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lunedì 14 luglio 2014

Italiani sempre più poveri: come uscirne?

Oggi l'Istat ha pubblicato un report dal titolo "La povertà in Italia" e il quadro che ne risulta è a dir poco drammatico. Con riferimento al 2013 le persone che si trovano in condizioni di povertà relativa sono ben 10 milioni, ovvero il 16,6% della popolazione, mentre quelle in povertà assoluta sono circa 6 milioni (il 9,9% della popolazione).

Quando si usa l'epressione "povertà assoluta" si intende "l'incapacità di acquisire i beni e i servizi necessari a raggiungere uno standard di vita minimo accettabile nel contesto di appartenenza". In sostanza è "assoluta" in quanto non considera gli standard di vita prevalenti all'interno della comunità di riferimento e si focalizza sulla disponibilità di beni e servizi essenziali. Quando invece si parla di "povertà relativa" non contano le condizioni materiali dei poveri, bensì la loro distanza dalle caratteristiche della maggior parte della popolazione. Ad esempio l'Istat considera relativamente povera una famiglia di due persone quando consuma meno della media dei consumi nazionali per persona. Una soglia di povertà così individuata, quindi, si muove nel tempo a seconda dei cambiamenti nelle condizioni di benessere generale.

Alla luce di quanto detto finora possiamo dire che oggi in Italia ci sono oltre 6 milioni di persone che non dispongono neppure di beni e servizi essenziali (alimentazione, vestiario, alloggio, salute, ecc...), mentre oltre 10 milioni di persone si trovano in una condizione di povertà relativa rispetto ai consumi medi nazionali. Ma confrontati con i livelli pre-crisi questi dati sono ancora più sconfortanti. Nel 2007 la povertà assoluta riguardava 2 milioni e 400 mila individui, mentre la povertà relativa coinvolgeva 7 milioni e 500 mila persone. Quindi in 6 anni la percentuale di popolazione assolutamente povera è aumentata del 150%, mentre la percentuale di popolazione relativamente povera è aumentata del 33%. E questo nonostante la spesa media mensile per persona (e quindi la soglia di povertà relativa) sia diminuita dai 986,35€ del 2007 ai 972,52€ del 2013.

Insomma, in questi 6 anni di crisi e austerity i consumi sono generalmente diminuiti, i poveri in senso assoluto sono quasi triplicati e ormai il 16,6% della popolazione italiana si trova ai margini della società. Come si può uscire da una situazione tanto drammatica? La risposta è semplice: capendo quali fattori hanno provocato un tale disastro economico e sociale e ponendovi rimedio. 

Sappiamo bene che dagli inizi degli anni '90 la deregolamentazione del mercato del lavoro ha determinato una stagnazione dei salari a vantaggio del grande capitale. Ma si trattava di un vantaggio a corto raggio, dato che poi la stagnazione dei salari ha determinato un calo dei consumi e quindi la crisi di moltissime aziende, che a sua volta ha generato disoccupazione e un ulteriore calo della domanda, in un circolo vizioso senza fine. Per questo si è resa necessaria in quegli anni una ancora più massiccia deregolamentazione, quella del settore finanziario. -Se la gente non può consumare, prestiamogli i soldi- si sono detti. Ma qui gli effetti collaterali sono stati ancora più evidenti: le banche hanno iniziato a concedere sempre più prestiti e ad assumersi sempre più rischi, ben consapevoli che in caso di difficoltá sarebbe intervenuto lo Stato a salvarle. Così, quando alla fine moltissime persone non sono riuscite a ripagare i propri debiti, la bolla è scoppiata e con essa anche la famosa crisi finanziaria con cui siamo alle prese dal 2008. 

Il problema ora è che, di punto in bianco, quando gli Stati sono intervenuti per salvare le proprie banche, accollandosene quindi i debiti, come per magia la crisi del debito privato si è trasformata nella crisi del debito sovrano. E' evidente che non si può pensare di azzeccare la terapia se si sbaglia la diagnosi. Per questo tutte le ricette fatte di tagli alla spesa pubblica, austeritá e rigore imposte dall'Unione Europea negli ultimi anni si sono rivelate dannose oltre che inutili. Quella con cui abbiamo a che fare è una crisi del debito privato e ormai ne conosciamo bene le origini e le dinamiche. Tutto ciò che bisognerebbe fare è promuovere un'effettiva redistribuzione del reddito, ad esempio ricollegando i salari alla produttivitá e potenziando il welfare, e una stringente regolamentazione del settore bancario e finanziario. Ovviamente, il presupposto per poter prendere questo tipo di decisioni è innanzitutto riacquisire la nostra sovranità.

Va da sè però che in gioco ci sono moltissimi interessi. Finchè continueremo a votare Presidenti del Consiglio scelti da Goldman Sachs e dai vari istituti finanziari internazionali, finchè i nostri ministri del Tesoro continueranno a provenire da quella stessa scuola e finchè lasceremo che siano i mercati a decidere le nostre politiche, questa crisi non avrá mai fine, anzi. Ciò che attualmente ci viene proposto dai nostre governanti è esattamente quello da cui dovremmo fuggire. Il pareggio di bilancio, inserito in Costituzione dal governo Monti e vincolante giá dal prossimo anno, e l'ulteriore deregolamentazione e precarizzazione del mercato del lavoro proposti da Renzi ne sono due esempi emblematici. Riusciremo a capirlo prima che sia troppo tardi?

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