckato qui sopra, come una delle tante conseguenze nefaste di un simile accordo sarebbe l'obbligo, per tutti i Paesi dell'Unione Europea, di adeguarsi alla regolamentazione sulla tutela del consumatore e dell'ambiente attualmente vigente negli USA, ben meno stringente di quella comunitaria. Tra i tanti accorgimenti che i nostri governanti dovrebbero prendere a tal fine, in questo articolo vogliamo trattare la questione dei cibi OGM, molto discussa ma purtroppo ancora troppo poco conosciuta (come spesso accade quando di mezzo ci sono interessi economici molto importanti).

OGM sta per "Organismo Geneticamente Modificato", e le pratiche che permettono di giungere alla creazione di questi OGM consistono essenzialmente nell'inserire, all'interno del materiale genetico di un organismo pre-esistente, dei geni appartenenti ad altri organismi. Si tratta, in sostanza, di realizzare degli incroci genetici in laboratorio. L'attuale regolamentazione comunitaria in materia, data la relativa novità di tali tecniche, attualmente è basata sul principio di precauzione, e quindi opta per una politica cautelativa e prudenziale, riconoscendo in simili pratiche l'esistenza di controversie scientifiche. Per dirlo in parole molto semplici, il principio di precauzione potrebbe tradursi nell'aforisma: "Prevenire è meglio che curare", ed è evidente che in un ambito come quello degli OGM, specie in campo agro-alimentare, dove a rischio ci sono sia la salute umana che l'ambiente, un siffatto principio potrebbe rivelarsi prezioso. Da tener presente poi che tale principio non vieta a prescindere le pratiche OGM, ma le sottopone semplicemente ad un controllo scientifico e politico preventivo. Insomma, semplice buon senso, e non mero proibizionismo come una certa propaganda vorrebbe farci erroneamente pensare.

Oltretutto va considerato che anche i presunti benefici derivanti da tali colture sono ricoperti da un alone di mistero. Questi perlopiù sarebbero dati dalla possibilità, per i coltivatori diretti, di poter contare su piante più resistenti a virus, pesticidi, erbicidi, ai funghi (per il tabacco), alla siccità e al gelo. Inoltre i prodotti OGM in alcuni casi potrebbero essere arricchiti nei valori nutrizionali e dotati di una maggiore conservabilità. Molto bene, ma allora perchè le multinazionali americane (ricordiamo che gli USA sono il maggior produttore mondiale di OGM) temono così tanto il principio di precauzione vigente nell'Unione Europea? In fondo se i benefici sono così evidenti, e i rischi nullli come dicono, di cosa si preoccupano? L'Unione Europea ha già autorizzato la produzione di cinque varietà di mais e due di colza OGM, quindi ha dimostrato di non aver alcun pregiudizio verso queste tecniche. Onestamente, anche dal punto di vista delle multinazionali, non riusciamo a trovare un solo motivo razionale per cui dovremmo rinunciare al principio di precauzione.

Ma a ben pensarci, se per i consumatori finali lo sdoganamento indiscriminato degli OGM rappresenterebbe, appunto, solo un pericolo, per le multinazionali americane questo rappresenterebbe invece un'enorme opportunità di fare profitti pressochè illimitati. Ed ecco dove casca l'asino. Dovete sapere che le sementi OGM producono piante sterili, che non sono in grado di riprodursi insomma. Quindi, per ogni nuova semina, i coltivatori diretti devono obbligatoriamente rivolgersi nuovamente alla multinazionale di turno, per sempre. Vi rendete conto di quali interessi abbiano queste gigantesche aziende a creare una dipendenza da acquisto di sementi OGM, sottraendo agli agricoltori ogni autonomia? Non deve stupire allora che capiti di leggere dichiarazioni come quella della scienziata Elena Cattaneo, che sul Sole 24 Ore arriva addirittura ad affermare che gli italiani sono incompetenti perchè preferiscono i pesticidi agli OGM. In fondo il metodo di propaganda commerciale utilizzato da queste grandi corporations è sempre lo stesso, quello che da Bernays in poi non ha fatto altro che instillare nuovi bisogni nei consumatori semplicemente facendo leva su istinti irrazionali come la paura e creando sensazioni di inadeguatezza nel pubblico. Della serie: "Tu fai schifo, ma se fai come dico io, se compri i miei prodotti, allora sarai degno di stima". (A tal proposito comunque vi consigliamo la lettura di questo nostro articolo).

