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venerdì 31 gennaio 2014

Fiat, Electrolux e la sinistra che non c'è più

Dopo la svendita di Bankitalia, dobbiamo registrare un'ulteriore e traumatica perdita per il nostra Paese. Come saprete, dopo 115 anni di storia e 7,6 miliardi di aiuti di Stato dal '77 ad oggi (ecco la fonte), il più importante gruppo finanziario e industriale italiano privato, la FIAT, fa le valige e sposta la sede fiscale in Gran Bretagna, quella legale in Olanda, e la sede operativa a Detroit. In pratica, lo stabilimento di Torino resterà in Italia solo come fabbrica di automobili di una società estera a tutti gli effetti. Almeno finchè non decideranno di chiuderlo.

Sempre di questa settimana è poi la notizia della proposta di Electrolux per "salvare" gli stabilimenti italiani. La ricetta formulata dalla multinazionale svedese è la seguente: taglio dei salari del 40%, taglio dei premi aziendali dell'80%, la riduzione delle ore lavorate a 6, il blocco dei pagamenti delle festività, la riduzione di pause e permessi sindacali del 50% e lo stop agli scatti di anzianità. Secondo Electrolux questo sarebbe l'unico modo per ridurre il gap con il costo del lavoro in Polonia.

Minimo comune denominatore di queste emblematiche e sintomatiche vicende si ravvisa nella sempre maggior convenienza, per i grandi colossi industriali mondiali, di trasferire la propria attività laddove costo del lavoro, cuneo fiscale e diritti dei lavoratori sono più bassi. Ma se per un'azienda, che persegue fini di lucro, questo può essere normale, la politica dovrebbe tutelare i propri cittadini e quindi difendere il progresso civile e sociale guadagnato nei secoli. 

Appare evidente come a livello comunitario queste non rappresentino affatto delle priorità, dato che alla perdita della sovranità monetaria, economica e politica degli Stati membri non si è accompagnata un'armonizzazione legislativa comunitaria che tutelasse i diritti sociali raggiunti fino a quel momento. Ciò ha avuto, e continua ad avere, un'unica conseguenza, che ora è sotto gli occhi di tutti: una sfrenata concorrenza al ribasso su diritti sociali e dei lavoratori al fine di migliorare la competitività (come abbiamo spiegato in questo post) e attrarre investimenti esteri (vi ricordate "Destinazione Italia"? Ne abbiamo parlato qui). 

A questo punto, qualsiasi forza politica che si autoproclami di "sinistra" dovrebbe proporre un'unica soluzione: l'abbandono della moneta unica, evidente strumento di sopraffazione della classe debole, in favore di interessi capitalistici ed industriali.

Allora qual è la posizione assunta dal "nuovo che avanza" della sinistra italiana riguardo alle attuali problematiche? Per capirlo, andiamo a vedere come la pensa Davide Serra, il principale consigliere finanziario del segretario del PD Matteo Renzi. Quello che segue è il tweet con il quale ha commentato la proposta avanzata da Electrolux:


Nonostante qualche parlamentare del PD abbia dichiarato di non essere d'accordo con tale visione, abbiamo già avuto modo di sperimentare quale sia, all'interno del PD, il peso specifico delle opinioni che si discostano dagli ordini dall'alto. D'altronde c'è perfino chi si vanta di votare contro i propri ideali pur di perseguire gli interessi di Partito, come la renziana Simona Bonafè, che nella puntata di Piazza Pulita del 20 gennaio 2014 dichiarava: "Rispetto alla mozione Giachetti, che ho firmato, ho dovuto votare contro per spirito di partito, perché dal mio partito mi era stato chiesto, proprio per agevolare l'accordo sulle riforme con Berlusconi, 6 mesi fa, di non inficiare questo rapporto e, quindi, di votare contro." Per non parlare poi del trattamento riservato all'ormai ex Presidente del PD Gianni Cuperlo, per aver osato esprimere qualche perplessità sull'Italicum di Renzi e Berlusconi (in particolare riguardo al mancato inserimento delle preferenze). 

Se ancora ci stanno a cuore i nostri diritti, non c'è molto da stare tranquilli. Del resto Renzi da tempo si ripropone di proseguire l'opera di smantellamento dell'articolo 18 iniziata dalla Fornero (come potete leggere qui), obbligando di fatto a una scelta tra diritto al lavoro e diritti del lavoro.

Il disegno sembra chiaro (e lo abbiamo già riassunto in questo post): costringerci ad accettare il progressivo smantellamento dei diritti sociali, fino a trasformare l'Italia in una grande fucina di manodopera a basso costo a disposizione della multinazionale di turno.

Non facciamoci abbindolare: falsi problemi portano a false soluzioni. Aver acquisito un alto livello di tutela dei diritti civili e sociali deve essere considerato senza dubbio un motivo di vanto per un Paese, e non un peso da scrollarsi di dosso. Chiunque sostenga il contrario sta perseguendo obiettivi opposti a quelli dei cittadini che dovrebbe rappresentare. 

Prima che non ci resti più nulla da difendere, dobbiamo riprenderci la sovranità monetaria, e con essa quella politica ed economica. Solo così potremo ricostruire un futuro dignitoso e di speranza per noi e per le future generazioni.

giovedì 30 gennaio 2014

Il decreto Imu-Bankitalia e l'informazione di regime

Nel post di ieri (lo trovi qui) vi avevamo anticipato quali sarebbero state le disastrose conseguenze di un'eventuale conversione del decreto Imu-Bankitalia in legge, conversione che puntualmente è avvenuta. In tale decreto erano accorpate l'abolizione del pagamento della seconda rata dell'Imu del 2013 (fermo restando il pagamento della mini-Imu) e la ricapitalizzazione di Bankitalia da 156.000 € a 7,5 miliardi di euro.

I sintesi, dall'analisi del testo del decreto avevamo rilevato queste gravi conseguenze:
  • il sostanziale riconoscimento della proprietà delle riserve statutarie, valutarie e auree di Bankitalia (per un totale di circa 125 miliardi di euro) a banche e assicurazioni private;
  • la distribuzione di 450 milioni di euro di dividendi annui agli stessi soggetti;
  • la libera trasferibilità delle quote di capitale a investitori privati nazionali e internazionali (permettendo quindi, sempre agli stessi soggetti privati, di lucrare sulla plusvalenza derivante dalla ricapitalizzazione).
Da tali constatazioni, ci era apparso quindi evidente come la natura pubblica della nostra Banca Centrale sarebbe stata gravemente compromessa, a beneficio di interessi finanziari privati. Cosa ancora più grave se si tiene a mente che un istituto di diritto pubblico, quale è la Banca d'Italia, è definito dall' U.E. nella direttiva n.92/50 come "un qualsiasi organismo istituito per soddisfare specificatamente bisogni di interesse generale aventi carattere non industriale o commerciale".

Torniamo ora alla conversione in legge del decreto Imu-Bankitalia. Il golpe finanziario si è consumato nel tardo pomeriggio di ieri, quando la Presidente della Camera Laura Boldrini ha fatto uso, per la prima volta nella storia della Repubblica, della cosiddetta "ghigliottina". Questo per evitare che l'opposizione del M5S alla conversione in legge del decreto potesse metterne a rischio l'approvazione entro i tempi previsti. Evidentemente regalare la Banca d'Italia a banche e assicurazioni private è considerata dalle forze di maggioranza la nostra principale priorità in questo drammatico periodo storico, e allora tagliare il dibattito "ghigliottinando" oltre 9 milioni di cittadini può risultare addirittura necessario. 

Ma nel decreto era prevista anche l'abolizione dell'Imu, starà sicuramente pensando qualcuno di voi. Beh, sul fatto che sia questa la priorità potremmo discutere a lungo, perchè i nostri problemi in realtà hanno radici ben più profonde, ma non è questo il punto. Il punto è che abolire il pagamento della seconda rata dell'Imu non era in alcun modo collegato alla ricapitalizzazione di Bankitalia, anzi, il M5S aveva già proposto la "scorporazione" del decreto, coprendo l'abolizione della seconda rata dell'Imu con la tassazione sul gioco d'azzardo. Ma evidentemente anche gli interessi delle società del gioco d'azzardo stanno molto a cuore al PD di Renzi e alle altre forze di maggioranza. E ancora una volta non sono riuscite a nasconderlo, dato che hanno bocciato istantaneamente la proposta.

