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domenica 7 settembre 2014

E se anche tu fossi un "Wolf of Wall Street"?

Tutti sappiamo che la finanza ha giocato e continua a giocare un ruolo determinante nella crisi globale degli ultimi anni. Non a caso l'evento che viene preso a riferimento come momento di inizio del disastro economico che stiamo vivendo è il crollo del colosso finanziario Lehman Brothers nel 2008. Ma ci siamo mai fermati un attimo a chiederci da cosa dipenda il crescente proliferare della finanza a scapito dell'economia reale? Forse no. Pensiamo agli uomini che decidono dei nostri destini in modo confuso, sentendoli lontani dalle nostre miserie quotidiane, li accusiamo della nostra rovina e non ci capacitiamo di come si possa essere così miopi ed egoisti. Odio, rabbia e recriminazione si sovrappongono e alla fine tutto ciò che ci rimane è un impotente vittimismo, un frustrante senso di ingiustizia. Noi crediamo che però possa essere utile provare a comprendere alla radice la mentalità del Wolf of Wall Street di turno, non solo perchè evidentemente la cosa ci riguarda, ma anche perchè siamo a nostra volta protagonisti di questa storia.

Cos'è la finanza se non l'arricchimento immediato, senza scopo nè obiettivo a lungo termine, di chi non pensa e non vuole pensare al domani, ma solo al godimento presente ed effimero? Non si crea nulla, non si apporta nulla di nuovo e di buono al mondo, ma solo a se stessi e al proprio portafogli. E qui entriamo in gioco noi. Perchè anche se ci sembra di essere lontani anni luce dagli squali della finanza, forse è solo una questione di possibilità e "fortunate" circostanze. La mentalità della maggior parte delle persone infatti è la stessa, la logica del carpe diem e del massimo godimento immediato è imperante. "Si vive una volta sola", quante volte lo abbiamo pensato? Questa idea della vita senza uno scopo, dettata solamente dal caso e da una serie di eventi accidentali, ci ha condotti ad un nichilismo esasperato, che porta con sé l'egoismo senza limiti di chi pensa di avere un'unica possibilità per "godersela", sulle spalle degli altri, sulle spalle del mondo, sulle spalle della sua stessa anima. Ci siamo abituati a vedere la vita come da un treno in corsa che non riusciamo a fermare, per quanto ci sforziamo, mentre scorre il tempo e le possibilità rimangono indietro, nemmeno le vediamo, affannati come siamo a rincorrere sogni non nostri che ci lasciano insoddisfatti, affannati come siamo a nasconderci da noi stessi perchè terrorizzati dalla stazione finale che si avvicina inesorabilmente. Ci siamo convinti che l'unica cosa che possiamo fare, nell'esasperante attesa, sia passare freneticamente il nostro tempo, pensando il meno possibile alle conseguenze delle nostre azioni. Sostanzialmente quindi se il mondo va a rotoli non è solamente colpa dei soliti noti, perchè i Wolfs of Wall Street di turno a nostro avviso condividono con un enorme numero di persone la stessa mentalità nichilista e disillusa, portatrice solo di insoddisfazione e distruzione.

Come possiamo quindi cambiare le cose? Non c'è una risposta generica, l'importante crediamo sia essere disposti a porsi la domanda. Se lo siamo, a quel punto possiamo iniziare un percorso diverso, tracciare un'altra strada, scorgere nuove direzioni, che ci riavvicinino a noi stessi e agli altri. Ancora una volta: il mondo è un nostro riflesso, e insieme possiamo cambiarlo!

martedì 2 settembre 2014

L'Italia è davvero in deflazione?

Negli ultimi giorni avrete sicuramente letto o sentito che secondo gli ultimi dati Istat l'Italia è tornata in deflazione, per la prima volta dal 1959. Questo significa che, rispetto allo stesso mese del 2013, i prezzi al consumo sono diminuiti, per la precisione dello 0,1%