E' evidente che ad un'analisi razionale l'Unione Europea, e in primis l'Italia, non dovrebbero aver alcun interesse nello sdoganamento totale degli OGM. Chiunque dica il contrario è incompetente, o semplicemente in malafede. In primo luogo perchè come si è visto il principio di precauzione non si traduce in mero proibizionismo, ma in naturale buon senso. In secondo luogo, da un punto di vista economico e culturale, bisogna considerare l'impatto che le colutre OGM avrebbero sul nostro settore agro-alimentare qualora la propaganda mediatica dovesse vincere sulle menti di elettori e consumatori. Coltivare OGM potrebbe forse avere un senso in Groenlandia, in aree ad intensa siccità come la California, ma farlo in Europa è una vera e propria follia. Prendiamo l'esempio dell'Italia: di punto in bianco tutto il nostro made in Italy in ambito agro-alimentare perderebbe ogni valore. I nostri migliori prodotti, quelli che da tutto il mondo ci invidiano e sono disposti a pagare oro per acquistare, i nostri DOC (denominazione di origine controllata), i nostri DOP (denominazione di origine protetta), i nostri I.G.P. (Indicazione Geografica Protetta), i nostri S.T.G. (Specialità Tradizionale Garantita), tutto questo patrimonio inestimabile derivante da condizioni climatiche e tradizioni millenarie irreplicabili verrebbe spazzato via in un secondo. E il tutto con estrema superficialità, solo perchè i media main stream continuano a ripeterci quanto noi siamo pigri e arretrati e quanto all'estero siano innovativi e moderni. 

E allora dobbiamo lottare contro questo patto scelerato che Matteo Renzi sembra avere tutte le intenzioni di voler firmare al più presto. E non dovrebbe essere un interesse solamente italiano, ma europeo. La forza dell'Europa sono le sue peculiarità regionali, le sue tradizioni, che in millenni di storia hanno raggiunto livelli qualitativi tali da far impallidire qualsiasi OGM freddamente riprodotto in laboratorio da scienziati in camice bianco. Perchè dovremmo rinunciare alla nostra ricchissima storia solo per abbassarci al livello di popoli che in fondo una vera e propria storia non ce l'hanno mai avuta? Loro non hanno nulla da difendere, ma noi europei, al contrario di quanto vorrebbero farci credere, sì. Cerchiamo di fare un'informazione corretta, di sbugiardare lucidamente e con la massima razionalità e oggettività la propaganda commerciale, creiamo una massa critica contro questo Trattato che di fatto decreterà la morte dell'Europa. 

Speriamo vi rendiate conto dell'enorme responsabilità che pesa sulle nostre spalle. Siamo gli ultimi rimasti.

giovedì 7 agosto 2014

Ancora recessione: i motivi della crisi infinita

Ieri l'Istat ha pubblicato le sue stime preliminari sul Pil italiano. Come vi avevamo già più volte anticipato, nonostante governo e media continuassero a rassicurarci e a dirci che la ripresa era vicina, questione di centimetri, le cose vanno tutt'altro che bene. 

Non si tratta di essere catastrofisti, altrimenti dovremmo accusare anche l'Istat di essere pieno di gufi e rosiconi, ma poverini, loro che colpa ne hanno se la nostra economia va a rotoli? Qui si tratta di guardare in faccia la realtà. I dati ci dicono che anche nel secondo trimestre del 2014 il Pil è sceso, come accaduto nel primo trimestre di quest'anno. Ma la situazione è addirittura peggiorata. Se nel primo trimestre il Pil subì una variazione negativa del -0,1%, in questo trimestre ha registrato una variazione del -0,2%. Quindi, nel 2014, siamo ad una variazione acquisita del PIL del -0,3%. E questo nonostante una certa stampa, in seguito alla pubblicazione dei dati Istat relativi al primo trimestre di quest'anno, continuasse a dirci che le cose sarebbero cambiate con gli 80 euro di Renzi. Ora lo potete constatare con i vostri occhi: avevamo ragione noi (qui il nostro commento al precedente bollino Istat). Ci teniamo a precisarlo perchè abbiamo capito che molte persone ancora faticano a credere che i media tradizionali e i nostri governanti possano mentirci, o almeno sbagliarsi, così speriamo che se sei tra questi, una volta messo davanti all'evidenza, tu possa perlomeno porti il dubbio.

In questo articolo avevamo spiegato perchè con i vincoli comunitari, sempre più stringenti soprattutto a partire dall'anno prossimo con Fiscal Compact e pareggio di bilancio, la crescita è e sarà sempre tecnicamente impossibile. In questo articolo vi avevamo dimostrato che l'euro, per come strutturato adesso e con i rapporti di forza attualmente vigenti all'interno dell'UE, non solo è collegato all'austerità, ma addirittura la implica (e quindi che chiunque venga a dirci che prima o poi i tedeschi si ammorbidiranno spontaneamente è un bugiardo o un illuso). Infine, in quest'altro articolo, vi avevamo spiegato perchè tagliare la spesa pubblica non equivale ad abbassare le tasse e tanto meno ad avvicinarsi alla crescita, anzi. 