Partendo da questi presupposti, ci si sarebbe potuto aspettare uno sdegno diffuso e dilagante nella rassegna stampa di questa mattina. Di seguito andiamo quindi a vedere come è stata trattata oggi la questione Imu-Bankitalia nelle prime pagine delle 5 principali testate giornalistiche italiane, in ordine crescente in base alla loro tiratura:

5- IL MESSAGGERO: "Niente Imu, cambia il catasto".


4- IL SOLE 24 ORE: "Scatta la tagliola, ok su Imu-Bankitalia" quasi invisibile sulla destra, dove leggiamo anche: "M5S: Sorial indagato per vilipendio".


3- LA STAMPA: "Sì al decreto Imu-Bankitalia: rissa dei grillini a Montecitorio" anche questo invisibile, addirittura come sottotitolo all'intesa sulla legge elettorale tra Renzi e Berlusconi.


2- LA REPUBBLICA: "Imu, non si paga: guerriglia grillina alla Camera" anche questa volta come sottotitolo alla nuova intesa sulla legge elettorale. Nell'immagine centrale una foto dei grillini titolata: "Schiaffi e insulti, il far west in aula".


1- CORRIERE DELLA SERA: "Grillini all'attacco, rissa in aula" e poco più su leggiamo: "I Cinque Stelle contro esecutivo e Quirinale. Passa il decreto Imu, scontri alla Camera".


Insomma, non proprio quello che ci aspettavamo. O forse si? 

In fondo è a questa disinformazione di massa che dobbiamo l'attuale situazione catastrofica nella quale versa il nostro Paese, dato che i media hanno sempre coperto le malefatte politiche con raggiri semantici ed evidenti distorsioni della realtà. 

E' così che il decreto Imu-Bankitalia diventa il decreto Imu, per strumentalizzare l'opinione pubblica contro chi si oppone alla svendita della Banca d'Italia. E' così che l'opposizione diventa "ostruzionismo". Ed infine, è così che una protesta non violenta diventa "far west", "guerriglia", "rissa" e "schiaffi", naturalmente omettendo che l'unico gesto di violenza fisica registrato ieri in Aula è imputabile a un esponente delle stesse forze politiche di maggioranza che, a fine seduta, intonavano spavaldamente "Bella ciao", probabilmente riferendosi a un' Italia che affonda sempre più nella disperazione e nella disillusione a causa loro.

Boicottiamo l'informazione di regime, informiamoci autonomamente e ragioniamo con la nostra testa. Solo così potremo finalmente riaccendere la speranza in una nuova Italia, finalmente libera da una classe politica corrotta, ipocrita e che non ci rappresenta.

Come disse Malcolm X: "Se non state attenti, i media vi faranno odiare le persone che vengono oppresse e amare quelle che opprimono".

mercoledì 29 gennaio 2014

Il lato oscuro del decreto Imu-Bankitalia

Già da molti anni si discute della proprietà di Bankitalia, che formalmente viene definita istituto di diritto pubblico, ma nella sostanza è posseduta, per circa il 95%, da soggetti privati. Tra questi, per esempio, abbiamo Intesa Sanpaolo con il 30% delle quote e Unicredito italiano con il 22%.

L'ambiguo assetto proprietario della Banca d'Italia (che sulla carta è considerata un soggetto pubblico) è sempre stato accettato in virtù del fatto che il capitale sociale rappresenta una cifra meramente simbolica, essendo bloccato a 156.000 €. Per chi sostiene la natura pubblica di Bankitalia infatti, più che le quote di capitale sociale, rileverebbe il meccanismo di distribuzione degli utili: i dividendi che possono essere distribuiti agli azionisti ammontano al massimo al 10% del capitale sociale (15.600 €),  al quale si può aggiungere lo 0,5% delle riserve accantonate in bilancio; ciò che avanza degli utili dalla distribuzione dei dividendi può essere destinato fino al 40% a riserve statutarie, legali o volontarie, e la restante parte va versata nelle casse dello Stato, che quindi in sostanza rappresenterebbe il principale azionista della Banca d'Italia. 

Il conflitto di interessi tra Stato e azionisti privati appare più evidente se si considera che è l'assemblea dei soci (quindi rappresentanti di banche ed assicurazioni private) ad eleggere il Consiglio Superiore, organo a cui spetta il compito di decidere l'ammontare da destinare annualmente alle varie riserve, e di conseguenza quanto versare nelle casse dello Stato. Anche a questo proposito comunque, sarebbe legittimo pensare che le somme accumulate nel corso degli anni nelle riserve di Bankitalia siano di proprietà pubblica, in quanto, come abbiamo visto, lo Stato rappresenterebbe il principale azionista della banca stessa.

Andiamo quindi a vedere come il tanto chiacchierato decreto Imu-Bankitalia andrebbe ad influire su questi equilibri: tale disposizione prevede che il capitale sociale della Banca d'Italia venga drasticamente rivalutato a 7,5 miliardi di euro, utilizzando a tale scopo le riserve statutarie accumulate negli anni (attualmente circa 23 miliardi di euro). 

Gli effetti più evidenti di questa manovra riguardano innanzitutto il meccanismo di distribuzione degli utili. Infatti se ora è possibile distribuire il 10% di 156.000 €, dopo l'approvazione del decreto potranno essere distribuiti dividendi fino al 6% di 7,5 miliardi di euro, ovvero 450 milioni di euro, che sarebbero quindi sottratti alle casse dello Stato. 

Secondo effetto della ricapitalizzazione, non meno rilevante, riguarda il fatto che gli istituti finanziari privati che detengono il capitale sociale di Bankitalia, in questo modo si approprierebbero di 7,5 miliardi di euro sottratti alle riserve statutarie della stessa, riserve che prima si dava per scontato appartenessero allo Stato.

A questo punto dobbiamo constatare che è in atto un'inversione di tendenza nell'attribuzione della proprietà delle riserve statutarie della Banca d'Italia. Se 7,5 miliardi dei complessivi 23 verranno attribuiti agli azionisti, ne consegue che la proprietà del fondo è implicitamente riconosciuta agli stessi. Allora non è difficile ipotizzare che anche i restanti 15,5 miliardi di euro potranno essere attribuiti alle stesse banche e assicurazioni private in futuro. E inoltre, che ne sarà degli oltre 100 miliardi di euro in riserve auree e valutarie? 

A tutto ciò si aggiunga che il decreto in questione mira anche a liberalizzare vendite e acquisti di quote di capitale di Bankitalia a investitori privati nazionali e internazionali, mentre ora queste operazioni devono essere autorizzate tramite legge. 

Gli obiettivi perseguiti con il decreto Imu-Bankitalia, sapientemente nascosti all'opinione pubblica, non fanno altro che palesare un'influenza sempre crescente di interessi privati sulla nostra Banca Centrale.

Anche se è generalmente diffusa l'opinione secondo la quale la Banca d'Italia debba essere indipendente dalla politica, tale indipendenza non deve tradursi in una palese dipendenza dal settore finanziario privato. Non dimentichiamoci che un istituto di diritto pubblico, così come definito dall'Unione Europea nella direttiva n.92/50, è un "qualsiasi organismo istituito per soddisfare specificatamente bisogni di interesse generale aventi carattere non industriale o commerciale". 

Non lasciamoci abbindolare da chi dice che questo decreto è stato pensato nel nostro interesse, in quanto ci esenterebbe dal pagare la seconda rata dell'Imu relativa al 2013. Se davvero ce ne fosse la volontà politica, lo stesso risultato si potrebbe benissimo ottenere, anche oggi stesso, tramite un apposito e specifico decreto. Se ciò non viene fatto, è solo per nascondere i veri interessi perseguiti dal decreto Imu-Bankitalia, strumentalizzando l'opinione pubblica contro chi prova ad opporsi a questo furto ai danni della collettività.

Cari concittadini, è ora di capire da che parte stare, prima che sia troppo tardi.

martedì 28 gennaio 2014

Le crisi come strumento di governo

Studiando per l'esame di "Governo Aziendale" ci siamo imbattuti nella teoria di Edgar Schein, professore emerito presso il MIT School of Management. Secondo questo economista, al fine di stimolare e promuovere un radicale cambiamento culturale all'interno di un'organizzazione, occorre bilanciare i seguenti elementi:

  1. l'affermazione di meccanismi di discontinuità, ovvero shock interni o esterni all'organizzazione;
  2. la comparsa di un certo livello di ansia o di sensi di colpa legati al "non aprirsi" al cambiamento;
  3. la parallela introduzione di iniziative in grado di garantire un certo livello di sicurezza psicologica, così da consentire ai dipendenti di superare l'ansia venutasi a manifestare.