Ma se i prezzi scendono, qual è il problema? In fondo si potrebbe pensare che sia un vantaggio, che noi consumatori ne abbiamo solo da guadagnare. Dopo tutto spenderemmo di meno per acquistare gli stessi prodotti. Purtroppo però non è esattamente così che stanno le cose, perchè la deflazione porta con sè numerosi effetti collaterali, primo tra tutti quello di bloccare la crescita. Con i prezzi in continuo calo infatti consumatori e imprese tendono ad aumentare i propri risparmi e a rimandare le spese, dato che il potere d'acquisto della moneta cresce nel tempo. E considerando che stiamo attraversando, proprio in questi anni, una fase recessiva senza precedenti, il rischio di finire in un circolo vizioso è estremamente alto. Se la domanda, e quindi i consumi e gli investimenti, dovessero diminuire a ritmi ancora più elevati di quelli attuali, sempre più aziende sarebbero costrette a chiudere, e questo anche perchè i prezzi in continuo calo inciderebbero negativamente sui loro margini di profitto. Di conseguenza la disoccupazione continuerebbe ad aumentare, riducendo ulteriormente la domanda, e così via fino all'annichilimento economico del Paese.


Ma l'Italia è davvero in una situazione tanto grave? Siamo davvero precipitati in una spirale deflazionistica? A risponderci è Giorgio Alleva, niente meno che il Presidente dell'Istat, in questa intervista al Sole 24 Ore. Secondo Alleva "non esistono gli elementi per parlare di ingresso in un regime deflazionistico dell'Italia. Solo l'eventuale persistenza di un fenomeno del genere potrebbe consentirci di discutere dei rischi collegati a un regime di deflazione." Infatti "al netto dei prodotti energetici la variazione dei prezzi in agosto è positiva: l'inflazione è dello 0,4%, in aumento rispetto al più 0,3% del mese precedente. Dunque, l'elemento nuovo della dinamica in discesa dei prezzi al consumo è interamente spiegato dalla riduzione dei prezzi energetici."

Quindi sì, il rischio di finire in deflazione effettivamente esiste, ma no, questo ancora non è successo. Allora cosa si può fare per scongiurare una tale minaccia? Considerando che il fenomeno deflattivo nasce da una carenza di domanda (l'economia ci insegna che il livello dei prezzi cresce all'aumentare della domanda e decresce al diminuire della domanda), si dovrebbe fare di tutto per rilanciare la stessa. Preso atto di questo, possiamo innanzi tutto dire cosa non dobbiamo fare, ovvero precarizzare il mercato del lavoro e inseguire la famosa competitività tedesca. Ciò infatti si tradurrebbe inevitabilmente, a parità di disoccupazione (è ormai dimostrato dalla letteratura scientifica sul tema che la precarizzazione non crea occupazione), in una generale riduzione dei salari e quindi in una ulteriore riduzione della domanda. La soluzione dovrebbe tendere esattamente nel verso opposto, ovvero verso una redistribuzione sociale. I salari infatti hanno una propensione al consumo estremamente superiore rispetto ai profitti, quindi una manovra in grado di metterci al riparo dal rischio di deflazione potrebbe ad esempio essere questa. Poi, ovviamente, anche una politica europea decisamente più permissiva dal lato della spesa pubblica sarebbe più che auspicabile. 

Comunque la scelta su quale misura possa essere maggiormente efficace in questo senso è secondaria, così come è secondario se compierla a livello europeo o a livello nazionale uscendo dall'euro. L'unica cosa che conta davvero è agire immediatamente.

giovedì 28 agosto 2014

Modello consumistico: come sfruttarlo a nostro favore!

La vera dittatura oggi, prima ancora che politica, è senza dubbio economica. Mentre infatti in tempi di elezioni ancora ci ricordiamo che la scelta sta a noi, e che quindi un potere effettivo è nelle nostre mani, lo stesso accade sempre più raramente quando c'è da mettere mano al portafogli.

Una volta era la domanda a generare l'offerta. Quindi, se un'ampia fetta di popolazione si rendeva conto di nutrire un bisogno ancora insoddisfatto, prima o poi sarebbe saltato fuori qualcuno ad offrir loro proprio quel bene o servizio in grado di soddisfare quello stesso bisogno. Oggi invece, con la nascita del modello consumistico (su cui vi invitiamo a leggere questo nostro precedente articolo), la situazione  si è ribaltata. Grazie a tecniche persuasive sempre più affinate e ad un bombardamento pubblicitario ormai incessante sono gli stessi produttori di beni e servizi ad inculcare nelle nostre menti nuovi bisogni, di cui noi non avvertivamo l'esigenza. Certo, anche in politica il marketing è un elemento sempre più importante, ma questa è una naturale conseguenza di quanto detto finora. Se vogliamo risolvere il problema è necessario agire alla radice.