Il primo passo verso la soluzione dei problemi non può che essere l'analisi delle loro cause. Solamente capire qual è la vera origine della crisi che stiamo vivendo può darci qualche speranza di trovarvi una soluzione e farci smettere di subire passivamente tutto ciò che ci piove sulla testa. Sintetizzando ciò che abbiamo scoperto finora (ma in ogni caso vi invitiamo di cuore a leggere con attenzione perlomeno gli articoli linkati sopra) si ottiene che la depressione economica e sociale di cui siamo vittime non dipende affatto da una nostra inferiorità antropologica e intellettuale o dai nostri conti pubblici. Abbiamo scoperto che i tedeschi non sono migliori di noi perchè più belli, intelligenti e precisi, ma semplicemente perchè dal 2003 in poi hanno attuato una riforma del mercato del lavoro che di fatto ha determinato un annichilimento dei diritti dei lavoratori in Germania. Mentre nel resto d'Europa i salari reali sono aumentati, tra il 2000 e il 2010, del 5,5%, in Germania i salari reali sono rimasti stazionari. Non si sono mossi di una virgola. I salari nominali invece, sempre nello stesso periodo, in Germania sono aumentati appena dell'11% contro il 27% della media europea. E indovinate un po': per rendere accettabile alla popolazione una tale scelta politica il governo è stato costretto a spendere, e molto, nello Stato sociale. Se andiamo a vedere i dati infatti, possiamo agevolmente constatare che la Germania fu il primo Paese a venir meno alle regole di Maastricht quando, tra il 2002 e il 2005, sforò per ben 4 anni consecuitivi il tetto del 3% del deficit pubblico. Ed ecco sfatato anche il mito dei tedeschi perfettini e degli italiani buzzurri.

In pratica, il modello tedesco che adesso sta venendo imposto in tutta Europa (o tramite governi nominati da Bruxelles o tramite un commissariamento diretto) non è quello della prosperità e del benessere dei popoli che i padri fondatori dell'Unione Europea avevano in mente. Al contrario, la politica economica e industriale tedesca ha sfruttato la distruzione dei salari dei propri lavoratori per rendere più competitivi all'estero i propri prodotti (meno paghi i lavoratori, e più potrai abbassare il prezzo di ciò che producono). E come se non bastasse è stata proprio questa politica mercantilista tedesca a produrre l'attuale catastrofe economica che pesa sull'intera eurozona. Siccome mentre la produttività tedesca aumentava, i salari reali in Germania restavano costanti, gran parte della produzione tedesca non poteva essere venduta all'interno del mercato tedesco (banalmente: se tutti guadagnano poco, poi chi compra?). Questo eccesso di produzione è quindi stato riversato nel mercato unico, su tutte le altre economie dell'eurozona, compresa quella italiana, e dato che i prodotti tedeschi erano molto più competitivi per i motivi di cui si è detto poco più su ecco la distruzione del nostro apparato produttivo, di quello greco, di quello francese, eccetera. Considerando poi che l'euro ci ha trascinati in un regime a cambi fissi, e quindi impedisce la normale funzione riequilibratrice del mercato dei cambi (le temutissime svalutazioni e rivalutazioni per intenderci), è evidente che non esiste più alcun ostacolo all'accentuamento di tali squilibri commerciali, che infatti continuano incessantemente ad accentuarsi sotto ai nostri occhi insieme alla recessione economica che inevitabilmente ne consegue.

Ma non è finita: c'è di peggio. Mentre in Germania i lavoratori che con i minijob lavorano per 400 euro al mese hanno diritto a dei sussidi e ad uno Stato sociale all'altezza, nel resto d'Europa questo non è concesso. Sapete, gli svantaggi di essere la periferia. Quindi, per inseguire i cugini tedeschi e diventare più "competitivi", non solo dobbiamo precarizzare i lavoratori e deregolamentare a più non posso il mercato del lavoro, ma non possiamo neppure offrire loro alcuna tutela economica e sociale perchè abbiamo un debito pubblico troppo elevato. Poco importa se anche la Germania, per finanziare le stesse manovre, era venuta meno alle regole di Maastricht per ben 4 anni consecutivi. E importa ancor meno ai nostri governanti il fatto che in ogni caso abbassare i salari più degli altri ed essere più competitivi degli altri non è mai una condizione duratura e strutturale, ma si traduce semplicemente in una gara continua al ribasso, che se il modello tedesco riesce definitivamente a imporsi contraddistinguerà le politiche economiche di tutti i Paesi dell'eurozona da qui fino alla notte dei tempi. Insomma, dal lato tedesco non se ne esce.