Analizzando questa teoria ci è sembrato più che mai chiaro come tutto ciò che sta accadendo negli ultimi anni, in realtà non è affatto casuale, ma bensì rispondente ad un disegno prestabilito.

In merito al primo punto enunciato da Schein, lo stesso Mario Monti ci ha spiegato che "non dobbiamo sorprenderci se anche l'Europa ha bisogno di crisi, di gravi crisi, per fare passi avanti". Tali passi avanti, prosegue il nostro ex Presidente del Consiglio, "sono per definizione cessioni di parti delle sovranità nazionali a un livello comunitario" (vi invitiamo a rileggere questo post per approfondire le dichiarazioni di Monti). Le crisi a cui si fa riferimento sono, ad esempio, quella finanziaria, esplosa negli Stati Uniti nel 2007, e quella economica e commerciale derivata dall'improvvisa e sfrenata globalizzazione avviatasi a fine anni '90.

In quanto al secondo punto presentato da Schein, è evidente come una certa propaganda di stampo ideologico ci abbia convinti da un lato ad accettare la globalizzazione come un evento improvviso ed ingestibile, e dall'altro del fatto che Paesi come il nostro siano incapaci di fronteggiarla autonomamente in quanto improduttivi, corrotti e spendaccioni. 

Infine, il terzo punto di Schein riguarda le iniziative preposte a trasmettere fiducia nel cambiamento imposto. A tal proposito ricordiamo che negli ultimi anni abbiamo accettato, come uniche ancore di salvezza possibili, prima l'euro, poi le politiche di austerity che ne sono derivate, fino ad arrivare ai giorni nostri, con la ratifica del Fiscal Compact e l'adesione al MES (li abbiamo approfonditi qui), tutto in nome del "più Europa!". Inoltre, a completare l'opera di salvataggio, stanno arrivando le tanto attese "riforme strutturali", ovvero l'annichilimento dei diritti dei lavoratori in nome della competitività e della necessità di attrarre capitali esteri (come spiegavamo in questo post, e di cui una dimostrazione lampante è l'attuale caso electrolux).

Dobbiamo smetterla di credere che eventi come la crisi finanziaria mondiale dei sub-prime e la globalizzazione dilagante siano assimilabili a calamità naturali, che si abbattono sui popoli imprevedibilmente e senza una causa. Gli isituti finanziari che stavano gonfiando la bolla dei sub-prime sapevano benissimo che prima o poi questa era destinata ad esplodere, con tutte le ripercussioni che ne sarebbero derivate a livello mondiale. Anche la sfrenata globalizzazione a cui stiamo assistendo, per quanto ci possa apparire assurdo, è stata avviata a tavolino tramite la creazione, prima del GATT, e poi soprattutto dell'Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO) nel 1995.

Le parole del nostro ex Presidente del Consiglio (nonchè, tra le altre cose, ex consigliere internazionale di Goldman Sachs e membro del comitato direttivo del gruppo Bilderberg) Mario Monti, e tutto quello che abbiamo passato in rassegna all'interno di questo post, ci ricordano che per chi prende le decisioni, il restante 99,9% della popolazione mondiale è paragonabile a dei dipendenti d'azienda inconsapevoli, da indirizzare verso i propri fini grazie a tecniche persuasive come quella teorizzata da Schein.

A questo punto, la cosa fondamentale da capire è che nulla di ciò che è generato dall'uomo è irreversibile. Regolamentare la globalizzazione e riprenderci ogni sovranità sarebbe possibile già da domani mattina. 

lunedì 27 gennaio 2014

Difendiamo la Costituzione!

"Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. 
Il sistema tributario è informato a criteri di progressività."

Quello sopra citato è l'articolo numero 53 della nostra Costituzione. L'intento dei costituenti appare chiaro: proteggere e tutelare noi pesci piccoli. Lo Stato non può chiederci più tasse di quanto, ragionevolmente, è in nostro potere dargli, ed è giusto che chi ha di più contribuisca maggiormente alla spesa pubblica.

Però poi ci imbattiamo in articoli di giornale come questo e questo, e osserviamo che le piccole e medie imprese sono sottoposte a una pressione fiscale del 68%, mentre un impiegato medio a una pressione del 47%. In pratica un imprenditore medio-piccolo dovrà lavorare fino al 5 settembre solo per pagare le tasse, mentre un normale impiegato, beato lui, "solo" fino al 22 giugno. Ma non ci staranno chiedendo un po' troppo? Articoli come questo ci fanno pensare di sì.

Del resto, viviamo in un periodo di crisi e sacrifici per il nostro Paese e per l'intera Europa, come continua a ripeterci una certa politica. Ma se sforzi così grandi sono richiesti a noi comuni cittadini, osate immaginare a cosa vanno incontro multinazionali e grandi finanzieri, in nome della progressività delle imposte? Ve lo diciamo noi, vanno incontro a questo e a questo.  

Le grandi società del gioco d'azzardo hanno evaso al fisco circa 98 miliardi di euro, ma sono state condannate a pagare appena 800 milioni di euro, poi ridotti ulteriormente a 600 milioni, e ad oggi nessuno sa se si degneranno di pagare almeno queste briciole. In quanto alle rendite finanziarie invece il Governo sta usando il pugno di ferro, vuole addirittura aumentare la tassazione dal 20 al 22%... Insomma, un grande speculatore finanziario è soggetto, in ogni caso, ad una pressione fiscale pari a circa 1/3 di quella a cui è sottoposto un semplice artigiano.

I nostri diritti costituzionali vengono continuamente violati da chi siede al Governo di questo Paese. Dobbiamo smetterla di considerare normale un sistema che assolutamente non lo è. Senza consapevolezza non può esserci rivoluzione.

domenica 26 gennaio 2014

Ritroviamo il coraggio di cambiare il mondo!

Ormai siamo disillusi e ci siamo convinti di essere come il mondo ci porta a credere: avidi, corrotti, falsi, bugiardi e opportunisti. Allora che senso ha protestare contro le ingiustizie del sistema, contro i politici corrotti, contro gli interessi capitalistici che hanno portato alla rovina la maggior parte della popolazione mondiale? Se la sorte ci avesse regalato un posto in tribuna d'onore in questo mondo allo sfascio, tutto sembra farci credere che lo avremmo accettato volentieri, che ci saremmo seduti su comode poltrone pregiate, godendoci in prima fila lo spettacolo di distruzione e miseria che ormai riguarda tutti noi. E quindi tutto si riduce al caos, alla sorte, all'accettazione passiva del proprio destino e dell'ordine costituito.

Di recente abbiamo rivisto un film molto significativo, Cloud Atlas. Un film che insegna a credere nelle potenzialità di ognuno di noi, nell'importanza di lottare per i propri ideali, per cambiare il mondo secondo la propria visione di libertà e uguaglianza. 

Ci sarà sempre qualcuno che ci disincentiverà, dicendoci che esiste un ordine prestabilito in questo mondo, e coloro che cercano di combatterlo "non finiscono bene". E comunque nella migliore della ipotesi il loro contributo sarà paragonabile a una minuscola goccia nell'oceano. Ma citando uno dei protagonisti del film: "Cos'è un oceano, se non una moltitudine di gocce?"

Dobbiamo ritrovare la forza di lottare per ciò in cui crediamo. L'ordine prestabilito che ci circonda non è affatto immutabile, possiamo modificarlo con le nostre azioni quotidiane di coraggio, senza scendere a compromessi con un sistema che non ci rappresenta. Oggi non è più un rivoluzionario chi non considera una persona di colore come uno schiavo da soma. Oggi la tenace lotta per la giustizia e per la libertà di quei pionieri dell'uguaglianza è riuscita a radicarsi nel nostro attuale sistema di regole e convenzioni. Credendoci, hanno reso possibile il progresso dell'umanità.

Non dobbiamo avere paura delle conseguenze della nostra temerarietà, perchè non dobbiamo avere paura della morte. Cos'è la vita, se viene vissuta nella paura di un evento ineluttabile, una paura che impedisce azioni gloriose, giuste e rivoluzionarie? Cloud Atlas ci insegna che la morte è solo una porta che si apre su una nuova vita, nella quale si trasmettono i progressi fatti dalla nostra anima nelle vite passate, insieme a quelle forze che non cessano mai di esistere, e ci accompagnano nel nostro percorso di crescita, primo fra tutti l'amore. L'amore rende possibile il risveglio dal torpore della mediocrità, la sete di consapevolezza di sè e di miglioramento interiore, il desiderio di aiutare gli altri e di combattere per gli ideali che tutti quanti possiamo ritrovare dentro di noi, più o meno sopiti, di libertà, uguaglianza, giustizia, pace e armonia tra gli esseri viventi.