Noi cittadini e consumatori dobbiamo innanzi tutto ricordarci che ogni giorno esercitiamo un enorme potere sull'indirizzamento della società. Non ci credete? Allora ve lo dimostriamo. Come saprete oggi tutto il sistema è mosso da un unico incentivo: il profitto. E indovinate chi è che permette a queste enormi corporations, che spendono patrimoni in campagne pubblicitarie mastodontiche, di ottenere profitti da far impallidire intere nazioni? Esatto, proprio noi, con le nostre scelte di consumo.

Ma come possiamo fare ad esercitare consapevolmente questo potere? Una buona strategia per non cadere nel tranello propagandistico quando ci rechiamo a fare compere, secondo noi, potrebbe essere quella di vedere ogni singola banconota che teniamo nel portafogli come un voto da esercitare, un voto che in una società di mercato come quella in cui viviamo vale anche più di una scheda elettorale. Una volta presa coscienza di questo sarà automatico divenire più propensi ad informarsi sull'etica, sui processi produttivi e sulla storia di quelle aziende a cui si è ormai abituati a dare soldi quasi inconsapevolmente, guidati da un ragionamento tipo: "Ah, sì, questo marchio l'ho visto in TV, deve essere buono!". Tra l'altro sappiate che di solito è proprio il contrario. E poi indovinate chi è che paga le campagne pubblicitarie milionarie e i testimonials di lusso di queste società? Esatto, proprio noi, con i nostri acquisti. Insomma, oltre al danno anche la beffa.

Oggi, con internet, recuperare informazioni è sempre più alla portata di chiunque, e fare qualche ricerca perlomeno su quei marchi che ci rendiamo conto di acquistare più spesso, per rendere la nostra spesa e il nostro shopping più consapevoli, sarebbe già un ottimo inizio. Potremmo accorgerci che fino a ieri abbiamo finanziato lo sfruttamento minorile, la distruzione dell'ambiente, o addirittura abbiamo acquistato prodotti dannosi per la nostra salute o destinati a deperirsi in tempi brevissimi per il fenomeno dell'obsolescenza programmata. Ma anche solo avere un occhio di riguardo per il made in Italy, quello vero, fatto con passione e autenticità, di questi tempi non sarebbe una cattiva idea. Insomma, ognuno può scegliere i propri criteri, ma l'importante è averne!

Va da sè che naturale conseguenza derivante da una tale presa di coscienza da parte dei consumatori sarebbe quella di rilanciare finalmente il concetto di "meritocrazia". Venute meno le armi della persuasione e della propaganda infatti ogni produttore sarebbe obbligato ad ottenere la nostra approvazione e la nostra fiducia, generando benefici per l'intera società. 

Nelle nostre mani abbiamo un grandissimo potere, è ora di assumercene la responsabilità!

mercoledì 27 agosto 2014

Standard retributivo europeo: una soluzione definitiva alla crisi

Qui chiudiamo tutto il discorso legato alla crisi economica e finanziaria che da ormai 6 anni sta distruggendo il benessere e la fratellanza dei popoli in Europa. Le principali cause e dinamiche le avevamo analizzate nel dettaglio in questo articolo, che vi consigliamo vivamente di leggere prima di proseguire, quindi ora passeremo ad affrontare l'ultimo step, quello della soluzione.

Finalmente possiamo gioire nel darvi una buona notizia: la soluzione a questa crisi infinita esiste già, e non c'è bisogno di distruggere niente! Non occorre uscire dall'euro, e tanto meno occore interrompere il processo di integrazione europeo, anzi, è proprio il contrario. Si tratta semplicemente di far sì che questo processo torni ad essere coerente con quanto sognato dai suoi fondatori, che di certo non avrebbero mai immaginato che il loro sogno si sarebbe poi trasformato in un incubo per centinaia di milioni di persone.