Quindi cosa vogliamo fare? Lasciarci ancora prendere in giro? Tenete presente che con i dati pubblicati oggi dall'Istat una manovra correttiva ad ottobre si è ormai resa necessaria, e c'è da scommettere che avrà una consistenza ben superiore ai 20 miliardi. In pratica Renzi dovrà fare ciò che ha fatto Monti, forse anche peggio, e non ci stupirebbe se da Bruxelles venisse mandato un altro esecutivo tecnico che badi unicamente a racimolare questi soldi, senza alcun vincolo e legittimità democratica. Staremo a vedere. Ciò che è certo è che se rinunciamo a cercare la verità ed accettiamo il modello tedesco per come ci viene presentato, senza nemmeno sforzarci di provare ad immaginare un piano "B" per l'Europa (e noi qualche idea ce l'avremmo), ci aspettano decenni molto bui.

mercoledì 6 agosto 2014

E mentre tutti parlano di Schettino...

Oggi su tutti i giornali si commenta con parole colme d'ira, di disprezzo e di incredule sgomento un evento successo non in giornata, ma un mese fa e balzato solo adesso agli "onori" della cronaca. Un piccolo ripasso per chi fosse riuscito, almeno fino ad ora, ad evitare il bombardamento mediatico sull'argomento: l'ex-comandante della Costa Concordia Francesco Schettino, noto per aver abbandonato la nave durante il naufragio che è costato la vita a 32 persone, il 5 luglio ha partecipato ad una lezione nell'ambito di un master in scienze criminologiche all'Università La Sapienza di Roma. "Dovevo illustrare la gestione del controllo del panico. O meglio qual è la componente umana in situazioni del genere. D’altronde ho viaggiato in ogni mare del mondo. So come ci si comporta in casi del genere, come bisogna reagire quando ci sono equipaggi di etnie diverse", ha dichiarato Schettino, mentre sommozzatori e sub, lontani dal clima festoso ed entusiasta in cui Matteo Renzi qualche giorno fa ha festeggiato il recupero del relitto, sono impegnati nelle ricerche del corpo dell’ultimo disperso della Costa Concordia, il giovane cameriere indiano Russell Rebello. 

Ma noi a questo punto abbiamo una domanda per tutti i giornalisti che hanno riportato la notizia sui quotidiani nazionali, oltre che per il ministro dell'istruzione Stefania Giannini, che ha definito l'intervento di Schettino alla Sapienza un fatto sconcertante: dove li nascondete il vostro sconcerto e la vostra indignazione sul Patto del Nazareno? Oggi Renzi e Berlusconi si sono incontrati per la terza volta (in veste istituzionale), per continuare insieme il percorso di definizione di temi come le riforme costituzionali e la legge elettorale, rigorosamente a porte chiuse e senza streaming, e non abbiamo visto molti articoli indignati del fatto che un pluripregiudicato stia mettendo le mani sulla nostra Costituzione e che, in barba alla decantata trasparenza di cui Renzi ama tessere le lodi, non esista al momento alcun atto scritto in cui sia possibile leggere per lo meno le linee guida del suddetto patto (motivo per cui il Movimento 5 stelle ha disposto un'interrogazione parlamentare rivolta allo stesso Renzi, a cui ancora non è stata data risposta).

Sul bollettino di Forza Italia del 23 luglio "Il Mattinale”, a firma di Renato Brunetta, veniva riportata una dichiarazione di Berlusconi il quale affermava: “non m’importa del Senato, accordo con Renzi è su Italicum e giustizia”. Certo, non fa una piega che un uomo con 4 processi in corso, una sentenza di condanna definitiva, 6 reati prescritti, 9 procedimenti archiviati, che ha goduto di 2 amnistie e 8 assoluzioni (trovate la sconcertante lista completa e dettagliata qui) riformi la giustizia e la Costituzione, a porte chiuse insieme ad un ex sindaco non eletto per fare il premier, senza nessun atto scritto che ci informi su cosa si stiano mettendo d'accordo. In questo clima, ovviamente non fa una piega nemmeno che le misure che si prospettano all'orizzonte puntino chiaramente verso una svolta autoritaria, in cui oltre a smantellare importanti articoli della Costituzione (come abbiamo analizzato qui), il fondamento stesso della nostra Repubblica, l'articolo 1, diventerà carta straccia priva di valore. Come potremo infatti continuare a sostenere che "La sovranità appartiene al popolo", quando avremo, tra le tante aberrazioni, una legge elettorale senza preferenze e con un premio di maggioranza spropositato, e un Senato non più elettivo, votati da un Parlamento dichiarato illegittimo dalla Corte Costituzionale?