"La natura della nostra vita immortale è nelle conseguenze delle nostre parole e azioni, che continuano a suddividersi nell’arco di tutto il tempo." (Sonmi-451)

sabato 25 gennaio 2014

Proporzionale: il metodo giusto in un sistema giusto

E' più importante la govenabilità o la democrazia? L'interesse dei mercati o quello dei cittadini? Di cos'è che ha bisogno questo Paese?

Siamo abituati a considerare normale un sistema in cui ogni parlamentare che siede in aula non vota secondo coscienza, ma risponde solo a ordini dall'alto e strategie di partito. Ognuno gioca per una squadra diversa, ognuna con interessi diversi, come se fosse normale. 

Ci siamo dimenticati che tutti quei parlamentari dovrebbe rappresentare e tutelare gli interessi dell'intera collettività? 

L'unico modo per prendere delle decisioni non può essere quello di gonfiare i numeri di uno di questi partiti tramite un artificioso premio di maggioranza. Essere costretti a fare questo per assicurare la governabilità, equivale ad ammettere che gli interessi singolarmente perseguiti dai partiti non coincidono in alcun modo con quelli avvertiti dalla collettività. Il maggioritario è il metodo giusto solo in un sistema sbagliato.

Se in un sistema giusto venisse proposto di acquistare caccia F-35, di regalare 7,5 miliardi di euro alle banche, di concedere maxi condoni alle società del gioco d'azzardo o di ratificare il Fiscal Compact, ogni parlamentare voterebbe NO. 

Chiunque sieda in Parlamento dovrebbe rispondere solo alla propria coscienza, che gli impone di essere un semplice portavoce della collettività che rappresenta. Le proposte andrebbero valutate una per una, adottando di volta in volta quelle rispondenti al bene comune. Con questi presupposti sarebbe naturale trovare accordi che riflettano la volontà e le esigenze dei cittadini.

Come al solito, è necessario andare alla radice dei problemi. Se il sistema è malato, non dobbiamo accettarlo con rassegnazione e adattare la legge elettorale di conseguenza. Dobbiamo cambiare il sistema, partendo da noi stessi, abbattendo le finte divisioni e quei dualismi che ci stanno trascinando in una spirale di malessere e ingiustizia senza fine.

Abbiamo bisogno di tornare ad un sistema onesto, integro e che non necessiti di inciuci e compromessi. Il proporzionale è l'unico metodo giusto in un sistema giusto.

giovedì 23 gennaio 2014

La Commissione ammette il fallimento dell'euro

Dal profeta Mario Monti, 23/09/2012: "Nel 2013 ci sarà la crescita!" (trovate qui la dichiarazione)
Dal profeta Enrico Letta, 18/12/2013: "Un' inversione di tendenza c'è e sicuramente porterà crescita." (ecco il link)

Dopo tutte le profezie, le fantomatiche cure miracolose e tanta ideologia, finalmente emerge qualche dato concreto: la Commissione si è recentemente espressa in merito alle prospettive di sviluppo per l'eurozona nei prossimi 10 anni (a questo link trovate il documento ufficiale).

Secondo il più influente organo comunitario, tra 10 anni ci ritroveremo con uno standard di vita, rispetto agli USA, inferiore a quello che avevamo negli anni '60. Ovvero uno standard di vita del 40% inferiore a quello americano. In quanto a crescita inoltre, possiamo metterci l'anima in pace almeno fino al 2023. In barba ai falsi profeti.

Ma vi ricordate quali erano gli enormi vantaggi propagandati in merito all'adozione dell'euro? Sempre dal sito della Commissione Europea (clicca qui per vedere con i tuoi occhi) leggiamo: "L’utilizzo di una moneta unica aumenta la trasparenza dei prezzi, elimina i costi di cambio, rende più fluidi i meccanismi dell’economia europea, facilita gli scambi internazionali e conferisce all’UE una posizione di maggiore forza sulla scena mondiale. Inoltre, la dimensione e la forza dell’area dell’euro la rendono meno vulnerabile agli shock economici esterni, come le improvvise impennate del prezzo del petrolio o le turbolenze dei mercati valutari."

Ok, riassumendo, i principali vantaggi sarebbero dovuti derivare dalla maggiore forza nei confronti dei colossi mondiali (USA, Cina, ecc..) e dalla capacità di reagire prontamente e senza danni a shock economici e finanziari esterni.

In sostanza quindi, con il recente "Quarterly Report on the Euro Area"la stessa Commissione ci informa che in merito al primo obiettivo torneremo addirittura ai livelli di 50 anni fa, e non abbiamo prospettive di crescita almeno per il prossimo decennio. In quanto al secondo obiettivo poi, i danni causati dalla crisi finanziaria del 2007 continuiamo a sentirli sulla nostra pelle.

Ma mentre la Commissione ammette il fallimento della moneta unica, siamo curiosi di vedere come reagiranno i nostri falsi profeti. Continueranno a proporci false soluzioni, nascondendoci la verità sulla radice delle attuali problematiche? 

Ora che il fallimento è innegabile, noi riusciamo a vedere davvero la luce in fondo al tunnel, perchè prendere consapevolezza dei problemi è l'unico modo per risolverli. 

Dobbiamo dare all'Italia la possibilità di ricominciare, come una fenice che rinasce dalle sue stesse ceneri.

mercoledì 22 gennaio 2014

La nuova dittatura è finanziaria

Il capo economista della Goldman Sachs, in questo articolo del Fatto Quotidiano, ha dichiarato che dal suo punto di vista Grecia e Spagna stanno facendo passi avanti, a differenza del nostro Paese. A suo avviso abbiamo bisogno di maggiore competitività, stabilità del Governo e di urgenti riforme strutturali. In questo modo ci ricorda implicitamente chi si cela dietro le manovre economiche, e quindi politiche e sociali, che stanno condizionando la vita di milioni di persone.

In Italia parliamo della nuova proposta elettorale di Renzi, dei livelli insostenibili raggiunti dalla pressione fiscale, delle politiche di austerity che ci stanno opprimendo e dello smantellamento dei diritti sociali, ma non prendiamocela con i nostri politici per tutto ciò. Non è loro l'idea.

Ed è proprio questo il problema. Dobbiamo avercela a morte con questa classe politica semplicemente perchè priva di idee, di una visione, e soprattutto di coraggio e intraprendenza. Abbiamo politici che votano leggi di cui ignorano perfino il contenuto, affidandosi ciecamente alle direttive provenienti dall'alto (vi ricordate questo video?), e che cambiano principi e valori con la stessa facilità con cui un calciatore cambia squadra.

Ormai il Parlamento non legifera più, ma si limita a ratificare quanto deciso ai piani alti di Wall Street.

Siamo davvero convinti che tutti i sacrifici che ci vengono richiesti rispondano ai nostri interessi, e non a quelli di chi ce li propone? Stiamo parlando di rappresentanti di imperi finanziari (la Goldman Sachs è la più grande banca d'affari del mondo), non di associazioni benefiche. Come possiamo pensare che questi signori, che parlano di interi Paesi come fossero dei loro dipendenti, abbiano a cuore i nostri interessi e non il loro business?

I colossi finanziari che detengono il nostro debito pubblico guadagnano fior fior di miliardi dagli interessi che ogni anno paghiamo sullo stesso, e trarranno enormi benefici se le opere di privatizzazione e di smantellamento dei diritti sociali che ci sollecitano a compiere andranno a buon fine. Quando i politici ci parlano di competitività, di tagli alla spesa e di "riforme strutturali" non diamo per scontato che stiano facendo i nostri interessi.

Smettiamola di sentirci cullati dal simbolo o dalla veste politica di un partito, quella è solo facciata che serve a creare divisioni tra noi cittadini. I nostri interessi non sono così diversi e variegati come ci fanno credere, vogliamo tutti le stesse cose: giustizia e benessere.

Guardiamo oltre, torniamo a decidere per noi stessi e per il nostro Paese.

martedì 21 gennaio 2014

Italicum o Porcellum bis?