Ma questo come si realizza? La risposta si chiama "standard retributivo europeo", ed è già stata illustrata da economisti del calibro di Emiliano Brancaccio e Eckhard Hein (che per la cronaca, è tedesco). Questo standard prevederebbe in primis che tutti i Paesi membri dell'Unione Europea si impegnassero a garantire una crescita dei salari reali almeno pari a quella della produttività del lavoro. Al di sopra di questa crescita minima, in secondo luogo, lo standard legherebbe la crescita delle retribuzioni reali agli andamenti delle bilance commerciali dei vari Paesi. Quindi i Paesi caratterizzati da un surplus commerciale sistematico con l'estero (per capirci: quelli che in maniera strutturale esportano più di quanto importano) dovrebbero accelerare la crescita delle retribuzioni rispetto alla crescita della produttività.

I benefici apportati da questa semplice regola all'economia dell'eurozona sarebbero immediati, dirompenti e soprattutto duraturi. Come primo risultato si otterrebbe quello di interrompere la caduta ormai trentennale della quota salari in Europa e la tendenza recessiva che ne è conseguita. I salari infatti hanno una propensione molto più alta al consumo rispetto ai profitti, quindi lo "standard retributivo europeo" si traddurrebbe, oltre che in una comunque necessaria redistribuzione sociale, anche in una fortissima spinta ai consumi e di conseguenza alla crescita. Inoltre, sempre grazie allo standard, gli squilibri commerciali esistenti tra i vari Paesi, a cui ora i vari governi sono costretti a porre rimedio attraverso la precarizzazione dei lavoratori, la distruzione dei salari e l'austerità, si riverserebbero sì interamente sui salari, ma lo farebbero al rialzo. Ovvero: la Germania è più competitiva, ha una maggiore produttività del lavoro e riesce ad esportare di più? Bene, i suoi lavoratori saranno ricompensati con una crescita dei salari reali più alta rispetto a quella di tutti gli altri Paesi. In Italia siamo pigri e improduttivi? Bene, i salari reali non si muoveranno di una virgola. Va da sè che nel giro di pochissimo i tedeschi inizierebbero a trovare sempre più convenienti i beni italiani e quindi ne aumenterebbero l'importazione, contribuendo al rilancio della nostra economia, mentre gli italiani sarebbero finalmente incentivati ad aumentare la loro produttività ed efficienza, sia per soddisfare questa nuova domanda, accresciuta anche da una maggiore domanda interna dato che i beni tedeschi diventerebbero via via più cari, sia per vedersi aumentare i propri salari reali. Finchè ad un certo punto la situazione si invertirebbe, e allora toccherebbe a noi monetizzare gli sforzi fatti e ai tedeschi inseguire. Insomma, si instaurerebbe un vero e proprio circolo virtuoso in cui non perderebbe nessuno. 

Allora vi chiediamo: non sarebbe questa l'Europa che tutti vogliamo? Un'Europa in cui i Paesi membri non competono più al ribasso sui salari e sui diritti dei lavoratori, ma al rialzo sulla qualità della vita al loro interno? Dove le aziende sono costrette a competere non più al ribasso sui prezzi, bensì al rialzo sulla qualità dei prodotti e dei servizi? Non sarebbe questa l'Europa dei popoli, della pace, della civiltà e della prosperità che i padri del progetto europeo sognavano?

Finalmente guardando in fondo al tunnel iniziamo a scorgere una luce, ma per raggiungerla dobbiamo essere in tanti a vederla!

martedì 26 agosto 2014

Di nuovo Insieme!

In questo nostro viaggio di ricerca della verità è stato inevitabile imbatterci in un mondo molto spesso menzognero e spietato, più oscuro di quanto avremmo mai potuto immaginare. Senza neppure accorgercene, da un giorno all'altro, abbiamo stravolto il nostro modo di vivere e relazionarci con gli altri, abbiamo iniziato a pensare che tutto intorno a noi fosse terribile e sbagliato, che una via d'uscita a tutto questo sconforto non esistesse, che saremmo rimasti impantanati per sempre.

Insomma, uscire indenni da questa nuova realtà, in cui abbiamo deciso di immergerci completamente, è molto dura. Tuttavia sono bastate un paio di settimane lontani dai social e dal caos mediatico per ricordarci che questa doveva essere solo una tappa del percorso, uno scendere giù negli abissi dell'incoscienza umana fino a toccare il fondo, ma solo per poi risalire verso la luce con ancora più slancio.