Il dramma si sta consumando sotto i nostri occhi, e mentre notiamo la palese assurdità di Schettino che, invitato all'Università La Sapienza, partecipa a un seminario sulla gestione del controllo del panico, non possiamo ignorare le gravissime quanto assurde vicende politiche di cui oggi siamo spettatori, troppo spesso passivi, lasciandole scorrere con un'alzata di spalle. Non è più tempo di affidarsi al leader carismatico di turno, non è più tempo di credere a chi chiacchiera che "la ripresa tarda ad arrivare, come l'estate". Dopo 20 anni di berlusconismo dovremmo aver capito che ciò di cui abbiamo bisogno non è lasciar fare al parlatore di turno, ma partecipare e decidere noi stessi del nostro futuro, come popolo sovrano. Per farlo dobbiamo essere informati ed informare, per tornare ad essere liberi dalle chiacchiere e dalle menzogne, liberi e consapevoli che non dobbiamo per forza aspettare di cadere nel baratro per poi piangerci addosso, possiamo decidere di cambiare rotta prima che succeda.

martedì 5 agosto 2014

Ecco perchè con l'euro l'austerità non avrà mai fine

La propaganda mediatica ci parla di euro e austerità come se fossero due fenomeni scollegati, l'uno indipendente dall'altro, regalandoci l'illusione che un giorno, in un futuro più o meno prossimo, potremo alzare la voce in Europa e far valere le nostre ragioni, rimanendo nell'euro e convincendo però i nostri cugini tedeschi ad essere più benevoli con noi e concederci un po' di respiro. Questi discorsi hanno la stessa valenza di chiacchiere da bar, e lo sapete perchè? L’euro e le politiche di austerity non solo sono collegati, ma addirittura l'euro implica le politiche di austerità.

Per capirlo, innanzitutto c’è da fare una premessa fondamentale: adottando l'euro i vari Paesi dell'eurozona hanno deciso di passare da un regime a cambi flessibili ad uno a cambi fissi. Quindi quando il Consiglio Europeo nel 1999 determinò i tassi di cambio tra le varie valute nazionali e l'euro, si decise che da quel momento in poi un euro sarebbe valso per sempre 1936,27 lire, 6,55957 franchi, 1,95583 marchi e così via. L'importanza di una tale decisione è ancor più evidente se si tiene a mente che neppure gli accordi di Bretton Woods, in cui si decise di agganciare le varie valute nazionali all'oro, avevano determinato un sistema tanto rigido. 

Ma andiamo a vedere nello specifico cosa ha comportato una scelta tanto azzardata da parte dei nostri governanti. Gli effetti più dirompenti ed immediati sono certamente quelli che hanno riguardato il commercio intra-comunitario, che ha visto mutare radicalmente le proprie dinamiche. Nel precedente regime a cambi flessibili infatti le valute nazionali erano libere di fluttuare sui mercati dei cambi in base ai meccanismi della domanda e dell'offerta, e il venir meno di questa funzione riequilibratrice ha dato vita a notevoli distorsioni negli scambi commerciali all'interno del mercato unico europeo. Cerchiamo di spiegarlo chiaramente: nel sistema delle vecchie valute nazionali, quando un Paese, supponiamo l'Italia, importava merci o servizi da un altro Paese, prima doveva acquistarne la valuta. Quindi, se volevamo importare BMW tedesche, prima dovevamo procurarci dei marchi tedeschi e solo successivamente potevamo acquistare le nostre automobili (ovviamente il consumatore finale neppure si accorgeva di questo passaggio, ma a livello macroeconomico è così che funzionava). All'interno di un regime a cambi flessibili, se i beni o servizi di un determinato Paese, continuiamo a supporre la Germania, erano molto richiesti dall'estero, allora anche la sua moneta era molto richiesta. E siccome il meccanismo della domanda e dell'offerta imponeva che al crescere della domanda il prezzo aumentasse, il marco tedesco si rivalutava. Il discorso opposto vale per le svalutazioni: quando i prodotti di un Paese erano poco richiesti all'estero, allora anche la sua moneta era scarsamente domandata, e quindi si deprezzava, svalutandosi. Cos'è cambiato con l'euro, e quindi con i cambi fissi? E' cambiato che il mercato non è più libero di svolgere la sua funzione riequilibratrice, quindi se i prodotti di un dato Paese oggi sono molto richiesti, la valuta di questo Paese non si rivaluterà; se sono scarsamente domandati, la sua valuta non si svaluterà (il che fa sorridere, se si considera che di solito chi difende l'euro si dichiara anche un sostenitore a spada tratta del libero mercato). 