Matteo Renzi ha presentato Italicum, la nuova proposta di legge elettorale che dovrebbe risolvere i vizi di incostituzionalità del Porcellum. I due punti fondamentali evidenziati dalla Corte Costituzionale riguardavano il premio di maggioranza, ritenuto distorsivo della volontà degli elettori, e le liste bloccate, in quanto contrarie all'articolo 1 comma 2 della Costituzione, che recita: "La sovranità appartiene al popolo". Sono i cittadini che hanno pieno diritto di scegliere i propri rappresentanti.

Ora andiamo a vedere cosa propone la nuova legge elettorale per rimediare a queste gravi problematiche:
  • un premio di maggioranza, che comunque non potrà superare il 18%, a chi ottiene almeno il 35% dei voti;
  • il ballottaggio tra le prime due forze politiche, in caso al primo turno non si raggiunga la soglia minima del 35%;
  • chi vince al ballottaggio ottiene automaticamente il 53% dei seggi;
  • soglie di sbarramento al 5% per le liste coalizzate (partiti autonomi che decidono di presentarsi alle elezioni sotto un unico simbolo), all'8% per i partiti che non si coalizzano e al 12% per le coalizioni.

In merito al premio di maggioranza, nel Porcellum il partito più votato otteneva i seggi mancanti per arrivare al 55%, e non era fissata una soglia minima per accedere al premio. Ora invece, con l'Italicum, si è provveduto ad inserire tale soglia, minima nel vero senso della parola. Il 35% infatti non sembra il valore "ragionevole" che aveva richiesto la Corte, e inoltre si può notare che il limite del 18% per il premio di maggioranza non è realmente quello massimo che un partito, o una coalizione, potrebbe ottenere con la nuova legge elettorale.

Facciamo un esempio considerando i dati relativi alle elezioni del 2013: Bersani e Berlusconi, con le loro rispettive coalizioni, hanno ottenuto alla Camera il 29,55% dei voti il primo e il 29,18% il secondo. A questo punto, con l'Italicum, si sarebbe proceduto al ballottaggio tra queste due forze politiche, e il vincitore avrebbe ottenuto il 53% dei seggi. In entrambi i casi quindi avremmo assistito all'assegnazione di un premio di maggioranza superiore al 23%. Si sarebbe quasi raddoppiato il risultato ottenuto ai seggi. Vi sembra che questo rispecchi la volontà degli elettori?

Sulle preferenze poi, Renzi ha sempre affermato di esserne un fervido sostenitore. Ora però vuole farci credere che a causa della negoziazione con Berlusconi, a malincuore, ha dovuto abbandonare il suo sogno. Ma se ci teneva davvero così tanto, perchè non rivolgersi direttamente al Parlamento, dove avrebbe trovato sicuramente il sostegno di Alfano, suo alleato nell'attuale maggioranza (che dichiara si batterà strenuamente per le preferenze), e sostanzialmente di tutte le altre forze politiche? Senza dimenticare poi che dovrebbe essere proprio il Parlamento il luogo del confronto politico.

Evidentemente era più "alla luce del sole" fare un accordo a porte chiuse con un pregiudicato, per poi dire che la responsabilità sui punti critici è, ovviamente, del cavaliere. PD, ora ti riconosciamo.

Infine, ultimo ma non ultimo, le soglie di sbarramento. L'8% dei voti corrisponde a più di 2,5 milioni di elettori, secondo voi si tratta di una minoranza indegna di trovare rappresentanza in Parlamento? Secondo Renzi sì (forse dimentica che sta basando la sua arrogante autorità sui 2 milioni di italiani che hanno votato per lui alle primarie del PD).

E' facile prevedere gli effetti che delle soglie così alte avranno sulla scena politica futura: impedire a idee e movimenti controcorrente di potersi esprimere liberamente, senza doversi piegare alle solite dinamiche del calcolo politico. Ecco svelato quindi l'unico vero punto di "profonda sintonia" tra Renzi e l'amico Silvio: tutti quei "partitini" sotto la nuova soglia di sbarramento dovranno scegliere se sparire per sempre o coalizzarsi con il più forte, a destra o a sinistra, regalando voti molto importanti a queste coalizioni.

In questo modo il Governo del Paese resterà saldamente in mano alle stesse forze politiche che negli ultimi 20 anni ci hanno mandati in rovina.  

Se cercavamo una legge elettorale democratica e che finalmente superasse quell'obbrobrio che è il Porcellum, non è certo questa. Anzi, l'unico risultato sarebbe quello di intaccare ulteriormente la democrazia di questo Paese, relegando a "minoranze" gruppi sempre più ampi di elettori ed estromettendo l'unico movimento che, non piegandosi alle logiche del calcolo politico, continua a difendere le proprie idee e resta quindi l'ultimo oppositore del partito unico.

Un partito unico che nei talk show televisivi finge di litigare, ma in Parlamento vota sempre concorde, e dalle stanze buie, con il quadro di Che Guevara alle spalle, continua a decidere le sorti della nostra povera Italia.

lunedì 20 gennaio 2014

"Vivere" secondo noi

Dedichiamo il post a due artisti che seguiamo da qualche anno e non smettono mai di emozionarci con i loro brani. Qui sotto trovate uno dei loro ultimi lavori: "Vivere". Noi abbiamo provato a darne una nostra interpretazione, voi che ne pensate?




La canzone delinea il percorso di tutti coloro che si sentono alla perenne ricerca di qualcosa, di un dovere, di un senso per la propria vita.

Il risveglio inizia con un'indignazione nei confronti del mondo circostante, indignazione che progressivamente cresce, insieme a un senso di rabbia e di rivolta. Il protagonista (che può essere ognuno di noi) si scontra con l'ipocrisia e le ingiustizie di un mondo in cui non si rispecchia e denuncia le "entità pseudostatali" che gli hanno colpevolmente nascosto i segnali per poter accedere alla sua anima, "facendo sì che gli unici segnali che ha sono stradali". Hanno cercato di condurlo verso una dimensione vuota, dove vige un caos darwiniano che annienta l'individuo e le sue potenzialità.

A questo punto riavvolge il nastro di quel mondo vuoto, che non lo rispecchia, e riscopre dentro di sé una consapevolezza e un potere sconosciuti.  Il percorso di critica e di indignazione lo ha portato per contrapposizione a conoscere sé stesso, a riscoprirsi come entità spirituale, come essenza. Ora lo pervade un'energia nuova che lo spinge a riprovarci, con una visione diversa del mondo a guidarlo, perchè "Tu devi vivere nel tuo volere".

Questa forza interiore quindi lo riconduce nel mondo, e nel corso della seconda strofa lo seguiamo mentre sperimenta che come un tatuatore può disegnare a piacimento la sua vita. Inizialmente stenta a crederci, ma progressivamente prende consapevolezza del suo potere infinito e delle infinite possibilità che il mondo ha da offrirgli. Ora è come un bambino di fronte alle cose, tutto è assurdamente meraviglioso e sorprendente, come su una giostra che inebria perchè porta con sé emozioni intense e contrastanti. Una giostra dalla quale non vuole più scendere. Anche appoggiato a un bastone non è mai troppo tardi, "la tua barba bianca canta". Lo spirito può e deve continuare ad essere sempre quello di un bambino curioso, che gioca con le cose intorno a sè e si bea della confusione, delle luci, dei colori, dei contrasti, degli incredibili paradossi, della vita.

"Non importa quando, ma come. Non importa dove, ma come. Non importa chi o perchè, non importa come, ma come!". Non importa nessuna di quelle domande esistenziali che il pensiero rivolge a sé stesso per capire il senso della vita. Importa solo viverla, non perdersi nemmeno una corsa di questa giostra inebriante, perchè il miracolo è davanti ai nostri occhi.

Anche se il percorso sarà lungo e difficile, arriveremo a capire che il nostro unico dovere è vivere. Lo dobbiamo a noi stessi.

domenica 19 gennaio 2014

L'Italia sotto assedio

Visto che si parla tanto di più Europa, prenderemo come termine di paragone un'unificazione che ci riguarda molto da vicino per provare a capire cosa ci aspetta. 