Ecco perchè adesso, facendo comunque tesoro di questa nuova consepevolezza, abbiamo deciso di tornare a concentrarci su di noi, sulle nostre vite, il nostro benessere e i nostri obiettivi. Ci siamo ricordati che originariamente il motto del progetto "Insieme" era: "Il mondo è un nostro riflesso, e insieme possiamo cambiarlo". Beh, è ancora così! Studiare i problemi che affliggono la nostra società e denunciarli è certamente importante, ma se ci fermassimo lì, senza offrire alcuna speranza, non faremmo altro che rendere il mondo un posto ancora più sinistro e cupo dove vivere. D'ora in poi terremo un approccio propositivo e costruttivo, e smetteremo di trascurare le tantissime cose meravigliose, piccole e grandi, che ci stanno intorno e che troppo spesso ci siamo abituati a dare per scontato. Non ci porremo più limiti o vincoli, scriveremo di tutto ciò che ci viene dall'anima e lo faremo senza pensarci due volte.

In fondo spetta a noi decidere come vogliamo vivere la nostra vita, a quali cose vogliamo dare la priorità e il potere di influire sul nostro stato d'animo, e siamo noi a decidere come vogliamo porci nei confronti degli altri. Noi oggi abbiamo fatto la nostra scelta: vogliamo passare dalla negatività alla positività, dalla distruzione alla costruzione, convinti che il mondo ci sorriderà di riflesso. Facciamolo insieme!


sabato 9 agosto 2014

La verità sul TTIP e gli OGM

Il governo Renzi, tra i vari obiettivi del semestre europeo a guida italiana, ha annunciato quello di voler accelerare le negoziazioni per giungere alla stipulazione del Trattato Transatlantico (TTIP).

Come avevamo già scritto in questo articolo si tratta di un accordo di libero scambio tra Unione Europea e Stati Uniti. In pratica, se oggi abbiamo un mercato unico europeo, dopo la ratifica di questo Trattato avremo un mercato unico euro-americano. Vi avevamo già fatto presente, nell'articolo linckato qui sopra, come una delle tante conseguenze nefaste di un simile accordo sarebbe l'obbligo, per tutti i Paesi dell'Unione Europea, di adeguarsi alla regolamentazione sulla tutela del consumatore e dell'ambiente attualmente vigente negli USA, ben meno stringente di quella comunitaria. Tra i tanti accorgimenti che i nostri governanti dovrebbero prendere a tal fine, in questo articolo vogliamo trattare la questione dei cibi OGM, molto discussa ma purtroppo ancora troppo poco conosciuta (come spesso accade quando di mezzo ci sono interessi economici molto importanti).

OGM sta per "Organismo Geneticamente Modificato", e le pratiche che permettono di giungere alla creazione di questi OGM consistono essenzialmente nell'inserire, all'interno del materiale genetico di un organismo pre-esistente, dei geni appartenenti ad altri organismi. Si tratta, in sostanza, di realizzare degli incroci genetici in laboratorio. L'attuale regolamentazione comunitaria in materia, data la relativa novità di tali tecniche, attualmente è basata sul principio di precauzione, e quindi opta per una politica cautelativa e prudenziale, riconoscendo in simili pratiche l'esistenza di controversie scientifiche. Per dirlo in parole molto semplici, il principio di precauzione potrebbe tradursi nell'aforisma: "Prevenire è meglio che curare", ed è evidente che in un ambito come quello degli OGM, specie in campo agro-alimentare, dove a rischio ci sono sia la salute umana che l'ambiente, un siffatto principio potrebbe rivelarsi prezioso. Da tener presente poi che tale principio non vieta a prescindere le pratiche OGM, ma le sottopone semplicemente ad un controllo scientifico e politico preventivo. Insomma, semplice buon senso, e non mero proibizionismo come una certa propaganda vorrebbe farci erroneamente pensare.