Un ulteriore ed altrettanto importante effetto scaturito dall'introduzione dell'euro riguarda poi il mercato dei capitali. Nel precedente regime a cambi flessibili gli investitori esteri, prima di decidere dove investire il proprio denaro, dovevano considerare molto attentamente il rischio di cambio. Questo rischio, in poche parole, si riferisce alla possibilità che la svalutazione di una valuta determini una perdita del potere d'acquisto della moneta stessa e quindi, per i creditori esteri, una perdita di valore dei propri crediti. E' evidente che in un regime a cambi fissi tale rischio è del tutto annullato e quindi la concessione di crediti da parte di istituti finanziari esteri è agevolata a dismisura, fino a sfociare nell'erogazione indiscriminata di prestiti a chicchessia, ma su questo punto ci torneremo più avanti. Ciò che è importante capire adesso è che mentre prima, in un regime a cambi flessibili, gli investitori esteri dovevano pensarci due volte prima di concedere prestiti a Paesi che tendevano a veder svalutata spesso la propria moneta, ora questo incentivo a controllare le qualità del debitore è venuto meno.

Proviamo ad unire i puntini. Abbiamo che l'euro, in un colpo solo, ha determinato sia il venir meno del meccanismo riequilibratore degli squilibri commerciali, sia il venir meno del rischio di cambio. Ma quali sono le conseguenze di tutto ciò?

Procediamo con ordine, partendo dagli squilibri commerciali. E' evidente che, grazie a questo regime a cambi fissi, ad aver tratto tutti i vantaggi dall'euro sono le economie che, per l'appunto, partivano avvantaggiate. Queste infatti hanno potuto letteralmente inondare le economie meno sviluppate, che non più protette né da dazi né dal mercato dei cambi sono state condannate a morte. Se l'Unione Europea non ci fosse stata presentata come una comunità di popoli che punta ad una crescita armoniosa ed equilibrata, potremmo dire che è giusto così, che il migliore prevale. Il problema è che invece tutte queste belle parole sono scritte anche nei Trattati, e quindi andrebbero rispettate. A questo va aggiunto poi che il Paese che in questa vera e propria guerra commerciale è riuscito a imporsi su tutti gli altri, ovvero la Germania, lo ha fatto non solo in barba al principio di cooperazione europea, ma addirittura trasgredendo a quelle stesse regole di bilancio a cui ora odiosamente vincola tutti i Paesi "sconfitti". Il vero segreto della competitività tedesca infatti sono state le riforme Hartz, che dal 2003 hanno reso il mercato del lavoro tedesco il più precario e meno tutelato d'Europa. Abolizione del minimo salariale e creazione di contratti atipici, chiamati minijobs, che prevedono una retribuzione massima di 400 euro, sono solo alcune delle novità introdotte dalla riforma del lavoro tedesca, che vi invitiamo ad approfondire in questo articolo del Giornale dell'Università di Padova. Ma evidentemente i costi sociali di una tale manovra non potevano che essere ingenti, ed è per questo che la Germania, proprio a partire dal 2002, fu il primo Paese a trasgredire agli accordi di Maastricht portando il proprio rapporto debito pubblico/Pil  dal 58,83% del 2001 al 76,52% del 2011 (qui i dati) e superando per ben 4 anni di fila, dal 2002 al 2005, il limite del 3% di deficit pubblico (qui i dettagli). In pratica i tedeschi hanno finanziato la propria politica mercantilista, di per sè illegittima in quanto non cooperativa, tramite un aumento di spesa pubblica tale da venire costantemente meno alle regole di Maastricht (come ci spiega più approfonditamente anche questo articolo del Fatto Quotidiano).

Ma come già detto, lo strapotere commerciale tedesco non è l'unico effetto artificialmente prodotto dall'introduzione dell'euro. C'è anche l'abolizione del rischio di cambio. Questo ha fatto sì che mentre la Germania aumentava le proprie esportazioni arricchendosi e il resto d'Europa aumentava le proprie importazioni impoverendosi, le banche nordiche, e in primis tedesche, hanno potuto finanziare senza troppi patemi d'animo i cosiddetti PIGS affinchè questi potessero continuare ad acquistare i sempre più convenienti prodotti tedeschi. Questo spiega l'esplosione del debito estero, sia pubblico che privato (ma soprattutto privato), che ha caratterizzato tutti i PIGS negli anni subito precedenti alla crisi del 2007. Come potete vedere dal seguente grafico preso in prestito dal blog del professore di Politica Economica Alberto Bagnai, all'aumentare del differenziale di prezzo tra i prodotti tedeschi (più convenienti) e i prodotti dei PIGS (meno convenienti), l'indebitamento estero di questi ultimi è aumentato di conseguenza:


Ricapitolando: l'euro ci ha trascinati da un sistema a cambi flessibili ad uno a cambi fissi, che, non prevedendo alcuna flessibilità, ha fatto sì che il Paese che per precise politiche salariali altamente scorrette era diventato il più competitivo sui mercati continentali, la Germania, potesse imporsi su tutti gli altri senza incontrare alcuna resistenza. Nel contempo, sempre il regime di cambi fissi a cui ha dato vita l'euro, ha fatto venir meno il rischio di cambio e quindi causato l'esplosione del debito estero in tutti i PIGS.

