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domenica 7 settembre 2014

E se anche tu fossi un "Wolf of Wall Street"?

Tutti sappiamo che la finanza ha giocato e continua a giocare un ruolo determinante nella crisi globale degli ultimi anni. Non a caso l'evento che viene preso a riferimento come momento di inizio del disastro economico che stiamo vivendo è il crollo del colosso finanziario Lehman Brothers nel 2008. Ma ci siamo mai fermati un attimo a chiederci da cosa dipenda il crescente proliferare della finanza a scapito dell'economia reale? Forse no. Pensiamo agli uomini che decidono dei nostri destini in modo confuso, sentendoli lontani dalle nostre miserie quotidiane, li accusiamo della nostra rovina e non ci capacitiamo di come si possa essere così miopi ed egoisti. Odio, rabbia e recriminazione si sovrappongono e alla fine tutto ciò che ci rimane è un impotente vittimismo, un frustrante senso di ingiustizia. Noi crediamo che però possa essere utile provare a comprendere alla radice la mentalità del Wolf of Wall Street di turno, non solo perchè evidentemente la cosa ci riguarda, ma anche perchè siamo a nostra volta protagonisti di questa storia.

Cos'è la finanza se non l'arricchimento immediato, senza scopo nè obiettivo a lungo termine, di chi non pensa e non vuole pensare al domani, ma solo al godimento presente ed effimero? Non si crea nulla, non si apporta nulla di nuovo e di buono al mondo, ma solo a se stessi e al proprio portafogli. E qui entriamo in gioco noi. Perchè anche se ci sembra di essere lontani anni luce dagli squali della finanza, forse è solo una questione di possibilità e "fortunate" circostanze. La mentalità della maggior parte delle persone infatti è la stessa, la logica del carpe diem e del massimo godimento immediato è imperante. "Si vive una volta sola", quante volte lo abbiamo pensato? Questa idea della vita senza uno scopo, dettata solamente dal caso e da una serie di eventi accidentali, ci ha condotti ad un nichilismo esasperato, che porta con sé l'egoismo senza limiti di chi pensa di avere un'unica possibilità per "godersela", sulle spalle degli altri, sulle spalle del mondo, sulle spalle della sua stessa anima. Ci siamo abituati a vedere la vita come da un treno in corsa che non riusciamo a fermare, per quanto ci sforziamo, mentre scorre il tempo e le possibilità rimangono indietro, nemmeno le vediamo, affannati come siamo a rincorrere sogni non nostri che ci lasciano insoddisfatti, affannati come siamo a nasconderci da noi stessi perchè terrorizzati dalla stazione finale che si avvicina inesorabilmente. Ci siamo convinti che l'unica cosa che possiamo fare, nell'esasperante attesa, sia passare freneticamente il nostro tempo, pensando il meno possibile alle conseguenze delle nostre azioni. Sostanzialmente quindi se il mondo va a rotoli non è solamente colpa dei soliti noti, perchè i Wolfs of Wall Street di turno a nostro avviso condividono con un enorme numero di persone la stessa mentalità nichilista e disillusa, portatrice solo di insoddisfazione e distruzione.

Come possiamo quindi cambiare le cose? Non c'è una risposta generica, l'importante crediamo sia essere disposti a porsi la domanda. Se lo siamo, a quel punto possiamo iniziare un percorso diverso, tracciare un'altra strada, scorgere nuove direzioni, che ci riavvicinino a noi stessi e agli altri. Ancora una volta: il mondo è un nostro riflesso, e insieme possiamo cambiarlo!

martedì 2 settembre 2014

L'Italia è davvero in deflazione?

Negli ultimi giorni avrete sicuramente letto o sentito che secondo gli ultimi dati Istat l'Italia è tornata in deflazione, per la prima volta dal 1959. Questo significa che, rispetto allo stesso mese del 2013, i prezzi al consumo sono diminuiti, per la precisione dello 0,1%

Ma se i prezzi scendono, qual è il problema? In fondo si potrebbe pensare che sia un vantaggio, che noi consumatori ne abbiamo solo da guadagnare. Dopo tutto spenderemmo di meno per acquistare gli stessi prodotti. Purtroppo però non è esattamente così che stanno le cose, perchè la deflazione porta con sè numerosi effetti collaterali, primo tra tutti quello di bloccare la crescita. Con i prezzi in continuo calo infatti consumatori e imprese tendono ad aumentare i propri risparmi e a rimandare le spese, dato che il potere d'acquisto della moneta cresce nel tempo. E considerando che stiamo attraversando, proprio in questi anni, una fase recessiva senza precedenti, il rischio di finire in un circolo vizioso è estremamente alto. Se la domanda, e quindi i consumi e gli investimenti, dovessero diminuire a ritmi ancora più elevati di quelli attuali, sempre più aziende sarebbero costrette a chiudere, e questo anche perchè i prezzi in continuo calo inciderebbero negativamente sui loro margini di profitto. Di conseguenza la disoccupazione continuerebbe ad aumentare, riducendo ulteriormente la domanda, e così via fino all'annichilimento economico del Paese.


Ma l'Italia è davvero in una situazione tanto grave? Siamo davvero precipitati in una spirale deflazionistica? A risponderci è Giorgio Alleva, niente meno che il Presidente dell'Istat, in questa intervista al Sole 24 Ore. Secondo Alleva "non esistono gli elementi per parlare di ingresso in un regime deflazionistico dell'Italia. Solo l'eventuale persistenza di un fenomeno del genere potrebbe consentirci di discutere dei rischi collegati a un regime di deflazione." Infatti "al netto dei prodotti energetici la variazione dei prezzi in agosto è positiva: l'inflazione è dello 0,4%, in aumento rispetto al più 0,3% del mese precedente. Dunque, l'elemento nuovo della dinamica in discesa dei prezzi al consumo è interamente spiegato dalla riduzione dei prezzi energetici."

Quindi sì, il rischio di finire in deflazione effettivamente esiste, ma no, questo ancora non è successo. Allora cosa si può fare per scongiurare una tale minaccia? Considerando che il fenomeno deflattivo nasce da una carenza di domanda (l'economia ci insegna che il livello dei prezzi cresce all'aumentare della domanda e decresce al diminuire della domanda), si dovrebbe fare di tutto per rilanciare la stessa. Preso atto di questo, possiamo innanzi tutto dire cosa non dobbiamo fare, ovvero precarizzare il mercato del lavoro e inseguire la famosa competitività tedesca. Ciò infatti si tradurrebbe inevitabilmente, a parità di disoccupazione (è ormai dimostrato dalla letteratura scientifica sul tema che la precarizzazione non crea occupazione), in una generale riduzione dei salari e quindi in una ulteriore riduzione della domanda. La soluzione dovrebbe tendere esattamente nel verso opposto, ovvero verso una redistribuzione sociale. I salari infatti hanno una propensione al consumo estremamente superiore rispetto ai profitti, quindi una manovra in grado di metterci al riparo dal rischio di deflazione potrebbe ad esempio essere questa. Poi, ovviamente, anche una politica europea decisamente più permissiva dal lato della spesa pubblica sarebbe più che auspicabile. 

Comunque la scelta su quale misura possa essere maggiormente efficace in questo senso è secondaria, così come è secondario se compierla a livello europeo o a livello nazionale uscendo dall'euro. L'unica cosa che conta davvero è agire immediatamente.