Oltretutto va considerato che anche i presunti benefici derivanti da tali colture sono ricoperti da un alone di mistero. Questi perlopiù sarebbero dati dalla possibilità, per i coltivatori diretti, di poter contare su piante più resistenti a virus, pesticidi, erbicidi, ai funghi (per il tabacco), alla siccità e al gelo. Inoltre i prodotti OGM in alcuni casi potrebbero essere arricchiti nei valori nutrizionali e dotati di una maggiore conservabilità. Molto bene, ma allora perchè le multinazionali americane (ricordiamo che gli USA sono il maggior produttore mondiale di OGM) temono così tanto il principio di precauzione vigente nell'Unione Europea? In fondo se i benefici sono così evidenti, e i rischi nullli come dicono, di cosa si preoccupano? L'Unione Europea ha già autorizzato la produzione di cinque varietà di mais e due di colza OGM, quindi ha dimostrato di non aver alcun pregiudizio verso queste tecniche. Onestamente, anche dal punto di vista delle multinazionali, non riusciamo a trovare un solo motivo razionale per cui dovremmo rinunciare al principio di precauzione.

Ma a ben pensarci, se per i consumatori finali lo sdoganamento indiscriminato degli OGM rappresenterebbe, appunto, solo un pericolo, per le multinazionali americane questo rappresenterebbe invece un'enorme opportunità di fare profitti pressochè illimitati. Ed ecco dove casca l'asino. Dovete sapere che le sementi OGM producono piante sterili, che non sono in grado di riprodursi insomma. Quindi, per ogni nuova semina, i coltivatori diretti devono obbligatoriamente rivolgersi nuovamente alla multinazionale di turno, per sempre. Vi rendete conto di quali interessi abbiano queste gigantesche aziende a creare una dipendenza da acquisto di sementi OGM, sottraendo agli agricoltori ogni autonomia? Non deve stupire allora che capiti di leggere dichiarazioni come quella della scienziata Elena Cattaneo, che sul Sole 24 Ore arriva addirittura ad affermare che gli italiani sono incompetenti perchè preferiscono i pesticidi agli OGM. In fondo il metodo di propaganda commerciale utilizzato da queste grandi corporations è sempre lo stesso, quello che da Bernays in poi non ha fatto altro che instillare nuovi bisogni nei consumatori semplicemente facendo leva su istinti irrazionali come la paura e creando sensazioni di inadeguatezza nel pubblico. Della serie: "Tu fai schifo, ma se fai come dico io, se compri i miei prodotti, allora sarai degno di stima". (A tal proposito comunque vi consigliamo la lettura di questo nostro articolo).

E' evidente che ad un'analisi razionale l'Unione Europea, e in primis l'Italia, non dovrebbero aver alcun interesse nello sdoganamento totale degli OGM. Chiunque dica il contrario è incompetente, o semplicemente in malafede. In primo luogo perchè come si è visto il principio di precauzione non si traduce in mero proibizionismo, ma in naturale buon senso. In secondo luogo, da un punto di vista economico e culturale, bisogna considerare l'impatto che le colutre OGM avrebbero sul nostro settore agro-alimentare qualora la propaganda mediatica dovesse vincere sulle menti di elettori e consumatori. Coltivare OGM potrebbe forse avere un senso in Groenlandia, in aree ad intensa siccità come la California, ma farlo in Europa è una vera e propria follia. Prendiamo l'esempio dell'Italia: di punto in bianco tutto il nostro made in Italy in ambito agro-alimentare perderebbe ogni valore. I nostri migliori prodotti, quelli che da tutto il mondo ci invidiano e sono disposti a pagare oro per acquistare, i nostri DOC (denominazione di origine controllata), i nostri DOP (denominazione di origine protetta), i nostri I.G.P. (Indicazione Geografica Protetta), i nostri S.T.G. (Specialità Tradizionale Garantita), tutto questo patrimonio inestimabile derivante da condizioni climatiche e tradizioni millenarie irreplicabili verrebbe spazzato via in un secondo. E il tutto con estrema superficialità, solo perchè i media main stream continuano a ripeterci quanto noi siamo pigri e arretrati e quanto all'estero siano innovativi e moderni. 

E allora dobbiamo lottare contro questo patto scelerato che Matteo Renzi sembra avere tutte le intenzioni di voler firmare al più presto. E non dovrebbe essere un interesse solamente italiano, ma europeo. La forza dell'Europa sono le sue peculiarità regionali, le sue tradizioni, che in millenni di storia hanno raggiunto livelli qualitativi tali da far impallidire qualsiasi OGM freddamente riprodotto in laboratorio da scienziati in camice bianco. Perchè dovremmo rinunciare alla nostra ricchissima storia solo per abbassarci al livello di popoli che in fondo una vera e propria storia non ce l'hanno mai avuta? Loro non hanno nulla da difendere, ma noi europei, al contrario di quanto vorrebbero farci credere, sì. Cerchiamo di fare un'informazione corretta, di sbugiardare lucidamente e con la massima razionalità e oggettività la propaganda commerciale, creiamo una massa critica contro questo Trattato che di fatto decreterà la morte dell'Europa. 