Adesso starete pensando: "va bene, ma che c'entra tutto questo con l'austerity?" C'entra, eccome se c'entra. Per venir fuori da una simile situazione, ora i PIGS sono costretti a ridurre le importazioni e contemporaneamente a ridurre il proprio indebitamento estero. E indovinate un po': l'austerità serve proprio per questi due motivi, altro che ridurre il rapporto debito pubblico/PIL. Anzi, se con l'austerity montiana suddetto rapporto è addirittura aumentanto (ecco i dati) non è certo un caso: è del tutto evidente che le politiche di austerità, caratterizzate da maggior pressione fiscale e minor spesa pubblica, oltre ad avere dubbi effetti sulla riduzione del debito, hanno l'indubbio risultato di distruggere il PIL, denominatore del rapporto. Una volta assodato che da questo punto di vista l'austerità fa solamente danni, andiamo allora a vedere perchè da Monti a Renzi, passando per Letta, nessun governo italiano può farne a meno. La questione è che non potendo più agire direttamente sulla bilancia commerciale disincentivando le importazioni  (per esempio con l'applicazione di dazi commerciali), né sulla libera circolazione dei capitali disincentivando l'indebitamento estero (che ricordiamo: in massima parte è privato), il governo può agire solo in due modi per ridurre importazioni e indebitamento estero: il primo è quello di lanciarsi in un'affannosa rincorsa alla famosa competitività tedesca precarizzando e deregolamentando a più non posso il mercato del lavoro (vedi Jobs Act, di cui abbiamo già parlato qui); il secondo è quello di stroncare i consumi e la domanda interna, aumentando la pressione fiscale e tagliando la spesa pubblica con la nostra cara austerità (grazie alla quale si ottiene anche il risultato di ripagare i debiti esteri accumulati verso i creditori del nord).

Va da sè che gli effetti collaterali di tali politiche sono devastanti. Precarizzare e deregolamentare il mercato del lavoro porta innanzitutto insicurezza e ingiustizia sociale. Ma oltre a questo, una tale politica non riuscirebbe mai a risolvere la questione competitività, anzi, la renderebbe un problema strutturale, un tormentone di cui diventerà impossibile liberarsi dato che di fatto scatenerebbe  una competizione al ribasso tra i vari Paesi dell'eurozona, in cui questi saranno costantemente impegnati nel fare a gara a chi distrugge di più i salari. Aumentare la pressione fiscale e tagliare la spesa pubblica (ricordiamo che la spesa pubblica non consiste nel bruciare soldi, ma nel trasferirli a soggetti privati sotto forma di stipendi, pensioni, incentivi, aiuti, ecc...) invece equivale ad un impoverimento programmato del popolo e alla distruzione della piccola e media impresa italiana, che è la vera linfa vitale della nostra economia ed è ormai sull'orlo del baratro. Chiaramente, inoltre, gli esiti delle due politiche vanno sommati, dato che attuate congiuntamente, e il risultato è ancor più drammatico.

Ma la cosa più inquietante, in tutto ciò, è che il governo continua costantemente a mentirci in modo spudorato. Ci dicono che è tutta colpa di sprechi e clientelismi, che dobbiamo ridurre il debito pubblico, e poi arriva Monti che con la sua manovra "lacrime e sangue" ottiene il solo risultato, salvo reprimere i consumi, precarizzare i lavoratori e racimolare soldi da restituire ai creditori esteri, di incrementare ulteriormente il debito pubblico stesso. Per giunta, il tecnico inviato direttamente da Bruxelles per riaggiustare i conti pubblici della nostra Italia, manco fosse una caldaia rotta, non è andato affatto a racimolare i 30 miliardi tagliando sprechi e inefficienze varie, ma per l'85% lo ha fatto attingendo a nuove tasse (guarda un po') e per il restante 15% tagliando spesa pubblica tutt'altro che supeflua (basti pensare alla tragedia degli esodati). Perchè non ci dicono apertamente che il problema è che ci stiamo indebitando troppo con l'estero e che quindi hanno deciso di ridurci alla fame per impedircelo? Perchè continuano a tranquillizzarci quando sanno benissimo che se l'architettura dell'euro non cambia radicalmente saremo costretti all'annichilimento economico-produttivo, peraltro già in atto? Ma soprattutto: quando è successo che tutti i massimi vertici dello Stato hanno deciso di tradire il proprio Paese, il loro mandato popolare e costituzionale, pur di tutelare dei meri interessi economici esteri, tra l'altro illegittimi? Lasciamo a voi le risposte a tutte queste domande. Sta di fatto che se fino a ieri vivevamo in una Repubblica democratica fondata sul lavoro, oggi grazie all'euro viviamo in una dittatura economica fondata sull'austerity.

sabato 2 agosto 2014

Tagliare la spesa per diminuire le tasse e rilanciare la crescita? UNA BUFALA!