A 150 anni dall'unificazione d'Italia, la situazione è sotto gli occhi di tutti. Abbiamo un meridione sottosviluppato, un Governo che ha sempre fatto gli interessi industriali del nord, e un nord che ha basato il proprio modello di sviluppo su un sud arretrato, deindustrializzato, e che pertanto funge da mercato di sbocco. Abbiamo forze politiche che pretendono l'abolizione dei trasferimenti fiscali dal nord al sud, ma ignorano che ogni anno sono meno di 45 i miliardi che dal nord vanno verso il sud, mentre sono più di 60 quelli che fanno il percorso inverso per l'acquisto di beni prodotti al nord. A questo surplus commerciale si aggiunge poi quello relativo al capitale intellettuale e lavorativo che ogni anno affluisce al nord, che contribuisce ad aumentare ulteriormente gli squilibri tra le due economie. Il tutto condito da un'ideologia semi-razzista secondo la quale il meridione pigro, corrotto e improduttivo sarebbe la zavorra che frena la crescita del Paese.

Oggi la storia si ripete, nonostante facciano di tutto per convincerci del contrario. Non a caso qualcuno ci definisce la Calabria d'Europa, il sud arretrato che si contrappone a un nord efficiente e produttivo. Anche in questo caso le Istituzioni "Comunitarie" perseguono unicamente gli interessi industriali del nord, che ha trovato in noi e negli altri PIGS un grande mercato di sbocco per i propri prodotti. L'euro infatti ci ha messi fuori mercato (leggete in questo post come ha inciso sulla nostra competitività) e sta progressivamente corrodendo il nostro tessuto produttivo, precipitandoci in una spirale di sempre maggior desertificazione industriale e dipendenza dall'estero. E mentre ci definiscono pigri, corrotti e improduttivi (vi ricorda qualcosa?), noi siamo, e lo saremo sempre di più, costretti ad emigrare al nord per cercare lavoro.

A questo punto, se non usciamo dall'euro, la prospettiva più rosea al nostro orizzonte sembra quella di diventare veramente la Calabria d'Europa. Ma se anche in un futuro remoto venissero superate le fortissime resistenze politiche al concedere dei trasferimenti fiscali agli Stati del sud, questo avverrà solo quando il nord si renderà conto di averci spolpato a tal punto che, se non ce li concedesse, non potremmo più comprare i suoi prodotti, per quanto convenienti. 

Non dimentichiamo poi che nel caso dell'Italia questo processo di unificazione, nonostante facilitato da tradizioni, cultura e lingua comuni, dopo 150 anni ancora non è completo, e c'è ancora chi predica la secessione. Vi immaginate cosa potrebbe accadere nel nord Europa, con il quale non abbiamo legami nemmeno lontanamente simili?

Pensiamo che il "più Europa", perlomeno come lo intendono gli euristi, non sia la strada giusta, perchè quella che stiamo costruendo ora non è l'Europa della pace e della fratellanza tra i popoli. L'euro è uno strumento di annessione, prendiamone atto. 

Impariamo dalla storia, e cambiamo rotta prima che sia troppo tardi.

sabato 18 gennaio 2014

L'ultimo inganno: "Destinazione Italia" e i capitali esteri

Secondo media e politici l'unico modo per risollevarci dalla crisi economica e sconfiggere la disoccupazione consiste nell'attrarre capitali esteri: il famoso "Destinazione Italia". 

Purtroppo però dimenticano di dirci che questi imprenditori non sono animati da un senso di appartenenza al nostro bel Paese. Se decidono di investire in Italia, comprando nostre aziende, lo fanno solamente al fine di trarne profitti. 

Nella maggior parte dei casi di acquisizioni estere di aziende nazionali infatti, gli imprenditori decidono di delocalizzare l'attività in aree dotate di ordinamenti fiscali più favorevoli e diritti dei lavoratori pressochè inesistenti. Alla faccia dei disoccupati, ci verrebbe da dire.

Comunque anche nel caso in cui l'attività resti in Italia, questo non è per forza un bene. In economia gli investimenti diretti esteri rappresentano una voce negativa nella bilancia dei pagamenti, e ciò in quanto consistono in debiti che l'Italia (tutti noi) contrae con i vari capitalisti esteri, e i profitti che questi riportano nei loro Paesi d'origine non rappresentano altro che gli interessi sui debiti contratti. 

Ma ovviamente il debito non è cattivo in quanto tale: bisogna capire perchè lo si contrae. 

Un Paese privo di infrastrutture e di un tessuto produttivo sarà fortemente incentivato a richiamare l'afflusso di capitali esteri, perchè questi saranno molto produttivi e genereranno crescita. Anche se i profitti usciranno dal Paese, tutto il resto (che prima non c'era) rimarrà nell'economia e continuerà a contribuire al suo sviluppo. 

In Italia vi sembra che siamo nella stessa situazione? Noi abbiamo infrastrutture e un invidiabile tessuto produttivo che tutto sommato ancora prova a difendersi. Il malessere che viviamo non deriva da queste mancanze, ma bensì da un'improvvisa perdita di competitività delle nostre aziende causata dall'ingresso nell'euro (come abbiamo detto in questo post).

I nostri grandi marchi stimolavano da tempo l'appetito di capitalisti e industriali internazionali. L'euro gli ha regalato un enorme sconto, facendo crollare i valori azionari delle nostre aziende, ma a quanto pare l'opera non è ancora completa. Prima di fare razzia di tutte le nostre ricchezze (ricordiamo che negli ultimi 4 anni sono già 437 i grandi marchi passato in mani estere, tra cui Lamborghini, Fendi e Algida), i capitalisti esteri vogliono essere sicuri che faremo le famose "riforme strutturali", in primis lo smantellamento dell'articolo 18. In pratica dobbiamo promettergli che quando acquisteranno le nostre imprese, poi potranno licenziare liberamente e contare su una tutela dei diritti dei lavoratori praticamente inesistente (come spiega benissimo questo articolo del Sole24Ore). Allora si che saremo finalmente attraenti ai loro occhi!

Ancora una volta politiche palesemente a favore di determinati interessi capitalistici sono mascherate da "riforme" necessarie e salvifiche. Ma l'unico risultato che si otterrebbe in questo modo sarebbe di cancellare 150 anni di diritti sociali e sprofondare in una situazione di indebitamento e di dipendenza dall'estero ancora maggiore. I lavoratori saranno costretti ad accettare salari sempre più bassi e diventeremo una grande fucina di manodopera a basso costo a disposizione della multinazionale di turno. 

Uscire dall'euro è l'unica soluzione per poter ripartire. 

giovedì 16 gennaio 2014

I veri costi della politica

Oggi qualunque politico voglia entrare nelle grazie del popolo, può riuscirci mettendo al centro della propria propaganda l'età anagrafica dei suoi collaboratori, l'abolizione dei privilegi della casta e la riduzione dei costi della politica.

Ma per quanto apprezzabili e condivisibili, siamo sicuri che queste manovre rappresentino davvero la soluzione a tutti i nostri problemi? 

I risparmi derivanti da un'eventuale razionalizzazione dei costi dell'apparato pubblico (abolizione province, abolizione senato, abolizione finanziamenti pubblici ai partiti, ecc..) sono stimati, nella più rosea delle previsioni, intorno a 1 miliardo di euro all'anno.

Certo, sembrerebbe una sommetta niente male, ma andiamo a vedere quanto si potrebbe risparmiare se i politici iniziassero più semplicemente a fare scelte razionali e oneste, rappresentando finalmente gli interessi di noi cittadini (insomma, se iniziassero a fare il lavoro per cui li paghiamo). 

Solo negli ultimi due anni i nostri politici (eletti da chi?) hanno regalato al beneficiario di turno:
  • 50 miliardi di euro per l'acquisto di 90 aerei caccia F-35;
  • 97 miliardi di euro condonati alle multinazionali del gioco d'azzardo;
  • 125 miliardi di euro da versare al MES + tagli per 50 miliardi di euro all'anno per 20 anni, in seguito alla ratifica del Fiscal Compact (ne abbiamo parlato in questo post).
Il punto è che i veri costi della politica non sono quelli per il finanziamento della macchina statale, ma bensì quelli derivanti da tutte le scelte fatte contro gli interessi del Paese. 

L'unico modo per individuare efficaci soluzioni al nostro attuale malessere è concentrarsi sulla natura dei problemi, analizzandone le vere cause (per esempio questaquestaquesta e anche questa). Chi, in un momento così tragico per la nostra nazione, considera come priorità assoluta la cosiddetta "rottamazione", non merita la nostra attenzione, perchè questa logica del "mal comune mezzo gaudio" ha come unico fine quello di renderci più sopportabili gli inutili sacrifici ai quali siamo e saremo chiamati.

I principi di giustizia ed equità sociale andrebbero interpretati al rialzo, verso un benessere collettivo, e non viceversa. 