Speriamo vi rendiate conto dell'enorme responsabilità che pesa sulle nostre spalle. Siamo gli ultimi rimasti.

giovedì 7 agosto 2014

Ancora recessione: i motivi della crisi infinita

Ieri l'Istat ha pubblicato le sue stime preliminari sul Pil italiano. Come vi avevamo già più volte anticipato, nonostante governo e media continuassero a rassicurarci e a dirci che la ripresa era vicina, questione di centimetri, le cose vanno tutt'altro che bene. 

Non si tratta di essere catastrofisti, altrimenti dovremmo accusare anche l'Istat di essere pieno di gufi e rosiconi, ma poverini, loro che colpa ne hanno se la nostra economia va a rotoli? Qui si tratta di guardare in faccia la realtà. I dati ci dicono che anche nel secondo trimestre del 2014 il Pil è sceso, come accaduto nel primo trimestre di quest'anno. Ma la situazione è addirittura peggiorata. Se nel primo trimestre il Pil subì una variazione negativa del -0,1%, in questo trimestre ha registrato una variazione del -0,2%. Quindi, nel 2014, siamo ad una variazione acquisita del PIL del -0,3%. E questo nonostante una certa stampa, in seguito alla pubblicazione dei dati Istat relativi al primo trimestre di quest'anno, continuasse a dirci che le cose sarebbero cambiate con gli 80 euro di Renzi. Ora lo potete constatare con i vostri occhi: avevamo ragione noi (qui il nostro commento al precedente bollino Istat). Ci teniamo a precisarlo perchè abbiamo capito che molte persone ancora faticano a credere che i media tradizionali e i nostri governanti possano mentirci, o almeno sbagliarsi, così speriamo che se sei tra questi, una volta messo davanti all'evidenza, tu possa perlomeno porti il dubbio.

In questo articolo avevamo spiegato perchè con i vincoli comunitari, sempre più stringenti soprattutto a partire dall'anno prossimo con Fiscal Compact e pareggio di bilancio, la crescita è e sarà sempre tecnicamente impossibile. In questo articolo vi avevamo dimostrato che l'euro, per come strutturato adesso e con i rapporti di forza attualmente vigenti all'interno dell'UE, non solo è collegato all'austerità, ma addirittura la implica (e quindi che chiunque venga a dirci che prima o poi i tedeschi si ammorbidiranno spontaneamente è un bugiardo o un illuso). Infine, in quest'altro articolo, vi avevamo spiegato perchè tagliare la spesa pubblica non equivale ad abbassare le tasse e tanto meno ad avvicinarsi alla crescita, anzi. 

Il primo passo verso la soluzione dei problemi non può che essere l'analisi delle loro cause. Solamente capire qual è la vera origine della crisi che stiamo vivendo può darci qualche speranza di trovarvi una soluzione e farci smettere di subire passivamente tutto ciò che ci piove sulla testa. Sintetizzando ciò che abbiamo scoperto finora (ma in ogni caso vi invitiamo di cuore a leggere con attenzione perlomeno gli articoli linkati sopra) si ottiene che la depressione economica e sociale di cui siamo vittime non dipende affatto da una nostra inferiorità antropologica e intellettuale o dai nostri conti pubblici. Abbiamo scoperto che i tedeschi non sono migliori di noi perchè più belli, intelligenti e precisi, ma semplicemente perchè dal 2003 in poi hanno attuato una riforma del mercato del lavoro che di fatto ha determinato un annichilimento dei diritti dei lavoratori in Germania. Mentre nel resto d'Europa i salari reali sono aumentati, tra il 2000 e il 2010, del 5,5%, in Germania i salari reali sono rimasti stazionari. Non si sono mossi di una virgola. I salari nominali invece, sempre nello stesso periodo, in Germania sono aumentati appena dell'11% contro il 27% della media europea. E indovinate un po': per rendere accettabile alla popolazione una tale scelta politica il governo è stato costretto a spendere, e molto, nello Stato sociale. Se andiamo a vedere i dati infatti, possiamo agevolmente constatare che la Germania fu il primo Paese a venir meno alle regole di Maastricht quando, tra il 2002 e il 2005, sforò per ben 4 anni consecuitivi il tetto del 3% del deficit pubblico. Ed ecco sfatato anche il mito dei tedeschi perfettini e degli italiani buzzurri.