In questo articolo vogliamo sfatare uno dei mantra che viene ripetuto più spesso negli ultimi anni, quello secondo cui dobbiamo tagliare la spesa per diminuire le tasse e rilanciare la crescita. In effetti il ragionamento sembra filare, non è vero? Se lo Stato la smettesse con la sua stupida spesa improduttiva noi dovremmo pagare meno tasse, potremmo spendere di più, e l'economia tornerebbe a prosperare. Eh già, sembra non fare una piega.

Ma purtroppo la realtà è un po' più complessa di così. Innanzi tutto bisogna capire che la spesa pubblica, perlomeno nella stragrande maggioranza dei casi, non consiste nello scaricare vagonate di soldi nella bocca di un vulcano come vorrebbero farci credere. Non esiste. Che vi piaccia o no, la tanto odiata spesa pubblica è il primo motore della crescita, dato che finisce sempre per tradursi in redditi privati: gli stipendi pubblici, le pensioni, gli assegni di disoccupazione, ma anche le grandi opere, sono tutti soldi che vanno a finanziare i consumi di chi li riceve e quindi a dare nuova linfa all'economia del Paese. Certo, saremmo tutti più contenti se scandali come quello dell'Expo o del Mose non si ripetessero, ma è proprio per questo che esistono la magistratura e le leggi. Non vi sembra un po' troppo comodo cavalcare la sacrosanta indignazione popolare solo per proclamare la dannosità della spesa pubblica?

Quindi se da un lato decidi di tagliare la spesa pubblica e dall'altro, con quanto risparmiato, di ridurre le tasse, in realtà non stai facendo nulla per rilanciare l'economia. Si tratta di una mera scelta politica che ha il solo effetto di trasferire risorse dal settore pubblico a quello privato, e sulla desiderabilità di una simile manovra ci sarebbe molto di cui discutere. Noi, onestamente, preferiamo poter contare su uno Stato sociale che non ci lascia morire di fame solo perchè il mercato decide così; preferiamo un'istruzione pubblica libera ed accessibile a tutti ad un'istruzione privata contaminata da interessi privati e ad esclusivo beneficio di chi se lo può permettere; preferiamo una sanità pubblica che guardi prima alla nostra salute e solo poi al nostro portagogli rispetto ad una sanità privata in cui l'ordine delle due fasi è invertito. Ma ora sicuramente balzerà fuori qualcuno a sbraitare: "Sì, ma il servizio pubblico fa schifo! Siete mai entrati dentro una scuola? E dentro un ospedale? Lo Stato non è in grado di offrire questi servizi, facciamolo fare ai privati che sono più belli e efficienti!". A questo simpatico urlatore da piazza vorremmo chiedere se sa da quanti anni il servizio pubblico è vittima di tagli a investimenti e spesa. Ma questa è un'altra storia, e ne avevamo già parlato qui a proposito di Trenitalia.

Quello che ci interessa dimostrarvi adesso è che chi ci viene a dire:"Tagliamo la spesa pubblica per diminuire le tasse e rilanciare l'economia" è un bugiardo. E questo non solo perchè, come detto poco più su, il tutto si traduce in un simpatico giochino a somma zero. La realtà è ancora peggiore di così. Come scrivemmo in questo articolo, in occasione del Consiglio europeo dello scorso 2 giugno, le raccomandazioni che arrivano da Bruxelles raccontano tutta un'altra storia. Se il governo Renzi, nel DEF di aprile, aveva previsto di mantenere la spesa pubblica al 2,6% del PIL nel 2014, ora l'Europa ci chiede di accelerare. Per questo Renzi adesso inizia a parlare di portarla al 2,3 %. Ma non è tutto. Sempre nelle raccomandazioni del Consiglio europeo all'Italia è esplicitamente espressa la necessità di giungere al pareggio di bilancio entro l'anno prossimo. Sapete che cosa vuol dire tutto ciò? Che in realtà tutti i tagli e le privatizzazioni che ci vengono proposte non serviranno affatto a finanziare una diminuzione della pressione fiscale, ma solo a ridurre il deficit pubblico. D'altronde nonostante i famosi 80 euro, la spending review, e tutte le altre trovate pubblicitarie di Renzi, il DEF affermava chiaramente già ad aprile che la pressione fiscale nel 2014 sarebbe aumentata dello 0,2%.

Allora cosa volete fare? Volete continuare ad essere le pedine inconsapevoli di interessi economici e finanziari in palese contrasto con i nostri più elementari diritti solo perchè un pugno di economisti inviati appositamente da Goldman Sachs e dalla Troika ci dicono che dobbiamo farlo? Allora continuate pure a odiare il pubblico come se fosse di altri e ad amare il privato come se fosse vostro, ma ora sapete benissimo che le cose non stanno così.