Invece di concentrarsi su quanto togliere agli altri, cerchiamo di ottenere di meglio per noi stessi.

mercoledì 15 gennaio 2014

La verità sul "Fiscal Compact"

Ora che il fallimento delle regole di austerity è sotto gli occhi di tutti (clicca qui per leggere il post in cui ne argomentiamo i motivi), sarebbe logico aspettarsi un pronto cambiamento di rotta nelle politiche economiche dei tecnocrati di Bruxelles, ma così sarebbe troppo facile, quasi banale. Loro vogliono sorprenderci ogni giorno di più!

I nostri parlamentari, il 19 luglio del 2012, hanno ratificato il "Trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sulla governance dell'Unione Europea", meglio conosciuto come "Fiscal compact". 

Se prima i parametri potevano sembrare esageratamente rigidi e vincolanti, andiamo a vedere cosa ci aspetta:
  • il rapporto di disavanzo sul PIL sarà fissato non più al 3% come nella situazione precedente, ma allo 0,5%;
  • il rapporto debito pubblico/PIL rimarrà al 60%, ma si è aggiunto un meccanismo di rientro che prevede la riduzione del debito in eccesso al ritmo medio di 1/20 annuo (in pratica dovremo racimolare 40-50 miliardi di euro all'anno per i prossimi 20 anni);
  • introduzione del MES, meglio noto come Fondo salva-Stati, istituito al fine di fornire eventuali aiuti a quei Paesi dell'area euro che si verranno a trovare in condizioni di emergenza economica. 
Tralasciando la follia dei nuovi parametri, che inaspriranno enormemente le regole di austerità a cui siamo già sottoposti, concentriamo l'attenzione sul MES. Tale fondo si finanzierà in due modi:
  • tramite una quota conferita da ogni Stato aderente all'euro in base al proprio PIL (per l'Italia la quota da conferire è di 125 miliardi di euro);
  • tramite le sanzioni imposte dalla Corte di Giustizia agli Stati aderenti all'euro che non rispetteranno i nuovi parametri di cui sopra.
Sembrerebbe naturale pensare che questo fondo, costituito appositamente per fornire aiuti finanziari agli Stati bisognosi dell'area euro, devolva gratuitamente gli aiuti, ispirandosi a un principio di solidarietà. "Aiuto" vuol dire questo, no?

Forse no, ecco come funziona veramente: se uno Stato in situazione di emergenza si vedrà costretto a bussare alla porta del MES, su ogni centesimo di "aiuti" che riceverà dovrà restituirne anche gli interessi. Questi non sono aiuti, si chiamano prestiti!

In pratica dobbiamo versare 125 miliardi di euro in questo fondo solo per poi farceli riprestare a un tasso di interesse, fisso o variabile, in caso di bisogno. 

Ma tra i nostri politici c'è addirittura chi si dice orgoglioso di aver ratificato il "Fiscal Compact" e tutto ciò che ne deriverà per la nostra economia. Se non ci credete guardate questo video, tratto dalla seduta parlamentare di questa mattina.


Ignoranza o malafede?


martedì 14 gennaio 2014

Pedine sacrificabili

Preferiremmo parlare di temi più profondi e stimolanti, tuttavia siamo convinti che al momento la priorità assoluta debba essere il superamento di quella trappola mortale che è l'euro.

La dottrina economica, e in particolare la teoria delle aree valutarie ottimali, stabilisce che un'area che si dota di una moneta unica senza averne i requisiti andrà in pezzi al primo shock importante. 

Bene, a questo proposito già negli anni '90 economisti del calibro di Martin Feldstein (professore di Harvard ed editorialista del Wall Street Journal) e Paul Krugman (premio Nobel per l'economia nel 2008), sostenevano che tra i sistemi economici dei vari Paesi europei non vi fosse quella necessaria omogeneità che avrebbe consentito l'adozione di una moneta unica senza subirne danni.

Ma se i massimi esperti mondiali la pensavano così, perchè ci ritroviamo nell'euro?

I nostri politici si sono limitati a spicciole propagande infarcite di false promesse ("Con l'euro lavoreremo un giorno in meno, guadagnando come se lavorassimo un giorno in più", diceva Prodi nel '99) senza mai affrontare, con noi cittadini, una seria analisi costi/benefici.

Solo di recente personaggi come Mario Monti hanno iniziato a rivelarci, con toni molto pacati, la verità su questa faccenda (clicca qui per vedere l'intervista integrale). Sostanzialmente, dal punto di vista del nostro ex presidente del Consiglio (ma...chi l'aveva votato?), la crisi era necessaria al fine di costringere gli Stati a cedere parti della loro sovranità e ad accelerare artificiosamente i tempi di un'unione già di per sè estremamente complessa. 

A noi però non hanno chiesto un parere, ma solo sacrifici.

Imprenditori che si suicidano, disoccupazione alle stelle, operai in cassa integrazione, tasse a livelli esagerati, oltre che enormi tagli al welfare (istruzione pubblica, sanità, cultura...), e tutto in nome di un progetto portato avanti con un autoritarismo dittatoriale e paternalista. Questa non è l'Europa che vogliamo.

E' ora di svegliarci e iniziare a far valere i nostri diritti.

lunedì 13 gennaio 2014

Rivoluzione: INSIEME si può!

Quando diciamo che sappiamo di poter cambiare il mondo non stiamo esagerando, ne siamo davvero convinti! Potrà sembrare un'ambizione un po' pretenziosa, forse utopistica, ma in realtà la nostra convinzione è fondata su solide basi scientifiche. 

Avete mai sentito parlare di fisica quantistica? Secondo tale scienza è l'osservatore che si costruisce la propria realtà, elaborandola attraverso la mente. Tutti noi, con le nostre credenze e convinzioni, contribuiamo alla creazione del mondo per come lo conosciamo. Ognuno di noi ha un potere infinito!

Tuttavia tale potere ci viene sottratto ogni giorno di più, tramite costanti manovre di condizionamento messe in atto dai mass media e dalla pseudo-informazione che gli stessi ci propinano. 

Grazie a questo martellamento mediatico, ormai è opinione diffusa che l'essere umano sia, per sua natura, violento e corrotto; che il cambiamento sia da vedere con sospetto perchè distruttore del "prezioso" status quo; che l'ordine possa permanere solo grazie a regole e vincoli esterni. In questo modo ci vediamo imporre quotidianamente una realtà di schiavitù e malessere nella quale siamo intrappolati, apparentemente senza via d'uscita.

Solo con un’informazione libera e onesta, che stimoli il ragionamento autonomo, la capacità critica di ognuno di noi e la ricerca di giustizia, si possono costruire le basi per un nuovo inizio. Un inizio fondato sulla consapevolezza che siamo molto più di quello che ora crediamo. Siamo tutti esseri speciali e meritiamo un mondo degno di noi. 

Dobbiamo ritrovare il coraggio di ragionare con la nostra testa, di mettere in discussione ciò che ormai siamo abituati a dare per scontato. La rivoluzione può nascere solo dentro di noi.

Insieme possiamo davvero cambiare il mondo, dobbiamo solo iniziare a crederci.


domenica 12 gennaio 2014

Vivere 150 anni è possibile? Chiedete agli Hunza!

Navigando nel web abbiamo scoperto la curiosa storia di un popolo, gli Hunza, che vive nelle valli pakistane, ai piedi dell'Himalaya.

Finchè la globalizzazione non ha bussato alla porta, questo popolo vantava una vita media intorno ai 150 anni e una vecchiaia estremamente attiva, in cui le donne generavano figli fino a 90 anni e gli uomini lavoravano nei loro campi anche a 100 anni inoltrati. Non solo, durante la loro lunga vita sembra non prendessero nemmeno un raffreddore, erano immuni da ogni tipo di malattia!

Gli Hunza erano caratterizzati da livelli di civiltà e spiritualità sconosciuti ai popoli limitrofi, ma soprattutto seguivano una dieta particolare. Questa si basava esclusivamente sui prodotti della terra che essi stessi coltivavano, e prevedeva anche periodi di "magra" in cui erano abituati a digiunare, ma senza risentirne minimamente.

A primo impatto può sembrare strano che un popolo con simili prospettive di vita si sia lasciato contaminare da un modello come quello occidentale, in cui le malattie sono all'ordine del giorno e la vita media è di circa 80 anni. Dopo " l'incontro tra culture" infatti, negli ultimi anni anche loro hanno imparato a conoscere le carie, le patologie cardiovascolari, i tumori, e quindi un progressivo deterioramento delle aspettative di vita.