In pratica, il modello tedesco che adesso sta venendo imposto in tutta Europa (o tramite governi nominati da Bruxelles o tramite un commissariamento diretto) non è quello della prosperità e del benessere dei popoli che i padri fondatori dell'Unione Europea avevano in mente. Al contrario, la politica economica e industriale tedesca ha sfruttato la distruzione dei salari dei propri lavoratori per rendere più competitivi all'estero i propri prodotti (meno paghi i lavoratori, e più potrai abbassare il prezzo di ciò che producono). E come se non bastasse è stata proprio questa politica mercantilista tedesca a produrre l'attuale catastrofe economica che pesa sull'intera eurozona. Siccome mentre la produttività tedesca aumentava, i salari reali in Germania restavano costanti, gran parte della produzione tedesca non poteva essere venduta all'interno del mercato tedesco (banalmente: se tutti guadagnano poco, poi chi compra?). Questo eccesso di produzione è quindi stato riversato nel mercato unico, su tutte le altre economie dell'eurozona, compresa quella italiana, e dato che i prodotti tedeschi erano molto più competitivi per i motivi di cui si è detto poco più su ecco la distruzione del nostro apparato produttivo, di quello greco, di quello francese, eccetera. Considerando poi che l'euro ci ha trascinati in un regime a cambi fissi, e quindi impedisce la normale funzione riequilibratrice del mercato dei cambi (le temutissime svalutazioni e rivalutazioni per intenderci), è evidente che non esiste più alcun ostacolo all'accentuamento di tali squilibri commerciali, che infatti continuano incessantemente ad accentuarsi sotto ai nostri occhi insieme alla recessione economica che inevitabilmente ne consegue.

Ma non è finita: c'è di peggio. Mentre in Germania i lavoratori che con i minijob lavorano per 400 euro al mese hanno diritto a dei sussidi e ad uno Stato sociale all'altezza, nel resto d'Europa questo non è concesso. Sapete, gli svantaggi di essere la periferia. Quindi, per inseguire i cugini tedeschi e diventare più "competitivi", non solo dobbiamo precarizzare i lavoratori e deregolamentare a più non posso il mercato del lavoro, ma non possiamo neppure offrire loro alcuna tutela economica e sociale perchè abbiamo un debito pubblico troppo elevato. Poco importa se anche la Germania, per finanziare le stesse manovre, era venuta meno alle regole di Maastricht per ben 4 anni consecutivi. E importa ancor meno ai nostri governanti il fatto che in ogni caso abbassare i salari più degli altri ed essere più competitivi degli altri non è mai una condizione duratura e strutturale, ma si traduce semplicemente in una gara continua al ribasso, che se il modello tedesco riesce definitivamente a imporsi contraddistinguerà le politiche economiche di tutti i Paesi dell'eurozona da qui fino alla notte dei tempi. Insomma, dal lato tedesco non se ne esce.

Quindi cosa vogliamo fare? Lasciarci ancora prendere in giro? Tenete presente che con i dati pubblicati oggi dall'Istat una manovra correttiva ad ottobre si è ormai resa necessaria, e c'è da scommettere che avrà una consistenza ben superiore ai 20 miliardi. In pratica Renzi dovrà fare ciò che ha fatto Monti, forse anche peggio, e non ci stupirebbe se da Bruxelles venisse mandato un altro esecutivo tecnico che badi unicamente a racimolare questi soldi, senza alcun vincolo e legittimità democratica. Staremo a vedere. Ciò che è certo è che se rinunciamo a cercare la verità ed accettiamo il modello tedesco per come ci viene presentato, senza nemmeno sforzarci di provare ad immaginare un piano "B" per l'Europa (e noi qualche idea ce l'avremmo), ci aspettano decenni molto bui.