Ma in realtà non è così difficile capire cosa li ha spinti a fare determinate scelte, è  successo lo stesso anche a noi!

Vi sembra normale che nel Paese che vanta la tradizione culinaria più prestigiosa e invidiata al mondo dobbiamo vedere fast food ad ogni angolo di strada? E vi sembra normale che la gente sia disposta ad andarci per mangiare cibi malsani e di dubbio gusto? C'è qualcosa che non va! 

Purtroppo tendiamo ad obbedire più alle massicce campagne pubblicitarie della multinazionale di turno, piuttosto che al nostro naturale istinto di autoconservazione. Finchè non ce ne renderemo conto, rimarremo sempre succubi di questi interessi meramente economici, che sono incompatibili, per usare un eufemismo, con il nostro benessere. 

Iniziamo a pensare ai nostri di interessi, vi va?


Essere competitivi ai tempi dell'euro

"Dobbiamo essere più competitivi", "La competitività è miglioramento", "Abbiamo bisogno di competitività"! Chi di voi non ha mai sentito slogan come questi? Ma vi siete mai soffermati ad analizzare cosa ci stanno chiedendo sul serio? Proviamo a fare un po' di chiarezza.

Un'azienda è competitiva quando riesce a vendere più delle altre aziende, uno Stato è competitivo quando riesce ad esportare più degli altri Stati. Ma come si fa ad essere così bravi e abili nel commercio? Semplice: facendo prezzi più bassi. E per fare prezzi più bassi occorre diminuire i costi di produzione, che tipicamente comprendono il costo per l'acquisto di materie prime e il costo del lavoro. Tra i due è evidente che quello su cui si può maggiormente agire è il secondo, abbassando i salari e radendo progressivamente al suolo i diritti dei lavoratori.

Prima dell'euro ciò non era necessario, in quanto si poteva ricorrere ad un meccanismo riequilibratore, la temutissima svalutazione del cambio.

Cerchiamo di spiegarvi molto chiaramente di cosa si tratta tramite un esempio di fantasia: se Paperopoli usa una moneta chiamata "Paperini" e Topolinia usa una moneta chiamata "Topolini", e in seguito a degli squilibri tra i sistemi economici di questi due Paesi, Paperopoli si trova ad importare da Topolinia più di quanto riesca ad esportarvi, allora avrà ottenuto un saldo negativo nella bilancia dei pagamenti (che si calcola sottraendo le importazioni dalle esportazioni). Se non vi fossero dei meccanismi di aggiustamento, da Paperopoli continuerebbero ad uscire Paperini (per acquistare Topolini, necessari all'acquisto di beni da Topolinia) finchè il Paese non si troverà in miseria. Fortunatamente per Paperopoli però il sistema è dotato di un meccanismo riequilibratore chiamato "Mercato". Questo fa sì che non appena Paperopoli inizia ad acquistare "Topolini" in misura maggiore rispetto a quanto Topolinia acquista "Paperini", la domanda di "Topolini" aumenta, mentre quella di "Paperini" diminuisce.

All'aumento di domanda di una moneta, il mercato fa corrispondere automaticamente un proporzionale aumento del prezzo della stessa (rivalutazione del cambio), viceversa alla diminuzione di domanda di una moneta corrisponderà una diminuzione del prezzo della stessa (svalutazione del cambio). 

Quindi, tornando alla nostra storiella, a questo punto il mercato provvede a ristabilire l'equilibrio facendo aumentare il prezzo dei "Topolini" (rivalutazione) e facendo scendere il prezzo dei "Paperini" (svalutazione). In questo modo tornerà ad essere conveniente acquistare "Paperini" e quindi i beni prodotti a Paperopoli, e il mercato tornerà da sè in equilibrio.

Fino all'introduzione dell'euro, anche per il nostro Paese, come per Paperopoli, agivano queste automatiche leve di mercato. Con l'adozione di una moneta straniera però (l'euro non è altro che questo) il meccanismo riequilibratore del mercato dei cambi è venuto meno. Così, per far fronte a saldi negativi nella bilancia dei pagamenti (o perlomeno per provarci), oggi non ci resta che attuare politiche di svalutazione interna (la famosa competitività), che mirano all'abbassamento dei salari, anche attraverso la progressiva precarizzazione del mercato del lavoro.

Sperando che il meccanismo sia chiaro, ci teniamo a precisare che non siamo contrari al commercio globale, ma riteniamo che questo debba essere al servizio dell'uomo, e non il contario. Va bene importare, ma solo nella misura in cui se ne tragga un vantaggio in termini di qualità e valore aggiunto. E' inaccettabile invece quello che è sotto gli occhi di tutti oggi: una guerra di prezzi che rade al suolo i tessuti produttivi di intere nazioni e crea un circolo vizioso in cui le persone, che vedono diminuire ogni anno il proprio potere di acquisto, sono sempre più attente al prezzo e di conseguenza continuano ad alimentare, a proprie spese, questo sistema distruttivo.

sabato 11 gennaio 2014

Pronti, partenza... Debito pubblico!

In questo primo post andiamo subito al sodo, trattando un argomento particolarmente attuale e che dovrebbe essere compreso da ognuno di noi: il debito pubblico.

Questo fantasma ha iniziato a palesarsi nel 1979, con il famoso Divorzio tra Stato e Banca d'Italia, a seguito del quale abbiamo iniziato a pagare degli interessi su ogni banconota emessa (si sa, i divorzi non sono gratis). Lo Stato di fatto poteva ancora obbligare la Banca d'Italia ad acquistare i suoi titoli per finanziare la spesa pubblica, ma continuava ad accumulare sempre più debito perchè alle normali voci di spesa si erano aggiunti gli interessi sul debito stesso (eh sì, i nostri politici, per quanto amanti della bella vita, non sono riusciti ad accumulare da soli oltre 2000 miliardi di euro di debito pubblico).

 Il debito pubblico è iniziato a diventare un vero problema solo con il Trattato di Maastricht del '92, con il quale sono stati determinati i paramentri di convergenza per l'adesione all'euro che, come ormai ripetono anche le sedie, prevedono un tetto, tanto irremovibile quanto ingiustificato, per il rapporto "Debito pubblico/PIL" al 60%. Nonostante non rientrassimo in tale paramentro, l'Unione Europea ha chiuso un occhio, ma imponendoci per contro delle misure di austerità che però, udite udite, non hanno fatto altro che peggiorare il rapporto stesso.

Sicuramente vi sembrerà assurdo, ma proviamo a ragionare: dobbiamo ridurre il nostro rapporto Debito pubblico/PIL, perciò basterà ridurre il Debito pubblico, direbbe qualcuno, e il gioco è fatto! E invece no, ci si dimentica sempre che c'è anche un denominatore per ogni numeratore, e se il denominatore diminuisce, aumenta il rapporto. Ad esempio vi ricordate il buon Mario Monti, inviato speciale dall'Europa per risanare i nostri conti pubblici a suon di lacrime e sangue? Bene, solo nel 2012, con la sua austerity, è riuscito a portare il nostro rapporto "Debito pubblico/PIL" dal 120% al 127%. Sorpresa: tagliare la spesa e aumentare le tasse è il modo migliore per stroncare la domanda interna, e quindi il PIL, di un Paese. Se la gente non ha soldi non spende, e se la gente non compra, le fabbriche, oltretutto strangolate dalle tasse, iniziano a chiudere, i dipendenti vengono licenziati e si genera un circolo vizioso di decrescita in cui tutti stanno peggio.

La spesa pubblica, signori miei (come NON direbbe Renzi), è un fattore che agisce positivamente sull'economia di un paese, immettendo liquidità nel sistema e sostenendo così la crescita.

Ovviamente non vogliamo giustificare sprechi, mazzette o vitalizi e pensioni d'oro, ma questi sono solo la punta dell'iceberg di una mala politica, che soprattutto deve rendere conto ai propri cittadini della svendita della sovranità monetaria alla Banca d'Italia prima, e all'Unione Europea (tramite la BCE) in un secondo momento.

Se siete ancora convinti che il debito pubblico (e ci riferiamo a quello per finanziare la spesa e non a quello per il pagamento degli interessi) sia il male assoluto, vi invitiamo a ragionare sul modello giapponese, Giappone che oggi rappresenta la terza potenza economica al mondo nonostante il suo rapporto "Debito pubblico/PIL" sfiori il 250%. Lasciamo a voi le considerazioni in merito.